Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15622 del 15/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 15/07/2011), n.15622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18884-2007 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 77,

presso lo studio dell’avvocato RUSSILLO GERARDO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 962/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 06/07/2006 R.G.N. 935/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’avv. Russillo Gerardo;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 5478/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Salerno rigettava la domanda proposta da A.R. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con la società, dal 7-5-2002 al 30-6-2002, con le pronunce consequenziali.

Il lavoratore proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza depositata il 6-7-2006, rigettava l’appello.

Per la cassazione di tale sentenza l’ A. ha proposto ricorso con quattro motivi.

La società ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia “nullità della sentenza per violazione della L. n. 56 del 1987” e formula il seguente quesito: “accerti la Corte se vi è stata violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto nell’interesse della legge”.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “nullità della sentenza per falsa applicazione dell’art. 25 ccnl dell’11-1-2001” e formula il seguente quesito: “accerti la Corte se vi è stata falsa applicazione dell’art. 25 ccnl dell’11-1-2001 ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi”.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1” e formula il seguente quesito: “accerti la Corte se vi è stata violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto nell’interesse della legge”.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia “nullità della sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5 (erronea e contraddittoria valutazione delle prove documentali di controparte)” e formula il seguente “quesito”: “accerti la Corte se sotto il profilo della correttezza giuridica ed il profilo logico-formale l’esame e la valutazione delle prove documentali di controparte fatta dal giudice di merito, in relazione alla quale ne consegue una contraddittoria ed insufficiente motivazione circa la legittimità dell’apposizione del termine ai contratti stipulati inter partes, sia inidonea o meno a giustificare la decisione dallo stesso assunta”.

Premesso che nella fattispecie, ratione temporis, va applicato l’art. 366 bis c.p.c., osserva il Collegio che tutti i motivi di ricorso risultano inammissibili per mancanza dei requisiti imposti dalla detta norma processuale (in un caso con gli stessi quesiti v. Cass. 7- 4-2011 n. 7953).

La detta norma, infatti, “nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto “deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339).

Peraltro “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Pertanto è inammissibile non solo il motivo nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale “sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice” o sia formulato in modo del tutto generico (cfr.. Cass. S.U. 28-9-2007 n. 20360, Cass. S.U.5-2-2008 n. 2658). In particolare parimenti è inammissibile il motivo “contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla Suprema Corte puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge” (v. Cass. 17-7-2008 n. 19769).

Nell’ipotesi, poi, prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5, “l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione” e “la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (v. Cass. S.U. 1- 10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008 4309).

Orbene nella fattispecie, con riferimento ai primi tre motivi, i rispettivi quesiti si limitano a chiedere genericamente a questa Corte di accertare se vi sia stata la “violazione” (o la “falsa applicazione”) denunciata, senza minimamente esporre una sintesi logico-giuridica delle questioni specifiche sollevate con i motivi stessi e senza neppure indicare gli elementi essenziali idonei ad individuare gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte di merito.

In relazione, poi, al quarto motivo, il momento di sintesi risulta assolutamente generico e tautologico, in quanto i ricorrenti in sostanza si limitano a chiedere a questa Corte di accertare se vi sia stata “una contraddittoria ed insufficiente motivazione circa la legittimità dell’apposizione del termine ai contratti stipulati inter partes” e se al riguardo “l’esame e la valutazione delle prove … sia inidonea o meno a giustificare la decisione”.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese in favore della società controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla controricorrente le spese liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

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