Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15625 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2020, (ud. 21/05/2019, dep. 22/07/2020), n.15625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2210/2015 proposto da:

F.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIOTTO 3/E,

presso lo studio dell’avvocato CINZIA PIETROGRAZIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CO.TRA.L COMPAGNIA TRASPORTI LAZIALI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2276/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/07/2014 R.G.N. 5208/2010.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

che:

CO.TRA.L. S.p.a. appellava la sentenza, n. 13251/15-09-2009, con la quale giudice del lavoro di Roma in accoglimento della domanda proposta dal dipendente sig. F.O., riconosceva il diritto di costui, in ragione delle mansioni di fatto svolte, dal primo maggio 2001 alla superiore qualifica di responsabile di unità amministrativa/tecnica complessa – parametro 250, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive rispetto al trattamento già corrisposto per l’inquadramento riconosciutogli quale capo unità tecnica – parametro 205, quantificate per il periodo maggio 2001 – dicembre 2002 in Euro 7.012,88, somma comprensiva degli accessori di legge sino al 30 settembre 2007;

la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 2276/14 in data 5 marzo – 23 luglio 2014, accogliendo il gravame interposto dalla COTRAL, dichiarava la nullità della impugnata pronuncia relativamente al capo di accertamento del diritto alla superiore qualifica e per il resto rigettava integralmente la domanda dell’attore, condannando l’appellato alla restituzione della somma di 4960,58 Euro, oltre interessi legali dalla data del pagamento, nonchè al rimborso delle spese di lite, relative ad entrambi i gradi del giudizio;

avverso la decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione il sig. F. con atto di cui alla relata di notifica in data 20-21 gennaio 2015, affidato ad un solo articolato motivo;

CO. TRA. L. S.p.a. – Compagnia Trasporti Laziali è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorrente ha lamentato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione ai principi regolanti l’interpretazione dei contratti collettivi, criticando la lettura delle acquisite risultanze processuali operata dalla Corte distrettuale, richiamato per contro quanto diversamente opinato dal giudice di primo grado sia in base all’accordo nazionale del 27 febbraio 1987 che sulla scorta del c.c.n.l. 27 novembre 2000 relativamente alle prestazioni rese dall’attore durante il periodo maggio 2001 – dicembre 2002, contestando quindi anche l’affermazione della Corte capitolina, secondo cui doveva escludersi che le mansioni espletate da esso ricorrente fossero riferibili alla rivendicata area 1 e più specificamente a quelle di cui al parametro 250 “apparendo per contro le stesse ampiamente e semmai per eccesso riconducibili all’attribuita area professionale 2″ – mansioni di coordinamento e specialistiche”. In particolare, la Corte territoriale, discostandosi dal canone ermeneutico di cui all’art. 1362, commi 1 e disapplicando altresì quello contemplato dall’art. 1363 c.c., si era limitata ad estrapolare dal contesto della declaratoria del profilo professionale del parametro 205 ex c.c.n.l. 2000 singoli stralci della medesima, senza però cogliere l’unico e vero elemento distintivo tra la fattispecie astratta del profilo di cui al par. 205 e quella normativa di cui al par. 250, elemento che nell’accordo nazionale del 1987 era indicato dalla definizione dell'”area” e che analogamente nella declaratoria del parametro 250 ex c.c.n.l. 2000 era indicata come “unità organizzativa caratterizzata da notevole complessità gestionale e/o tecnica”. La Corte distrettuale, in particolare, aveva omesso di rilevare che il F. aveva agito come responsabile di fatto ad unità organizzativa caratterizzata da notevole complessità gestionale e/o tecnica, rispondendo unicamente al dirigente dell’area manutenzione immobili dislocati sull’intero territorio del Lazio, con funzioni di responsabilità e di coordinamento delle attività di tutti i reparti operativi della suddetta area, inoltre essendo il referente per i reparti operativi di tutto il Lazio ai fini dell’approvvigionamento di personale e di materiali. La nozione di Area avrebbe dovuto essere intesa, così come già ritenuto dal giudice di primo grado, alla luce del più ampio ed atecnico significato che il termine “area” assumeva all’interno della declaratoria del profilo professionale di 1 livello di inquadramento del personale autoferrotranviario (appartengono a questo livello i lavoratori che, con elevato grado di preparazione, esperienza e competenza professionale e con ampia discrezionalità decisionale, per l’attuazione dei programmi, degli indirizzi e degli obiettivi fissati dall’azienda, hanno la responsabilità, il coordinamento ed il controllo di un’area). La Corte d’appello avrebbe dovuto interpretare la normativa contrattuale tenendo conto soprattutto della maggiore ampiezza anche territoriale ed in termini di complessità – quantità di impianti e/o ripartizioni, equivalenti alle attuali unità operative, prevista per il parametro 250, rispetto alla responsabilità di un solo impianto/reparto attuale unità operativa prevista per il par. 205. Con motivazione riduttiva del valore e del contenuto delle mansioni, confermate dalla prova testimoniale espletata, la Corte territoriale non aveva considerato che il F. aveva svolto le sue funzioni, con responsabilità e comando di più di cento dipendenti a lui subordinati, che travalicavano indubbiamente la dimensione del singolo impianto aziendale – ora unità operativa- che abbracciavano più impianti/ripartizioni/unità operative dislocate su tutto il territorio laziale, a conferma della riconducibilità delle mansioni de quibus nell’ambito del parametro 250 piuttosto che in quello 205;

tanto premesso, le anzidette doglianze non meritano pregio, sicchè vanno disattese;

invero, la sentenza impugnata ha riportato compiutamente i termini della vertenza, richiamando le ragioni addotte a sostegno della domanda dall’attore con il ricorso introduttivo del giudizio di merito ed osservando che il giudice di primo grado aveva avuto precipuo riferimento alle previsioni dell’accordo nazionale del 1987, mentre il caso in esame rientrava integralmente nelle previsioni della “nuova classificazione del personale” di cui all’AN del 2000, ed affermato inoltre la riconducibilità all’invocato superiore livello delle mansioni espletate sulla scorta di un’errata lettura delle risultanze processuali, attraverso una non condivisibile motivazione, che non aveva avuto riguardo, in particolare, alle caratteristiche del livello d’inquadramento già rivestito alla stregua di quanto contemplato in materia dalla contrattazione collettiva;

richiamate, quindi, distintamente ed in modo sintetico, ma sufficiente, le deposizioni rese dai testi R., G., C. e S., la Corte di merito ha accertato che il dedotto ruolo di responsabile delle attività di tutti i reparti operativi del Servizio Impianti area manutenzione immobili riguardava esclusivamente la manutenzione ordinaria, con esclusione degli impianti elettrici, e che relativamente alle sedi diverse da Roma e provincia detto ruolo non comportava alcuna decisione circa gli interventi manutentivi ordinari da effettuarsi, che venivano decisi autonomamente presso le sedi, sicchè consisteva in sostanza nel ricevere le richieste di operai e materiali all’occorrenza avanzate dai capi tecnici ivi operanti, dando quindi corso alle medesime;

quindi, secondo la Corte di merito, doveva escludersi che le anzidette mansioni fossero riferibili alla rivendicata “area professionale 1, mansioni gestionali e professionali”, inerente ai “lavoratori che svolgono con carattere di continuità e con elevato grado di competenza tecnica e/o gestionale – organizzativa, funzioni di rilevante importanza e responsabilità al fine del raggiungimento degli obiettivi aziendali” ed al corrispondente profilo di “responsabile unità ammnistrativa/tecnica complessa”, parametro 250 (inquadramento più elevato previsto prima della dirigenza), proprio dei “lavoratori che sono posti a capo di unità organizzative caratterizzate da notevole complessità gestionale e/o tecnica e che operano, con ampi margini di discrezionalità ed autonomia, sulla base delle direttive della direzione di settore, fornendo un apporto significativo al raggiungimento degli obiettivi aziendali”, apparendo per contro le stesse e semmai per eccesso riconducibili all’attribuita “area professionale 2, mansioni di coordinamento e specialistiche”, afferente ai lavoratori che svolgono attività richiedenti competenze tecnico-specialistiche e/o gestionali finalizzate alla realizzazione di processi produttivi”, le quali “possono esse svolte sia attraverso il coordinamento di specifiche unità organizzative sia attraverso l’applicazione di competenze tecnico-specialistiche che richiedono un elevato livello di professionalità”, laddove inoltre il profilo di capo unità tecnica, parametro 205, riguardava i “lavoratori che in possesso di adeguate conoscenze tecniche e gestionali, con margini di discrezionalità e di iniziativa e con relative responsabilità su risultati, gestiscono unità operative di tipo tecnico, fornendo anche un contributo operativo diretto”;

pertanto, la Corte d’Appello non ravvisava nella specie, almeno in relazione al periodo considerato (maggio 2001 – dicembre 2002, sicchè non poteva rilevare la documentazione prodotta dall’attore, concernente il tempo anteriore, al pari delle allegazioni di cui al ricorso introduttivo riferite anch’esse al precedente periodo, tanto più, inoltre, che non risulta mai riconosciuto il superiore inquadramento, mentre anche la precedente sentenza del Tribunale di Roma, n. 7570/05, aveva accertato il diritto alle sole differenze retributive limitatamente all’arco temporale novembre 1998 – aprile 2001), i tratti caratteristici dell’anzidetta area 1 e del rivendicato profilo attinente al parametro 250, tra i quali la preposizione ad una struttura classificabile unità amministrativa/tecnica complessa, in quanto connotata da notevole complessità gestionale e/o tecnica. Nè la spettanza del superiore livello invocato poteva farsi discendere dal solo fatto della rispondenza diretta al dirigente dell’intera area, non essendo questo elemento qualificante nelle riportate previsioni contrattuali collettive;

pertanto, alla luce di quanto motivatamente accertato e valutato, in punto di fatto, dalla Corte di merito con la sentenza qui impugnata (l’unica processualmente rilevante, avendo per intero riformato quella di primo grado, sicchè vale soltanto la decisine del giudice superiore, in quanto è la sola soggetta all’impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c.) non si ravvisano i vizi denunciati ex art. 360 c.p.c., n. 3, le cui doglianze in effetti tendono inammissibilmente a superare, in questa sede di legittimità, le circostanze fattuali nei sensi invece diversamente apprezzate dal giudice d’appello (cfr. Cass. sez. 6-1 n. 1229 del 17/01/2019: una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione. In senso conforme v. Cass. Sez. 6-L n. 27000 del 27/12/2016), dovendosi inoltre ricordare (v. Cass. I civ. n. 640 del 14/01/2019) che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. Per contro, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (parimenti, secondo Cass. I civ. n. 24155 del 13/10/2017, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.

V. altresì Cass. III civ. n. 2465 del 10/02/2015, secondo cui il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito, che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati. Cfr. ancora Cass. III n. 14355 del 14/07/2016: l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti);

pertanto, visto che nel caso di specie non risulta pretermessa alcuna circostanza fattuale da parte della Corte di merito, che ha richiamato altresì tutte le fonti della pertinente contrattazione collettiva, e non soltanto l’accordo nazionale del 27 febbraio 1987, laddove d’altro canto il ricorrente non ha nemmeno denunciato un eventuale vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, le anzidette censure appaiono ingiustificate. Da un lato, infatti, la Corte distrettuale non si è limitata ad una mera interpretazione letterale, ancorata al solo dato testuale, e dall’altro ha reputato, con insindacabile argomentata valutazione in punto di fatto, che comunque il F. non avesse provato di aver diretto unità organizzative di notevole complessità gestionale, operando con ampi margini di discrezionalità e di autonomia, fornendo un apporto significativo al raggiungimento degli obiettivi aziendali, comunque in misura maggiore rispetto a quanto già gli competeva nell’ambito dei compiti rientranti profilo di capo unità tecnica – par. 205, relativamente all’intervallo temporale in questione (maggio 2001 – dicembre 2002);

dunque, il ricorso deve respinto, senza alcun regolamento delle spese relative a questo giudizio, visto che la società CO.TRA.L. è rimasta intimata e comunque non ha svolto alcuna difesa in suo favore;

tuttavia, stante l’esito integralmente negativo dell’impugnazione qui proposta, ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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