Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15609 del 27/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 27/07/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 27/07/2016), n.15609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13574-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

TRAPUNTIFICIO VESUVIANO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO 20, presso lo

studio dell’avvocato RUGGIERO ANDREA, rappresentato e difeso

dall’avvocato RODOLFO VISERTA giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/2009 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 03/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MELONCELLI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza in atti della CTR Campania che, respingendone l’appello, ha confermato la decisione di primo grado di annullamento di un avviso di accertamento notificato alla contribuente a seguito del rinvenimento presso un terzo di “buoni di consegna merce”, che, non trovando riscontro nella contabilità della parte, i verificatori avevano ritenuto rappresentativi di operazioni di vendita non fatturate.

Il giudice territoriale ha rigettato il gravame osservando che l’accertamento era fondato su “un semplice indizio che avrebbe dovuto essere supportato da altri elementi concordanti tra loro, tali da poter assumere il carattere di prova” e che la ripresa era motivata “con mero rinvio alle considerazioni” sviluppate dai verificatori, giungendo alle stesse conclusioni senza però operare una propria autonoma valutazione, ancorata nella specie al solo rinvenimento dei citati documenti extracontabili.

Il mezzo erariale si vale di un unico motivo di ricorso, articolato su due censure, al quale replica la parte con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sotto un primo profilo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, artt. 2697, 2727 e 115 c.p.c. errando la CTR “nel ritenere che spettasse al fisco fornire la prova dell’esistenza di maggiori redditi”, ancorchè la prova di essi fosse desumibile dai buoni di consegna rinvenuti presso il terzo, e nel non dare al contrario atto “che incombeva al contribuente fornire la prova contraria”, nella specie del tutto mancante; e sotto un secondo profilo un vizio di erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione, errando la CTR nel ritenere, “senza argomentare e senza tener conto dell’assenza di contestazioni, che i buoni di consegna reperiti presso il terzo necessitassero di ulteriori riscontri”.

2.2.1. La prima censura, concretante la denuncia di un errore di diritto, è infondata per difetto di conferenza con il decisum.

Osservato infatti che il carattere vincolato che assume nel nostro ordinamento il giudizio di legittimità impone che il ricorso sia veicolato attraverso uno dei motivi tassitativamente previsti dall’art. 360 c.p.c. e che nell’esposizione del motivo trovino espressione le ragioni del dissenso, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità alla decisione impugnata proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione, nella specie la sollevata censura è del tutto estranea alla motivazione della decisione impugnata. Invero, mentre il giudice d’appello, in stretta adesione alle regole probatorie che governano la materia – e che accollano primariamente all’amministrazione l’onere di provare, in conformità al principio più generalmente posto dall’art. 2697 c.c., i fatti costitutivi della pretesa esercitata con l’atto impositivo – ha motivato la ricusazione dell’assunto erariale sulla base di un giudizio che ha luogo sul piano dell’efficacia probatoria degli indizi raccolti nella specie dai verificatori, ritenendo all’esito di una valutazione che compete solo a lui in quanto giudice del fatto sostanziale ed in quanto depositario esclusivo del potere di valutazione delle prove, che il mero fatto costituito dal rinvenimento della documentazione extracontabile non costituisse fonte di attendibile convincimento, l’impugnante ha invece inteso censurare il deliberato opposto interloquendo sul diverso piano della conformità di esso ai principi regolanti in materia la ripartizione dell’onere probatorio, che si assumono violati in quanto nella specie si sarebbe ignorato il fatto che la contribuente non avesse “controdedotto alcunchè”, in tal modo però esternando una critica di diritto alla decisione che non trova riscontro alcuno nel percorso motivazionale sviluppato dal giudice d’appello in fedele adesione a quei principi qui asseritamente violati.

2.2.2. La seconda censura, concretante la denuncia di un vizio motivazionale sotto forma di una pretesa erronea, insufficiente e contradditoria motivazione, è – ad onta della sua pure rilevabile inammissibilità, mettendo essa invero capo, per un verso, ad una categoria critica (l’erroneità) che non è formalmente riconducibile al quadro previsionale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed attuando, per l’altro, un’impropria mescolanza di doglianze che la Corte ha già reiteratamente disapprovato (1704/16; 38/16; 19343/11) – è nel merito destituita di ogni fondamento.

Non sussiste per vero l’allegata erroneità motivazionale in quanto la CTR ha rettamente governato le risultanze istruttorie al suo esame motivando il rigetto della pretesa erariale con la considerazione dell’inidoneità probatoria della documentazione extra contabile rinvenuta presso un terzo a suffragare la legittimità della ripresa operata con l’atto impugnato, dando in tal modo corpo ad un giudizio che, in adesione ai sopra ricordati principi, laddove esclude la concludenza delle dette acquisizioni documentali, risulta coerentemente e logicamente formulato e rispetto al quale la censura motivazionale sollevata dalla parte con la doglianza in disamina integra la mera postulazione di una rinnovazione dell’esperito giudizio di fatto.

3. Il ricorso va dunque conclusivamente disatteso.

4. Le spese seguono la soccombenza e si regolano come da dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2200,00, oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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