Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15609 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. II, 04/06/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 04/06/2021), n.15609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23336/2019 proposto da:

D.T., rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI VILLARI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PALERMO;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MESSINA, depositato il

07/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.T., cittadino del Bangladesh, impugna per cassazione il decreto del Tribunale di Messina, con cui è stato rigettato il ricorso avverso la decisione con la quale la Commissione Territoriale di Palermo aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria.

1.1. Innanzi alla Commissione Territoriale, D.T. aveva dichiarato che la madre aveva contratto debiti con privati e con la banca che non era stata in grado di onorare, per consentirgli di espatriare. Erano seguite minacce ed aggressioni da parte dei creditori ed aveva pertanto deciso di lasciare il proprio Paese per timore di gravi ritorsioni. Aveva preso tre voli internazionali prima di giungere in Libia, per arrivare in Italia.

2. Svolgendo cinque motivi, D.T. ha chiesto l’annullamento del decreto impugnato.

2.1. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16, direttiva 2013 UE, art. 2, comma 1, lett. g, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si censura l’apparenza della motivazione in ordine alla credibilità del ricorrente, affidata all’opinione soggettiva del giudicante, senza svolgere alcun accertamento sul fenomeno dell’usura in Bangladesh.

2. Con il secondo motivo, lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b), oltre all’omesso esame di un fato decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aver tenuto conto del pericolo che avrebbe corso in caso di rientro a causa dell’ingente debito contratto dalla famiglia dagli usurai e dell’incapacità delle istituzioni nel contrastare il fenomeno dell’usura.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere il Tribunale omesso di valutare la sua vicenda personale nel paese di transito

4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Tribunale esaminato la documentazione prodotta in giudizio, con particolare riferimento alla relazione sociale del centro d’accoglienza.

5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto il provvedimento impugnato non avrebbe valutato la condizione di personale vulnerabilità del ricorrente e non avrebbe compiuto il necessario giudizio comparativo tra la sua situazione di partenza in Bangladesh e l’attuale livello di integrazione in Italia.

5.1. I motivi, che per la loro connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

5.2. In tema di credibilità del ricorrente e relativo al riconoscimento dello status di soggetto meritevole di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b), il Tribunale è pervenuto ad un giudizio di inattendibilità della vicenda narrata, individuando una serie di contraddizioni intrinseche, in ragione ai motivi che avevano spinto la famiglia a contrarre considerevoli debiti per fare espatriare il figlio, all’assenza di alcuna allegazione circa il prestito ricevuto ed il rilascio della garanzia sulla casa; inoltre, era inverosimile la circostanza che, per giungere in Italia, egli avesse preso tre voli aerei senza passaporto.

5.3. Secondo quanto affermato da questa Corte “In tema di protezione

internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

5.4. In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., n. 16925/2018; e v. Cass., n. 3340/2019, Cass. n. 24506/2020 fra le molte).

5.5. Nel caso in esame, il decreto impugnato, mediante una valutazione unitaria delle dichiarazioni rese, ha rilevato come le contraddizioni e le discrasie del racconto del richiedente attenessero ad aspetti non affatto secondari della vicenda; a fronte di tali specifiche argomentazioni le censure del ricorrente, sotto il profilo espresso della violazione di legge, risultano del tutto generiche, essendosi questi limitato a “contestarne” il contenuto, senza ai contempo indicare su quali parti del racconto l’interessato avrebbe fornito indicazioni specifiche e di carattere decisivo che il giudice di merito avrebbe omesso doverosamente di apprezzare.

5.6. L’assenza di credibilità della vicenda relativa al prestito ed alle minacce ricevute dagli usurai esclude la configurabilità della protezione sussidiaria riconducibile alle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lettera a) e b) e, conseguentemente l’indagine sul fenomeno dell’usura in Bangladesh.

5.7. L’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (direttiva Ue n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21145).

5.8. Quanto alla domanda di protezione umanitaria, l’inesistenza di un quadro di controindicazioni al rimpatrio risulta essere stato motivatamente affermato in difetto dell’esistenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente, sulla scorta di una valutazione comparativa che ha tenuto conto della sua situazione oggettiva e soggettiva, della situazione del Paese di origine e dei motivi che ne avevano determinato l’allontanamento, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., S.U., n. 29459/2019).

5.9. Nè particolari situazioni di vulnerabilità sono direttamente riferibili alla persona del richiedente, che ha documentato una patologia, l’ipoacusia, che, secondo l’apprezzamento del Tribunale, non ha carattere invalidante.

5.10. Al riguardo, va infatti ribadito come la condizione per il rilascio di un permesso di natura umanitaria, risieda nella valutazione di una situazione concreta di vulnerabilità da proteggere, alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano, riferita ad elementi strettamente personali, che sia la conseguenza dalla grave violazione dei diritti umani dell’interessato nel paese di provenienza.

5.11. Tale situazione non è integrata da ragioni di natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione, occorrendo, appunto, che tale condizione di vulnerabilità sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (Cass. n. 28015 del 2017; n. 26641 del 2016), e che, comunque, il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass. n. 4455 del 2018).

5.12. Quanto all’integrazione raggiunta in Italia, il ricorrente si limita a richiamare una “relazione sociale”, senza riportarne il contenuto, in violazione del dovere di specificità del ricorso, previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

6.1. Non deve provvedersi sulle spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

6.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

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