Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15625 del 27/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 27/07/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 27/07/2016), n.15625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10914-2011 proposto da:

G.M.F., (c.f. (OMISSIS)), G.G. (c.f.

(OMISSIS)), nella qualità di eredi di G.D.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 23, presso l’avvocato

GIOVANNI VESPAZIANI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANGELA BONCOMPAGNI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI MESSINA, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55,

presso l’avvocato NICOLA DI PIERRO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROSARIO CUCINOTTA, giusta procura in calce al

controricorso;

ANDROMEDA II SOC. COOP. A R.L. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 2, presso l’avvocato PATRIZIA GIUFFRE’,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO SACCA’, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1121/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 08/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato VESPAZIANI EMANUELE, con delega

G. VESPAZIANI, che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20 ottobre 1997, il Tribunale di Messina condannò in solido il comune di Messina e la Soc. Coop. edilizia Andromeda al risarcimento del danno subito da G.D. per l’avvenuta occupazione espropriativa di un appezzamento di terreno, su cui erano stati realizzati alcuni alloggi sociali, liquidandolo in Lire 709.765.200, oltre rivalutazione ed interessi.

La Corte d’Appello di Messina, adita dai debitori, determinò il dovuto in Lire 390.370.860, in applicazione del criterio riduttivo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, e confermò la condanna in solido, osservando, tra l’altro, che tra cooperativa e proprietario erano intervenute due scritture in data 2 marzo 1983, con cui quest’ultimo avevano rinunciato, per la somma di lire 20 milioni, ad avvalersi del provvedimento di sospensione del decreto di occupazione temporanea dell’immobile concesso dal TAR, senza tuttavia rinunciare all’indennità di espropriazione, sulla quale i contraenti avevano raggiunto un accordo sull’ammontare di Lire 30 milioni, tuttavia caducato per la mancata emissione del decreto di esproprio.

In accoglimento del ricorso della Cooperativa Andromeda, tale decisione veniva cassata da questa Corte con sentenza n. 24589 del 2005, per violazione dei canoni ermeneutici e vizio di motivazione in relazione al complessivo accordo tra le parti pattuito tra la predetta Cooperativa ed il G. con le due coeve scritture. Con la predetta sentenza, fu, inoltre, respinto il ricorso incidentale del danneggiato, volto, tra l’altro, al conseguimento del risarcimento in misura integrale.

La Corte d’Appello di Catania, adita in sede di rinvio, giudicando nel contraddittorio di M.F. e G.G., eredi dell’originario attore, assolse la Cooperativa dalla domanda, osservando che l’accordo intercorso tra le parti mediante la sottoscrizione delle due scritture andava qualificato come cessione del diritto di superficie, o contratto con effetti obbligatori tra privati, in quanto il privato non aveva solo rinunciato alla sospensiva del decreto di occupazione, ottenuta dal TAR, ed aveva autorizzato la Cooperativa all’immediata occupazione del suolo, per la costruzione dei preventivati alloggi, ricevendone la somma di Lire 20.000.000, ma aveva, anche, ricevuto una somma pari a Lire 30.000.000, che, pur impropriamente qualificata come indennità di espropriazione, costituiva il corrispettivo per l’occupazione e l’ablazione del bene dovuto dalla Società, avendo il privato dichiarato di non aver null’altro a pretendere a tale titolo.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso e M.F. e G.G. con cinque motivi. La Società Andromeda ed il Comune di Messina hanno resistito con controricorso. I ricorrenti e la Cooperativa hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 1, per avere la Corte territoriale frainteso l’oggetto del vincolo derivante dalla sentenza rescindente di questa Corte, che non si riferiva, naturalmente, alla soluzione interpretativa degli accordi stipulati con la Cooperativa, il cui apprezzamento costituisce prerogativa del giudice del merito. In particolare, invece di riesaminare l’intera vicenda, i giudici del rinvio hanno riprodotto meccanicamente la soluzione suggerita dalla sentenza di cassazione, senza affrontare nè esporre gli argomenti svolti da essi ricorrenti (riportati mediante trascrizione della comparsa conclusionale) che, correttamente ricostruiti, avrebbero imposto il rigetto dell’appello proposto dalla Cooperativa.

2. Col secondo motivo, i ricorrenti denunciano l’omessa motivazione circa il fatto controverso e decisivo relativo alle intese raggiunte dalle parti con le due scritture del 2 marzo 1983: se cioè “abbiano disposto un regolamento transattivo tale da compone non solamente le liti in quel momento attuali, ma anche la lite futura per la perdita della proprietà del fondo anticipatamente occupato dalla Cooperativa, sorta solo a distanza di quattro anni dalle scritture, nel 1987”, nonchè violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1424, 1965 e 952 c.c., e della L. n. 865 del 1971, art. 12. I ricorrenti, che trascrivono le clausole contrattuali, affermano che la ricostruzione della comune volontà delle parti avrebbe dovuto esser compiuta prima di dare la qualificazione giuridica all’operazione e non viceversa, come, invece, aveva fatto la Corte territoriale, che aveva, così, violato l’art. 1362 c.c.. Aggiungono che, come si desumeva dal relativo tenore, il primo degli accordi del 1983 era volto a transigere l’esecuzione dell’ordinanza di sospensiva del TAR, conteneva, inoltre, una riserva per ottenere dal Comune – e solo da esso – il risarcimento di danni che sarebbero potuti derivare dal merito del ricorso amministrativo (fondato su invalidità procedimentali imputabili a tale Ente) al quale il proprietario non aveva rinunciato, mentre la Cooperativa avrebbe dovuto versare l’indennità di espropriazione, dato che il tutto dava per presupposta la regolarità della procedura ablativa. Non essendo stato emesso tempestivamente il decreto ablativo, l’azione risarcitoria non era preclusa, proseguono i ricorrenti, evidenziando che l’opzione esegetica prospettata ex adverso (rinuncia all’azione risarcitoria) comporterebbe la nullità della clausola, perchè attinente ad un diritto futuro ed incerto. Sotto un ulteriore profilo, concludono i ricorrenti, la Corte territoriale non ha considerato che l’oggetto della lite era relativa a mq. 3943,14, mentre tutte le clausole erano relative alla superficie di mq. 2600, e, pur avendo escluso l’incasso ulteriore della somma di Lire 100.000.000, che era stato affermato ex adverso, non ha tratto le dovute conseguenze nella ricostruzione dell’assetto negoziale, che non contemplava la rinuncia a far valere i diritti derivanti dall’occupazione appropriativa.

3. Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge e motivazione erronea sulla responsabilità dell’originario attore, per la mancata riscossione delle somme tardivamente depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti in assenza di decreto di esproprio. Non essendo stato perfezionato l’iter espropriativo, la somma di Lire 30.000.000 non avrebbe potuto esser riscossa.

4. Col quarto motivo, si denuncia la violazione della L. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis in relazione all’art. 1 Prot. 1 addizionale alla CEDU, ed all’art. 117 Cost. La Corte d’Appello avrebbe dovuto accogliere la domanda di risarcimento integrale dei danni, data l’intervenuta declaratoria d’incostituzionalità della disposizione in tema di occupazione acquisitiva.

5. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, per difetto d’interesse, sollevata dalla Cooperativa: la circostanza che i ricorrenti abbiano riscosso dal Comune l’importo del risarcimento dovuto non è incontroversa, sicchè in capo agli eredi dell’originario attore va riconosciuto l’interesse alla decisione, volta ad ottenere l’affermazione della responsabilità di un altro soggetto obbligato.

6. L’eccezione, sollevata dal Comune d’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c. è infondata, in quanto lo scrutinio ai sensi dell’invocata disposizione impone, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU n. 19051 del 2010), il rigetto per manifesta infondatezza, e non la declaratoria d’inammissibilità, del ricorso carente di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito. Inoltre, la natura chiusa del presente giudizio di legittimità, pure proveniente da una precedente sentenza di cassazione con rinvio, esclude che possano trovare ingresso le istanze proposte e le argomentazioni svolte dal Comune controricorrente (che pur riconoscendo la sua estraneità alla contesa tra le altre parti, non ha mancato di dedurre il difetto di giurisdizione, di chiedere l’accertamento del suo diritto di regresso, d’invocare l’applicabilità dell’istituto dell’acquisizione sanante, di affermare la regolarità della procedura espropriativa) nei cui confronti la decisione è, peraltro, passata in giudicato, in quanto la statuizione di condanna emessa a definizione del giudizio d’appello, non è stata impugnata dall’Ente territoriale, e che, relativamente al quantum, il ricorso per cassazione proposto dal danneggiato è stato rigettato.

7. I primi tre motivi, del tutto autosufficienti, che vanno esaminati congiuntamente perchè svolgono sotto distinti profili la medesima doglianza, sono, in parte, inammissibili ed, in parte, infondati. Occorre premettere che, con la sentenza rescindente, era stato demandato al giudice del merito di ricostruire l’assetto degli interessi concordato dalle parti con le due coeve scritture del 2 marzo 1983, alla luce dei principi di diritto (ai quali è vincolata anche questa Corte, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di rinvio) secondo i quali:

a) non era configurabile l’accordo amichevole sull’indennità di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 12, comma 2, perchè esso presupponeva uno specifico iter procedimentale (offerta dell’indennità proveniente dall’espropriante e da esso soltanto, sulla base di una stima compiuta esclusivamente in base ai criteri predeterminati dalla legge ed accettazione di tale offerta da parte dell’espropriato) che non era stato posto in essere, in quanto la Cooperativa è un soggetto privato, estraneo al procedimento espropriativo (svolto dal comune di Messina), l’indennizzo non è stato offerto da detta amministrazione, ne accettato dal G. come richiesto dalla L. n. 865, art. 12, ma determinato “di comune accordo” da quest’ultimo e dalla Cooperativa, ed infine perchè la pattuizione suddetta non ha preso in alcuna considerazione i criteri di legge.

b) quando, “a seguito un vero e proprio più complesso accordo transattivo, con il quale il privato nel ricevere somme di denaro per indennizzi e/o corrispettivi dovuti per l’occupazione e l’ablazione del bene, dichiari di non avere null’altro a pretendere a tale titolo nei confronti dell’espropriante (o di altri), quest’ultimo accordo non perde efficacia ove il procedimento si concluda con la cd. occupazione espropriativa (Cass. 6968 del 2002); e deve escludersi che il privato possa agire per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla perdita della proprietà per l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica, pur al lume dell’affermazione contenuta in sentenza, secondo cui il proprietario nel sottoscrivere le due scritture non poteva aver rinunciato al diritto al risarcimento del danno per il fatto che il diritto stesso non era ancora sorto, in quanto alla data dalla stipula era ancora in corso la legittima occupazione; posto che siffatto ragionamento sarebbe plausibile solo se la vicenda si fosse conclusa tra espropriante ed espropriato con la mera sottoscrizione di un amichevole accordo sull’indennità”.

8. La Corte territoriale, nonostante la costruzione poco felice del suo argomentare (essa è partita infatti dalle conclusioni, in esito i principi affermati con la sentenza n. 24589 del 2005), non è venuta meno al dovere di compiere l’indagine che le era stata demandata, avendo, in concreto, accertato che il G. non aveva solamente rinunciato alla sospensiva ottenuta nel giudizio amministrativo, ma aveva autorizzato la Cooperativa all’immediata occupazione delle aree di sua proprietà, ricevendo, subito, in compenso la somma di Lire 20.000.000, e ciò allo scopo di realizzare i preventivati alloggi sociali, oggetto del progetto approvato. I giudici d’appello hanno, quindi, ritenuto che la somma ricevuta nell’ambito del complesso accordo transattivo, pur impropriamente qualificata “indennità di espropriazione” costituiva il corrispettivo per l’occupazione e l’ablazione del bene, e che l’espressa dichiarazione del G. di non aver null’altro a che pretendere a tale titolo nei confronti della Cooperativa, costituiva un complessivo accordo transattivo che, secondo il principio posto nella sentenza rescindente, conservava efficacia, anche, nell’ipotesi, poi verificatasi, di mancata definizione del procedimento espropriativo.

9. Tale accertamento di fatto resiste alle critiche che gli sono state rivolte, tenuto conto che l’argomento, più volte ribadito, secondo cui tale conclusione comporterebbe la nullità della clausola, perchè attinente ad un diritto futuro ed incerto, muove da una petizione di principio e cioè presuppone che tra le parti degli accordi in esame sia stato sottoscritto, solo, un amichevole accordo sull’indennità, e non già un accordo transattivo complessivo; nè sussiste alcuna insufficienza motivazionale in relazione all’estensione di suolo oggetto di controversia, non solo perchè la questione non risulta esser stata dedotta in precedenza, ma perchè l’allegazione della parte ricorrente contrasta con i dati riportati in seno al ricorso (2 periodo di pag. 4, nell’ambito della trascrizione della sentenza di primo grado), secondo cui l’area assegnata alla Cooperativa fu ridotta a mq. 2600, con una delibera del 24.8.1981, e del resto l’esclusione dell’incasso della somma di Lire 100.000.000, così come la questione della mancata riscossione della somma di Lire 30.000.000 (profilo che attiene, comunque, all’esecuzione della convenzione inter partes e non anche al momento genetico) sono state ritenute non decisive dalla Corte del merito, che era libera di attingere il proprio convincimento dalle risultanze ritenute più attendibili e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che dalla motivazione risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso.

10. Quanto alla violazione di legge, va qui ribadito il principio del tutto consolidato presso questa Corte, secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo ìn sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati, appunto, a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore all’art. 1362 c.c. e segg., (oltre che sulla coerenza e logicità della motivazione addotta di cui si è già detto), laddove, in concreto, le censure mosse dai ricorrenti non fanno che contrapporre alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice dì merito la mera prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati, doglianza, appunto, inammissibile in questa sede di legittimità.

11. Il quarto motivo è inammissibile: essendo ormai irrevocabile l’assoluzione dalla domanda della Cooperativa controricorrente, la misura del risarcimento dovuto in riferimento alla declaratoria d’illegittimità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis non è rilevante, mentre, come si è detto, tra i ricorrenti ed il Comune si è formato il giudicato sul punto, per effetto del rigetto del ricorso incidentale del danneggiato.

12. Il quinto motivo, relativo regolamentazione delle spese di lite, va rigettato in riferimento alla violazione dell’art. 91 c.p.c., per esser stato applicato il criterio legale della soccombenza, e per tale ragione è inammissibile, in riferimento al dedotto vizio di motivazione.

13. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno regolate in base al medesimo criterio tra i ricorrenti e la Cooperativa, e si liquidano come da dispositivo, mentre vanno compensate nei rapporti tra le altre due parti, in relazione alle quali, come si è detto, la sentenza è, da tempo, passata in giudicato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare alla Cooperativa le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00, per spese, oltre accessori. Compensa le spese nei rapporti tra le altre parti.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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