Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15624 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 22/07/2020), n.15624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

M.M.L., rappr. e dif. dall’avv. Caterina Bozzoli,

elett. dom. presso il suo studio in Padova, via Trieste n. 49,

caterina.bozzoli.ordineavvocatipadova.it come da procura con in

calce all’atto

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Venezia 18.4.2019, n. 3420/2019,

R.G. 10394/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 26.2.2020;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. M.M.L. impugna il decreto Trib. Venezia 18.4.2019, n. 3420/2019, R.G. 10394/2017 che ne ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale – dopo avere ritenuto non credibile il racconto del richiedente – aveva negato le misure di protezione internazionale ed in particolare escluso il diritto al rilascio del permesso di soggiorno umanitario;

2. il tribunale ha: a) condiviso il giudizio di inverosimiglianza delle ragioni di espatrio e timore a restare per le minacce arrivategli da parenti ove la sua famiglia non si fosse risolta a rinunciare ad un’eredità, nonostante una contraddittoria narrazione circa l’interlocuzione, prima negata e poi ammessa, alla polizia locale e l’abbandono del Bangladesh, indicato nell’iniziale modulo C/3 in ragioni economiche; b) negato la sussistenza di specifica persecuzione, le stesse minacce provenendo da una cerchia privata, nonchè di danno grave anche da conflitto armato, non ricorrendo tale situazione generalizzata in Bangladesh; c) negato anche la protezione umanitaria, per difetto già di allegazione dei requisiti di comparabilità, sia soggettivi che oggettivi, idonei a ricostruire un’effettiva vulnerabilità quanto ai diritti fondamentali, nemmeno essendo risultata una apprezzabile integrazione sociale;

3. il ricorso è su due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. si contesta: (primo motivo) la violazione dell’art. 1, lett. a), punto 2 Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 112,132 e 156 c.p.c. e art. 10 Cost., comma 3, avendo erroneamente il tribunale omesso di circostanziare la situazione del Paese di provenienza e la storia personale del richiedente con l’ausilio delle fonti comprovanti i fatti; (secondo motivo) la violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e l’omessa pronuncia sulla esclusa protezione umanitaria, avendo il richiedente conseguito integrazione sociale in Italia;

2. i motivi, da trattare congiuntamente per la loro evidente connessione, sono inammissibili; il ricorrente, per un verso, ha omesso di censurare in modo specifico la autonoma ratio decidendi con cui il tribunale ha motivatamente giudicato inattendibili e contraddittorie le dichiarazioni rese dal richiedente, ciò riflettendosi sulle altre, generiche, censure; in tema, va seguito il principio per cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c) del. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 3340/2019);

3. in ogni caso, il ricorso di fatto circoscrive ancora le censure ad una generica doglianza avverso la omessa concessione della protezione sussidiaria, nemmeno invocando una diversa lettura delle fonti internazionali invece menzionate dal tribunale veneziano, che ha riscontrato l’assenza di conflitto generalizzato in Bangladesh; nè vengono offerte altre fonti o criticati l’insufficienza o l’omesso aggiornamento o la non pertinenza di quelle sviluppate nel decreto; ciò permette di ritenere la decisione coerente con il principio, più volte reso, per cui “in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato… secondo il canone della specificità della critica difensiva… sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (Cass. 13403/2019);

4. invero, si aggiunge, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

5. la censura sulla protezione umanitaria, infine, non prospetta una diversa inferenza segnalando dove la motivazione del tribunale abbia violato i limiti della giustificazione del diniego, avendo piuttosto il decreto accertato il difetto positivo sia di fattori soggettivi che oggettivi da cui dipenderebbe la vulnerabilità, circostanze avversate in modo del tutto generico;

6. si deve allora ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di

Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; proprio il cennato orientamento non integra invero alcun automatismo tra rivendicata permanenza nello Stato di accoglienza e generica asserzione del sacrificio dei diritti conseguente al rimpatrio, secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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