Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15617 del 27/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 27/07/2016, (ud. 12/07/2016, dep. 27/07/2016), n.15617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Ca – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 24506 del molo generale dell’anno

2011, proposto da:

s.r.l. Le Tre Azalee Romane, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al

ricorso, dall’avv. Cesare Persichelli, presso lo studio del quale in

Roma, alla via Crescenzio, n. 20, elettivamente domicilia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sezione 10, depositata in data 16 febbraio

2011, n. 40/10/2011;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

12 luglio 2016 dal consigliere relatore Angelina-Maria Perrino;

uditi per la società l’avv. Cesare Persichelli e per l’Agenzia

l’avvocato dello Stato Bruno Dettori;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

L’Agenzia delle entrate, ravvisata la sussistenza di gravi anomalie ed incongruenze tra costi e ricavi dichiarati, ancorchè in presenza di scritture formalmente regolari, ha proceduto in relazione all’anno d’imposta 2002, ad accertamento induttivo di un maggior valore di affari ai fini dell’iva, di maggiori ricavi ai fini dell’irpeg e di un maggior valore della produzione ai fini dell’irap. In particolare, facendo leva sulla cessione di quattro immobili in relazione alla quale la società ha contabilizzato ricavi per Euro 359.810, a fronte di costi del venduto per Euro 524.817,49, l’ufficio ha emesso un avviso di accertamento col quale ha recuperato le maggiori imposte, che la società ha impugnato, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Di contro, quella regionale ha accolto l’appello dell’Agenzia, sottolineando la sussistenza dei presupposti per procedere all’accertamento in via induttiva e rimarcando che la condotta della contribuente appare contraria ad ogni logica economica da parte di una società a ristretta base familiare, in relazione alla quale le giustificazioni addotte dalla società, incentrate genericamente sul proprio pragmatismo imprenditoriale, sono del tutto inani.

Avverso questa sentenza propone appello la società per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui la l’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

1.- Inammissibile per carenza di autosufficienza è il primo motivo di ricorso, col quale la società deduce l’omessa motivazione della sentenza e la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, là dove il giudice d’appello non ha statuito l’inammissibilità per novità dell’appello proposto dall’ufficio. La società trascura difatti di riportare il contenuto dell’avviso di accertamento e delle deduzioni svolte dall’ufficio in primo grado.

1.1.-A tanto va comunque aggiunto che anche la lacunosa esposizione contenuta in ricorso evidenzia l’infondatezza della censura.

Secondo la contribuente la novità risiederebbe nel fatto che, mentre con l’avviso di accertamento l’ufficio avrebbe puntato su presunzioni semplici, in appello avrebbe virato sulla rilevanza dell’antieconomicità della condotta tenuta.

Immediata è quindi la replica che, in tema di contenzioso tributario, il divieto di propone nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda l’eccezione in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perchè le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezione in senso tecnico (tra varie, Cass., ord. 7 giugno 2013, n. 14486). La valutazione di antieconomicità si risolve per conseguenza in una mera connotazione, avente rilievo di argomento difensivo, della condotta dalla quale è scaturito l’accertamento.

2.- Inammissibile è altresì il secondo motivo di ricorso, col quale la società lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2729 c.c., là dove la Commissione ha trascurato di valorizzare la circostanza che il costo degli acquisti degli immobili era stato sostenuto non già dalla contribuente, sibbene dalla sua incorporata.

Questa Corte ha già avuto occasione di stabilire (da ultimo, vedi Cass., ord. 8 gennaio 2015, n.101) che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

Anche questo motivo, peraltro, si presenta come manifestamente infondato, giacchè l’intervenuta fusione determina la successione della società risultante dalla fusione in tutte le situazioni giuridiche della società fusa, quand’anche derivanti, come nel caso in esame, dal sostenimento di determinati costi. La fusione, difatti, determinando un fenomeno di successione universale, concerne, al di là del letterale riferimento dell’art. 2504-bis c.c. (e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 123, comma 3 nel testo antecedente alla novella del 2003) ai diritti ed agli obblighi, tutte le situazioni giuridiche per loro natura trasmissibili (in termini, Cass. 11059/11, nonchè, tra le più recenti, 22998/15).

7.- Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la società a rifondere le spese, liquidate in Euro 3500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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