Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15611 del 15/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/07/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 15/07/2011), n.15611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 738/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/07/2007 R.G.N. 1971/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega TOSI PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30/5 – 1/8/07 la Corte d’Appello di Milano, pronunziando sull’impugnazione proposta da S.A. avverso la sentenza n. 4107/05 del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo lombardo che gli aveva rigettato la domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità del contratto di fornitura di lavoro temporaneo, accolse l’appello e, in riforma della gravata sentenza, dichiarò che tra l’appellante e le Poste Italiane s.p.a. era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 27/2/03, con condanna della società postale al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni mensili maturate dal 22/12/04, unitamente alle spese del doppio grado di giudizio.

Nell’addivenire a tale convincimento la Corte territoriale spiegò che nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo intercorso tra l’appellante e la società fornitrice di lavoro ALI s.p.a erano solo genericamente richiamati i casi in cui era possibile ricorrere al lavoro temporaneo a tempo determinato in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, nella fattispecie la s.p.a. Poste italiane, per cui non risultava rispettata la disposizione di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3, lett. a), da intendere come norma posta a tutela dell’esigenza della puntualizzazione della causale contrattuale nell’ottica di prevenzione dal rischio di un abusivo ricorso allo strumento eccezionale del lavoro interinale. Non appariva, quindi, giustificata, secondo la Corte, la deroga al regime generale del divieto di procacciamento di mano d’opera da parte di un’impresa e della scissione, salvo i casi eccezionali, tra la figura del datore di lavoro e quella dell’utilizzatore della prestazione, con la conseguenza che l’ipotesi realizzatasi per effetto della mancanza di specificazione della causale contrattuale finiva per essere estranea anche ai casi eccezionali in cui era consentita l’apposizione del termine ex Lege n. 230 del 1962, per cui, in definitiva, ne scaturiva che tra le parti erano intercorsi reali rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’origine.

Ne conseguiva, altresì, che l’appellante doveva essere riammesso in servizio, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate, nella misura non contestata di Euro 1344,32 al mese, a titolo di risarcimento del danno a decorrere dalla data di costituzione in mora, con detrazione dell’aliud perceptum o percipiendum.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane s.p.a che affidano l’impugnazione a cinque motivi di censura.

Resiste con controricorso lo S..

Entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A) Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3, lett. a)e dell’art. 12 disp. gen. di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 262 (art. 360 c.p.c., n. 3) adducendo che la sentenza è viziata nella parte in cui attribuisce a tale norma un senso diverso da quello fatto palese dal dato letterale e dalla “ratio legis”, in quanto vi riconnette un obbligo di specificazione dei motivi di ricorso alla fornitura nei contratto per prestazioni di lavoro temporaneo niente affatto previsto dal legislatore. Si pone, quindi, il seguente quesito: “Dica l’Ecc.ma Corte se erri la sentenza, anche per contrarietà all’art. 12 preleggi, interpretando la L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3, nel senso che prescriva la specificazione, nel contratto di prestazione, dei motivi del ricorso al lavoro interinale e non semplicemente la loro indicazione anche per “relationem” a quelli previsti dal CCNL.” In pratica, la ricorrente lamenta che quello preteso dalla Corte d’appello di Milano rappresenta un onere improprio di puntualizzazione della causale, privo di supporto normativo, apparendo, piuttosto, come un espediente ermeneutico funzionale all’esigenza di controllo sulle ragioni addotte dal datore di lavoro per il ricorso al contratto di prestazione di lavoro temporaneo, laddove sarebbe sufficiente una mera indicazione dei motivi già previsti dalla contrattazione collettiva.

B) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, artt. 1, 3 e 10 (art. 360 c.p.c., n. 3) sostenendo che un vizio di forma del contratto di prestazione di lavoro temporaneo, quale quello della mancata specificazione nello stesso del motivo di ricorso ad una tale tipologia contrattuale, non può ripercuotersi sul contratto di fornitura, per il quale la citata legge, art. 10, sanziona la sola ipotesi della mancanza di forma scritta, in quanto, in tal modo, si finiscono per far ricadere sull’utilizzatore, non responsabile del suddetto vizio, le conseguenze scaturenti da un rapporto che non lo riguarda direttamente. Si chiede, quindi, di accertare che è errata la sentenza che ritiene, sul presupposto di un collegamento tra i due contratti, che il suddetto vizio di mancata specificazione dei motivi nel contratto di prestazione di lavoro temporaneo si ripercuota sul contratto di fornitura con conseguenze a carico dell’utilizzatore che abbia, invece, stipulato un contratto di fornitura immune da vizi formali.

C) Oggetto del terzo motivo di censura è la violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, artt. 1, 2 e 10 (art. 360 c.p.c., n. 3) e si deduce che il giudice d’appello è incorso in errore nel ritenere che grazie all’estensione del vizio di forma del contratto di prestazione di lavoro temporaneo al contratto di fornitura si producano in capo all’utilizzatore effetti diversi ed ulteriori rispetto a quelli dettagliatamente previsti dalla disciplina speciale dell’art. 10 con riferimento ai vizi di forma e di sostanza del contratto di fornitura.

In concreto, secondo la ricorrente la norma disciplina compiutamente le conseguenze dei vizi, sia di ordine formale che sostanziale, dell’uno e dell’altro contratto, mantenendoli distinti, onde l’interprete non può mischiare vizi e conseguenze con l’espediente della ricostruzione di una unitaria fattispecie contrattuale complessa.

D) E’ censurata, in tal caso, la violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, art. 10 e della L. n. 1369 del 1960 anche in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10 (art. 360 c.p.c., n. 3). Si sostiene, in effetti, che il vizio di forma del contratto di prestazione non può comportare in capo all’utilizzatore la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato ordinario a tempo indeterminato a fronte della norma (art. 10) che a suo carico fa discendere solo l’applicazione della L. n. 1369 del 1960, cioè la novazione soggettiva del rapporto e le sanzioni penali ed amministrative, e a fronte del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, che esclude l’applicabilità al lavoro interinale disciplinato dalla L. n. 196 del 1997, delle regole dettate dal decreto per il lavoro subordinato ordinario a tempo determinato.

Il quesito posto in relazione a tale motivo è il seguente: ” Dica l’Ecc.ma Corte se erri la sentenza, incorrendo in violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, art. 10 e L. n. 1369 del 1960, anche in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, nel ritenere che un vizio di forma del contratto di prestazione, sul presupposto che vizi la fattispecie complessa disciplinata dalla L. n. 196 del 1997, comporti in capo all’utilizzatore la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato ordinario a tempo indeterminato a fronte di una norma (l’art. 10) che a suo carico dai vizi formali (tranne quello della mancanza di forma scritta) e dai vizi sostanziali fa discendere solo la conseguenza dell’applicazione della L. n. 1369 del 1960, cioè la novazione soggettiva del rapporto e le sanzioni penali e amministrative ivi stabilite e a fronte di una norma, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, che esclude l’applicabilità al lavoro interinale disciplinato dalla L. n. 196 del 1997 delle regole dettate dal decreto per il lavoro subordinato ordinario a tempo determinato (tra cui, per giurisprudenza prevalente, la regola della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato).” E) Con l’ultimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3 lett. g), L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 3 e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, art. 1457 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) sostenendosi che il vizio della decisione è nella parte in cui fa discendere la durata indeterminata del rapporto di lavoro dal fatto che non risulta da parte del reale datore di lavoro iniziativa di sorta, dichiarativa o costitutiva, della cessazione del rapporto di lavoro che, pertanto, ha continuato a produrre i suoi effetti giuridici.

In particolare, il quesito di diritto che si pone è diretto a verificare se vi è errore nella sentenza che contenga l’affermazione per la quale il rapporto lavorativo deve considerarsi come destinato a continuare, con conseguente permanenza dell’obbligo retributivo per il periodo successivo, nella ipotesi in cui alla scadenza del termine apposto al contratto di lavoro temporaneo l’attività sia cessata senza iniziativa del lavoratore diretta a sollecitarne la continuazione ed in mancanza di un atto datoriale dichiarativo della cessazione del rapporto, ipotesi queste, nelle quali, invece, secondo la ricorrente dovrebbe ritenersi verificata una risoluzione di diritto del rapporto stesso.

1. Osserva la Corte che i cinque motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto impongono nel loro complesso la disamina della disciplina del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, cosiddetto lavoro interinale, come disciplinato dalla L. n. 196 del 1997, comunemente nota come Legge Treu, disciplina applicabile nella fattispecie in esame “ratione temporis”.

Attraverso tale istituto il legislatore introduceva nell’ordinamento una ipotesi di flessibilità che si differenziava in modo netto dallo schema di lavoro subordinato delineato dall’art. 2094 c.c. e dalla L. n. 1369 del 1960.

Tuttavia, è bene ricordarlo, in conformità alla “ratio legis” di protezione dei lavoratori da forme di sfruttamento conseguenti alla dissociazione tra la titolarità formale del rapporto e la sua effettiva destinazione, cioè fra l’autore dell’assunzione e l’effettivo beneficiario delle prestazioni lavorative, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, non veniva eliminato dalla disciplina, di cui alla suddetta L. n. 196 del 1997, che anzi espressamente lo richiamava all’art. 10 (Cass., n. 23569 del 2007).

2. E’ nota la definizione che la L. n. 196 del 1997, art. 1, offre del suddetto contratto, individuando una fattispecie complessa alla quale partecipano tre soggetti: l’impresa fornitrice, il prestatore di lavoro temporaneo e l’impresa utilizzatrice.

Infatti, tale norma stabilisce che il contratto di fornitura di lavoro temporaneo è il contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo (denominata impresa fornitrice), iscritta all’albo previsto dall’art. 2, comma 1, pone uno o più lavoratori (denominati prestatori di lavoro temporaneo), da essa assunti col contratto previsto dall’art. 3 (contratto per prestazioni di lavoro temporaneo), a disposizione di un’impresa che ne utilizza la prestazione lavorativa (denominata impresa utilizzatrice), per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo individuate ai sensi del comma 2.

E’, altresì, acquisito, per quel che riguarda il contratto di fornitura, che l’art. 1, comma 2, lett. a), affida alla contrattazione collettiva l’individuazione dei limiti o dei contenuti che condizionano l’ambito di applicazione della legge. Così, si può ricorrere al lavoro interinale nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi (gli altri casi di cui alle lettere b) e c) riguardano, rispettivamente, le ipotesi di temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali e di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4).

3. Ebbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha spiegato che nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo intercorso tra il lavoratore appellante e la società fornitrice ALI s.p.a, che aveva, a sua volta, concluso un contratto di fornitura di lavoro temporaneo con la s.p.a Poste Italiane per la necessità di quest’ultima di sopperire ad un rilevante numero di assenze per malattia, ferie ed altro, erano solo genericamente richiamati i casi in cui era possibile ricorrere al lavoro temporaneo a tempo determinato in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, nella fattispecie la s.p.a Poste Italiane, per cui non risultava rispettata la disposizione di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3, lett. a), da intendere come norma posta a tutela dell’esigenza della puntualizzazione della causale contrattuale nell’ottica di prevenzione dal rischio di un abusivo ricorso allo strumento eccezionale del lavoro interinale.

La norma di cui all’art. 3, comma 1, stabilisce, infatti, che il contratto di lavoro per prestazioni di lavoro temporaneo è il contratto col quale l’impresa fornitrice assume il lavoratore a tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice (ipotesi contemplata dalla lettera a);

a tempo indeterminato (ipotesi contemplata dalla lett. b).

Il citato art. 3, comma 2, prevede, inoltre, che col contratto di cui al comma 1 il lavoratore temporaneo, per la durata della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice, svolge la propria attività nell’interesse nonchè sotto la direzione ed il controllo dell’impresa medesima, mentre nell’ipotesi di contratto a tempo indeterminato rimane a disposizione dell’impresa fornitrice per i periodi in cui non svolge la prestazione lavorativa presso un’impresa utilizzatrice.

Infine, l’art. 3, comma 3, prescrive che il contratto di lavoro temporaneo deve essere stipulato in forma scritta ed indica analiticamente gli elementi che devono entrare a far parte del contenuto dello stesso contratto, tra i quali prevede espressamente alla lettera a) i motivi del ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.

4. Orbene, la Corte d’Appello, facendo riferimento alla violazione di quest’ultima disposizione (art. 3, comma 3, lett. a), piuttosto che all’applicazione della L. n. 1369 del 1960 richiamata dalla L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, ha tratto la conclusione che nella fattispecie doveva ritenersi instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti reali, impresa utilizzatrice e lavoratore, sin dall’origine, date le modalità concrete de rapporto, che si caratterizzavano per la prestazione dell’attività resa in favore di Poste spa e la soggezione al potere direttivo e organizzativo della stessa. In effetti, il giudice d’appello è pervenuto a tale convincimento dopo aver constatato che l’art. 1, comma 5, nell’indicare i requisiti formali ed il contenuto del contratto di fornitura che intercorre tra l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice, non vi comprende la specificazione della causale d’utilizzazione dei dipendenti, per cui ha ritenuto di poter individuare lo strumento del necessario raccordo tra la causale astratta e la situazione concreta nella previsione della L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3, lett. a), disposizione per la quale, come si è visto, il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, con cui l’impresa fornitrice assume il lavoratore, contiene, tra l’altro, i motivi di ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.

Tale soluzione finisce, però, per essere ristretta all’ambito dei rapporti intercorrenti tra il prestatore di lavoro temporaneo e l’impresa fornitrice, perdendo di vista, in tal modo, l’importanza effettiva ricoperta dalle norme sanzionatone di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 10, che coinvolgono la responsabilità diretta anche dell’impresa utilizzatrice, per cui occorre soffermarsi sulla disciplina contenuta in tale disposizione normativa.

5. L’art. 10, comma 1, come si è accennato, stabilisce che continua a trovare applicazione la L. n. 1369 del 1960 sia nei confronti dell’impresa utilizzatrice che si avvalga di soggetti diversi da quelli di cui all’art. 2, oppure violi le disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, sia nei confronti dei soggetti che forniscono prestatori di lavoro dipendente senza essere iscritti all’albo di cui all’art. 2, comma 1.

Com’è noto la L. n. 1369 del 1960, all’art. 1, nel vietare l’intermediazione e l’interposizione di manodopera, sancisce che i prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti previsti, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni. La L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, prevede, inoltre, sia l’ipotesi in cui manchi la forma scritta del contratto di fornitura, nel qua caso il lavoratore si considera assunto dall’impresa utilizzatrice con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia quella in cui difetti la forma scritta del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo tra il lavoratore e l’impresa fornitrice, nel qual caso il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato con quest’ultima. Comunque, è interessante osservare come nessun riferimento esplicito sia effettuato dal citato art. 10, all’art. 3, comma 3, lett. a), norma, quest’ultima, considerata, invece, di raccordo dal giudice d’appello.

6. In ragione di quanto esposto, in riferimento ai motivi di ricorso, punto centrale della fattispecie sottoposta all’attenzione di questa Corte sono le conseguenze derivanti dall’accertamento svolto dal giudice d’appello in ordine alla riscontrata genericità, nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo intercorso tra l’impresa fornitrice ed il lavoratore, del richiamo ai casi in cui era possibile ricorrere al lavoro temporaneo a tempo determinato in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice.

Tanto premesso, occorre rilevare che i motivi sono fondati quanto alla doglianza concernente la contraddizione della pronuncia d’appello che, da un lato, esclude di fare applicazione della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, mentre, dall’altro, applica la misura della costituzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore. Tuttavia la fondatezza sotto tale profilo non comporta la cassazione della sentenza impugnata, perchè il suo dispositivo è conforme a diritto sulla base di una diversa motivazione che questa Corte provvedere ad enunciare ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006.

Ritiene questa Corte che deve essere data, invece, prevalenza alla L. n. 1369 del 1960 che è richiamata dalla L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1. Tale comma, come si è accennato, prevede la sanzione a carico dell’impresa utilizzatrice, tra l’altro, per le violazioni di cui alla citata L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a).

Quest’ultima norma stabilisce che il contratto di fornitura di lavoro temporaneo può essere concluso nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Pertanto non è sufficiente, come sostenuto dal giudice d’appello, il solo richiamo, nel contratto di prestazione di lavoro temporaneo tra impresa fornitrice e lavoratore, alle causali generali dei suddetti contratti collettivi per farne discendere la instaurazione a carico dell’impresa utilizzatrice di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto, trattandosi di fattispecie complessa voluta dal legislatore per attenuare la rigidità del precedente impianto di divieto di intermediazione di mano d’opera, occorre che l’utilizzatore si faccia carico di dimostrare, sussistendo la contestazione in proposito, l’avvenuto rispetto, nello svolgimento del rapporto diretto con il prestatore di lavoro, delle causali previste dai contratti collettivi nazionali della sua categoria di appartenenza, a loro volta trasfuse nel contratto di fornitura intercorso con l’impresa fornitrice ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a).

In tal modo, non solo si perviene ad una lettura logica e coerente, in armonia con la norma di cui all’art. 1, comma 2, lett. a), della disposizione sanzionatoria di cui alla citata L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, ma si supera, altresì, la visione parcellizzata, estranea agli intenti del legislatore, dei tre rapporti in esame, vale a dire quello di fornitura tra impresa fornitrice ed impresa utilizzatrice, quello di prestazione del lavoro temporaneo tra impresa fornitrice e lavoratore e quello finale tra impresa utilizzatrice e prestatore di lavoro temporaneo, essendo preminente la esigenza di valutare l’effettiva attuazione, nel corso di esecuzione del rapporto ultimo tra prestatore di lavoro ed impresa utilizzatrice, delle causali indicate nel contratto di fornitura.

In pratica si impone una lettura unitaria dei rapporti tra i soggetti della complessa fattispecie in considerazione del collegamento che non può non sussistere tra la causale del rapporto di fornitura (quello tra l’impresa tornitrice e l’impresa utilizzatrice) ed il rapporto di lavoro temporaneo intercorso tra l’utilizzatrice ed il prestatore di lavoro, nel quale deve persistere la ragione giustificatrice che aveva indotto la prima ad avvalersi della fornitura di lavoro ex Lege n. 196 del 1997. La verifica della persistenza di tale causa giustificatrice non può che passare attraverso la prova che in concreto l’impresa utilizzatrice dovrà fornire in giudizio della sussunzione del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva di cui alla citata L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a). Solo in tal modo potrà ritenersi rispettata la finalità enucleabile dal richiamo della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1 alla L. n. 1369 del 1960, vale a dire quella di evitare il ricorso a forme elusive del divieto di intermediazione di mano d’opera, come quelle che potrebbero discendere, ad esempio, dalla divaricazione tra causale del contratto di fornitura ed effettiva ragione dell’utilizzazione del lavoro temporaneo.

In definitiva, può ritenersi che si è in presenza di un collegamento negoziale che costituisce fenomeno incidente direttamente sulla causa dell’operazione contrattuale che viene posta in essere, risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali – il contratto di fornitura e il contratto per prestazione di lavoro temporaneo – quest’ultimo venendo dalla società fornitrice concluso allo scopo, noto all’utilizzatore, di soddisfare l’interesse di quest’ultimo ad acquisire la disponibilità di prestazioni di lavoro – rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria. Tale collegamento, in particolare, acquisisce autonoma rilevanza giuridica, tenuto conto che le parti contrattuali, diverse, sono consapevoli del nesso teleologia) tra i più atti negoziali, e lo stesso si palesa all’esterno proprio in ragione dell’obiettivo della flessibilità.

7. A ciò consegue che i motivi di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), vale a dire quelli del ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, la cui indicazione è richiesta con riguardo al contenuto del contratto intercorrente tra impresa tornitrice e singolo lavoratore, hanno una valenza autonoma e concorrono ad integrare il disposto di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) sulla possibilità che il contratto di fornitura tra l’impresa utilizzatrice e quella tornitrice sia concluso nei casi previsti dagli accordi collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, il tutto nell’ottica di una visione dei rapporti tra loro collegati.

Pertanto, il contenuto del contratto di prestazione di lavoro temporaneo intercorrente tra l’impresa fornitrice ed il singolo lavoratore assume un peculiare rilievo rispetto a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lett. a), in quanto la mancanza o la genericità dello stesso spezza l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale che il legislatore fa discendere dall’indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso (citato art. 1, comma 2, lett. a). A ciò consegue che trova applicazione il disposto di cui all’art. 10 e, dunque, quanto previsto dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, u.c., per cui il contratto di lavoro col fornitore “interposto” si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore “interponente”.

8. Resta da superare, a questo punto, la questione che si pone in ordine alla connotazione temporale che viene ad assumere il rapporto che si instaura con l’utilizzatore interponente.

Come si è visto, la L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, prevede l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nell’ipotesi specifica della mancanza di forma scritta del contratto.

Occorre, in pratica, verificare se, nei casi diversi da quello della mancanza di forma scritta del contratto, operi egualmente la sanzione della instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore interponente. La risposta a tale questione è, secondo il giudizio di questa Corte, affermativa. Invero, diverse sono le ragioni che inducono a ritenere che la suddetta sanzione si applichi anche nell’ipotesi generale di cui alla L. n. 196 del 1997, art 10 comma 1.

8.1. Anzitutto, il richiamo generalizzato ed indifferenziato contenuto in tale comma alla L. n. 1369 del 1960 sul divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro non può avere altro significato, nell’intenzione del legislatore, che quello di veder applicate le conseguenze sanzionatone di tale disciplina alle ipotesi di violazione della disposizione di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a) vale a dire la violazione alla regola, normativamente contemplata, di conclusione del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.

Non bisogna, infatti, dimenticare che, allorquando era vigente la L. n. 1369 del 1960, la normalità era rappresentata dalla figura del contratto di lavoro a tempo indeterminato, per cui alla sostituzione soggettiva del reale datore di lavoro interponente, quale effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa oggetto dell’operazione di intermediazione o di interposizione, al fittizio datore di lavoro interposto si accompagnava l’instaurazione di un rapporto lavorativo normalmente a tempo indeterminato, non essendo, ovviamente, possibile costituire un rapporto a termine che rappresentava all’epoca l’eccezione.

8. 2. Nè vale ad escludere una tale interpretazione il fatto che la sanzione della instaurazione di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato è prevista espressamente dall’art. 10, comma 2, per l’ipotesi della mancanza di forma scritta del contratto: invero, è agevole osservare che se una tale sanzione è prevista per l’ipotesi meno grave del vizio formale della mancanza della forma scritta dell’accordo, a maggior ragione essa non può non essere applicata a quella più grave, in quanto ingiustificata, della violazione sostanziale dell’inosservanza della disposizione di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a), vale a dire della regola che il contratto di fornitura sia concluso per i casi prefigurati dalla contrattazione collettiva espressione dei sindacati comparativamente più rappresentativi.

8.3. Egualmente, non va sottaciuto l’insuperabile argomento sistematico per il quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine:

invero, una volta costituito con l’impresa fornitrice interposta il contratto a termine, qualora si volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura “ex lege” con l’impresa utilizzatrice interponente debba essere a termine, ad onta della accertata illegittimità dell’apposizione del termine, si perverrebbe alla inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione del divieto di interposizione di mano d’opera consentirebbe all’interponente di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa.

8.4. Va da sè che il termine apposto al contratto di lavoro temporaneo col fornitore interposto può essere salvato, nella imputazione “ex lege” del contratto all’utilizzatore interponente, solo se il negozio concluso è di per sè stesso conforme alla disciplina del lavoro a termine, avendone l’utilizzatore fornito la prova, in quanto diversamente sarebbe esclusa in radice la legittimità del ricorso al contratto di fornitura.

8. 5. D’altra parte, un avallo alla ricostruzione fin qui operata discende anche dalla sentenza n. 58 del 16 febbraio 2006 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale, per irragionevolezza e contrarietà al principio di tutela del lavoro, l’intervento legislativo (L. n. 388 del 2000, art. 117, comma 1) col quale la trasformazione del contratto prevista dal secondo periodo della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, (contratto per prestazioni di lavoro temporaneo di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 3, mancante della forma scritta ovvero degli elementi di cui all’art. 3, comma 3, lett. g) era stata sancita a tempo “determinato” invece che “indeterminato”.

L’inesistenza di un valido motivo di censura in ordine al risarcimento del danno rende estranea al presente giudizio la questione dell’applicabilità della L. 4 novembre 2010 n. 183, art. 32, cui la società ricorrente ha fatto riferimento nella memoria ex art. 378 c.p.c..

Pertanto, il ricorso è infondato e va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario, oltre Euro 40,00 per esborsi, nonchè IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

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