Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15604 del 27/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 27/07/2016, (ud. 20/06/2016, dep. 27/07/2016), n.15604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15839/2010 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PO 9, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCO NAPOLITANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MANUEL SERI con studio in MACERATA VIA GHINO VALENTI

11 (avviso postale ex art. 135) giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 34/2010 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 09/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito per il ricorrente l’Avvocato SERI che si riporta agli atti;

udito per il resistente l’Avvocato CASELLI che si riporta e chiede il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.G., titolare dell’omonima ditta individuale, esercente l’attività di produzione calzature non in gomma, con sede in (OMISSIS), impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), per l’anno d’imposta 2001, con cui venivano recuperati a tassazione maggiori ricavi di Lire 12.241.000 (pari ad Euro 6.322,00), derivanti dallo studio di settore TDO8U, con conseguente riliquidazione di maggiori tributi per la somma complessiva di Euro 3.004,00 ed applicazione di sanzioni per la somma di Lire 2.083,00.

Il ricorrente deduceva l’invalidità per difetto di motivazione, rispetto alle giustificazioni e precisazioni offerte nel corso del contraddittorio preventivo; l’illegittimità per l’insussistenza dei presupposti, in specie delle “gravi incongruenze” fra i ricavi presunti e quelli dichiarati; la natura di mera presunzione semplice del risultato dello studio di settore, quindi inidonea a sostenere da sola la pretesa impositiva; la non rappresentatività dello studio di settore applicato (in quanto inadatto a cogliere la peculiare situazione del contribuente, incapace di valorizzare la temporanea crisi del settore calzaturiero, inadeguato a recepire le numerose variabili indipendenti).

La Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno accoglieva parzialmente il ricorso disponendo la rettifica dell’avviso di accertamento (in modo che i ricavi fossero assunti nell’importo corrispondente al minimo ammissibile, pari ad Euro 22.540,00, in ragione del fatto che nel 2001 il contribuente aveva subito un infortunio), e compensava interamente tra le parti le spese del giudizio.

2.- Proposto appello da parte del P., la Commissione Tributaria Regionale di Ancona ha rigettato il gravame, confermando la sentenza impugnata e compensando le spese del secondo grado. Il giudice d’appello ha valorizzato l’esito del contraddittorio preventivo, che aveva condotto all’applicazione di uno studio di settore evoluto rispetto a quello originariamente applicato, ed ha ritenuto che in sede contenziosa il contribuente non avesse apportato ulteriori elementi atti a rimuovere le conclusioni dell’Ufficio (fatto salvo quello relativo all’infortunio subito nell’anno d’imposta considerato, già valutato dal primo giudice), essendo generici e solo enunciati i riferimenti alle ridotte dimensioni aziendali ed alla crisi del settore calzaturiero, nonchè irrilevante la circostanza del numero ridotto di committenti (per non aver provato il ricorrente quale concreto contributo questa avrebbe determinato in termini di minori ricavi e minor reddito rispetto ai risultati dello studio di settore); ha infine reputato non sufficientemente supportato da elementi tecnici il motivo concernente l’utilizzazione di uno strumento (una trancia), che si sarebbe rivelato “sovradimensionato”.

3.- Avverso la sentenza, pubblicata il 9 marzo 2010, P.G. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, articolati in più censure.

L’Agenzia delle Entrate, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, non ha notificato controricorso ma ha partecipato alla discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè, secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe omesso di esaminare e decidere specifici motivi di censura. In particolare, sarebbe stata omessa la pronuncia:

– sulla questione “essenziale e pregiudiziale” sollevata dal contribuente, riguardante la mancata esplicitazione nelle motivazioni dell’avviso di accertamento impugnato delle ragioni in base alle quali l’Ufficio finanziario ha disatteso le varie giustificazioni offerte dal contribuente nel corso del contraddittorio preventivo;

– su altra “questione essenziale, gradatamente subordinata”, costituita dall’illegittimità dell’accertamento da studi di settore per mancanza delle “gravi incongruenze” tra i ricavi presunti e quelli dichiarati;

– sulla mancata valutazione delle ragioni (peraltro inespresse) per le quali la malattia avrebbe giustificato la riduzione dei presunti maggiori ricavi nel limite del minimo ammissibile, che comunque esprime un valore riferibile alla normalità dello svolgimento delle lavorazioni, quando invece avrebbe dovuto escludere in toto l’applicazione dello studio di settore.

1.1.- Il motivo è infondato.

Va fatta applicazione del principio per il quale l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio deve essere pertanto escluso in relazione a una questione esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza e che è, quindi, suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio, se riprospettata con specifica censura (così, da ultimo, Cass. n. 3417/15).

Nel caso di specie, il giudice di merito si è implicitamente pronunciato sulle prime due questioni indicate nel motivo in esame, in quanto risultano presupposte e risolte dalla sentenza cumulativamente con quelle – da reputarsi assorbenti – dell’idoneità dell’avviso di accertamento a dare conto delle ragioni per le quali era stato applicato un determinato studio di settore ed erano state disattese le contestazioni del contribuente (secondo la CTR perchè lo studio evoluto alla fine è stato applicato, in luogo di quello originario, anche considerando le specificità evidenziate in sede di contraddittorio preventivo), nonchè della sufficienza dello stesso contenuto a qualificare come “grave incongruenza” la divergenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore.

Trattasi di pronuncia che necessariamente presuppone risolte le questioni denunciate – delle quali, peraltro, soltanto la prima è stata fatta oggetto di specifica censura (anche) col terzo motivo, mentre non risulta riproposto l’assunto del ricorrente della mancanza di gravi incongruenze – sicchè – a prescindere dalla correttezza o meno della soluzione data dal giudice a quo – è certo da escludere il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c..

1.2.- Parimenti è a dirsi con riferimento all’ultima delle questioni rispetto alle quali è denunciata l’omessa pronuncia. La CTR ha sul punto confermato le valutazioni espresse dal primo giudice, così implicitamente riconoscendone la correttezza.

Pertanto, al fine di criticare la conformità a diritto di questa statuizione, il ricorrente avrebbe dovuto riprodurre col ricorso il motivo sopra riassunto, onde attaccare la sentenza di secondo grado, sostanzialmente confermativa delle ragioni poste a base della sentenza di primo grado. La censura non è stata tuttavia riproposta, mentre non vi è dubbio che, confermando la sentenza di primo grado (che aveva concluso per la rettifica dell’avviso di accertamento piuttosto che per il suo annullamento), il giudice d’appello si sia pronunciato sulla corrispondente censura, rigettandola. Non sussiste perciò la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso va rigettato.

2.- Col secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione della sentenza gravata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente sostiene che la sentenza presenterebbe i seguenti vizi motivazionali:

– inesatto recepimento dell’intervento del contribuente durante il contraddittorio, in quanto non si sarebbe limitato a richiedere ed ottenere l’applicazione di un studio di settore diverso da quello originario, ma avrebbe comunque richiesto una congrua riduzione dei ricavi accertabili; quindi, arbitraria attribuzione al contribuente, da parte del giudice a quo, di un’ipotetica valutazione di maggiore aderenza dello studio evoluto alla sua situazione;

– gravi lacune motivazionali riguardanti l’avere valutato come irrilevanti gli elementi (ridotte dimensioni aziendali, mancanza di dipendenti, limitato numero di committenti, crisi del settore) addotti dal contribuente per dimostrare l’inidoneità del cluster in cui era stato inserito; l’avere preteso la dimostrazione da parte del contribuente dell’influenza di questi elementi sull’elaborazione dello studio di settore, laddove invece sarebbe stato onere dell’Ufficio finanziario dimostrare che gli stessi elementi erano già stati adeguatamente considerati nel sistema di gestione del software o che eventualmente non potevano interferire; l’avere quindi ribaltato immotivatamente sul contribuente l’onere di provare circostanze applicative dello studio di settore senza la previa dimostrazione della perfetta adattabilità dello stesso all’attività del contribuente;

– vizio di motivazione relativamente all’affermazione della CTR secondo cui il ricorrente si sarebbe servito di uno strumento (consistente in una trancia) rivelatosi in definitiva sovradimensionato, mentre – secondo il ricorrente – si trattava di strumento vetusto, senza che vi fosse prova alcuna nè motivazione sull’affermata circostanza della “sovradimensione”.

2.1. – Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D), nonchè dell’art. 42, comma 2, del medesimo decreto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente precisa che il motivo attiene al duplice profilo della violazione del principio dell’onere della prova e della violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto accertativo, nel caso di specie tra loro collegate.

Il ricorrente sostiene che, avendo egli, in sede di contraddittorio preventivo, dimostrato l’inadeguatezza dello studio di settore originariamente applicato, anche mediante il confronto con lo studio di settore evoluto, l’onere della prova sarebbe tornato in capo all’Ufficio finanziario che avrebbe dovuto dimostrare comunque l’adeguatezza di questo secondo studio di settore e, quindi, estrarre dal contraddittorio o aliunde ulteriori elementi adatti a supportarne il risultato, mentre questo passaggio sarebbe mancato, sicchè l’accertamento si sarebbe dovuto ritenere fondato su una mera presunzione semplice non qualificata. Conseguentemente, sarebbe stato violato anche l’onere di motivazione dell’avviso di accertamento, in quanto l’Ufficio finanziario si sarebbe limitato alla mera affermazione dell’applicazione dello studio di settore evoluto.

3.- I motivi – che vanno esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione – non meritano accoglimento, essendo in parte infondati ed in parte inammissibili.

Come si legge anche nella sentenza impugnata, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012).

E’ vero che, come rileva il ricorrente, in particolare col terzo motivo, in termini di onere della prova, nella citata sentenza delle Sezioni Unite, si è affermato, schematicamente, che “l’onere della prova (…) è così ripartito: a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”. Come successivamente precisato da questa Corte (Cass. 3312/2011), l’effetto del principio di diritto affermato delle Sezioni Unite è stato quello di pone in luce l’importanza del contraddittorio, non solo nel processo ma anche nella realtà, quale strumento principale di verificazione o falsificazione della corrispondenza tra realtà e sua rappresentazione, in quanto proprio “in sede di contraddittorio – il quale può avvenire già in fase amministrativa, ma anche e soprattutto nel giudizio – il contribuente potrà in primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri utilizzati sono in sè erronei perchè sono basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici” e potrà quindi chiedere l’annullamento del provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in errore operativo nell’applicare i parametri alla sua realtà ovvero ancora dedurre o l’estraneità della propria attività rispetto alla tipologia alla quale quei parametri intendono riferirsi o la sussistenza, nella propria attività di caratteri per così dire anormali, cioè di elementi che la diversificano rispetto a quelle in riferimento alle quali è stata individuata la normalità reddituale (cfr., da ultimo, Cass. n. 3415/15, in motivazione).

3.1.- Risulta dai principi sin qui enunciati la centralità attribuita al contraddittorio preventivo: tuttavia l’esito del contraddittorio è rilevante al fine di controllare l’operato dell’Ufficio sia in una prospettiva di favore per il contribuente, sia in prospettiva di responsabilizzazione del medesimo contribuente. Non è coerente col sistema come sopra delineato che, una volta che il contraddittorio preventivo si sia svolto con le garanzie di difesa del contribuente e le parti siano addivenute a punti fermi sui quali sia stato raggiunto l’accordo, di questo non si possa poi tenere conto in sede contenziosa, considerando lo stesso tamquam non esset.

In particolare, va disatteso in diritto il terzo motivo di ricorso, laddove assume che, qualunque sia l’esito del contraddittorio preventivo, rimangono inalterati, in sede contenziosa, i criteri di riparto dell’onere della prova. Nella dinamica del sistema incentrato su contraddittorio in fase amministrativa e contraddittorio processuale, va infatti affermato, per quanto qui rileva, che, se le parti concordano sull’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, ferma restando la prospettazione da parte del contribuente della sussistenza di circostanze di fatto, tali da allontanare la sua attività, in assoluto o in un determinato periodo, dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, oggetto di valutazione in sede contenziosa saranno tali circostanze, non (più) l’applicabilità dello studio di settore. Spetterà quindi al giudice accertare se le circostanze addotte dal contribuente sono vere e poi se esse possono essere effettivamente idonee a giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse.

3.2.- Questa situazione processuale si è appunto venuta a determinare nel caso di specie.

Sebbene il ricorrente sostenga di non avere aderito all’applicazione dello studio monitorato TDO8U, va precisato che risulta dalla sentenza impugnata che la mancata adesione non ha riguardato la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità di detto studio, quanto piuttosto le specifiche circostanze di esercizio della propria attività (mancanza di dipendenti, limitato numero di committenti, utilizzazione ridotta di alcuni beni e obsolescenza di altri), che hanno indotto il P. a richiedere “una congrua riduzione dei maggiori ricavi accertabili…” proprio sulla base dello studio di settore TDO8U. Di ciò, come detto, ha dato conto la CTR quando ha osservato che, pur non avendo il contribuente prestato adesione all’operato dell’Ufficio, “aveva richiesto ed ottenuto l’applicazione, in quanto (evidentemente) ritenuto maggiormente aderente alla propria specificità, uno studio di settore (codice TDO8U) diverso da quello originariamente applicato dall’ufficio stesso”.

Da questa constatazione il giudice di merito ha tratto conseguenze su riparto dell’onere della prova conformi ai principi sopra enunciati, facendo gravare sul contribuente l’onere di provare le circostanze di fatto addotte per escludere specificamente la propria impresa dall’area di quelle cui sono applicabili gli standard normali e l’incidenza di queste circostanze sulla redditività della stessa impresa nel periodo considerato.

Il terzo motivo di ricorso va rigettato.

4.- D’altronde, rispetto all’affermazione sopra riportata non si rinvengono i vizi motivazionali denunciati col secondo motivo. Il ricorrente sostiene che il giudice di merito non avrebbe tenuto adeguatamente conto del fatto che egli, in sede amministrativa, avrebbe richiesto comunque una congrua riduzione dei ricavi accertabili. L’assunto non trova rispondenza nella motivazione. Considerato quanto riportato in ricorso circa il contenuto delle deduzioni svolte dal P. in sede pre-contenziosa (pagg. 2-3), l’anzidetta motivazione della CTR non appare affatto insufficiente nè illogica, ma del tutto coerente sia con tale contenuto che con le premesse teoriche di cui sopra (poichè ben può il contribuente condividere l’applicazione di uno studio di settore, ma contestare i risultati di siffatta applicazione nel caso concreto, in ragione della peculiarità della situazione aziendale dedotta in generale o con riguardo a specifici ambiti temporali, come la CTR ha ritenuto essere accaduto nella specie).

4.1.- Ogni altra censura svolta dal ricorrente col secondo motivo risulta inammissibile.

Per un verso, l’inammissibilità consegue all’incensurabilità dell’apprezzamento dei fatti da parte del giudice di merito. La CTR ha chiarito che, pur avendo il contribuente “enunciato” gli elementi a sostegno del proprio assunto, non ha tuttavia dato la prova della loro incidenza in termini di minori ricavi e minor reddito rispetto ai risultati dello studio di settore. Questa affermazione non è validamente censurata con i motivi di ricorso, con i quali il P. continua a riproporre le medesime enunciazioni esaminate dal giudice a quo, senza individuare elementi o dati di fatto emersi in giudizio che, se considerati dal giudice di merito, avrebbero dovuto condurre all’affermazione dell’idoneità delle circostanze di fatto anzidette a giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse.

Per altro verso, l’inammissibilità consegue alla non decisività dei fatti sui quali la motivazione si assume carente – in particolare con riferimento alle osservazioni svolte dalla CTR in merito al sovradimensionamento di un bene strumentale: ed invero, anche a voler reputare errata siffatta considerazione (perchè, invece, il contribuente avrebbe inteso fare riferimento all’obsolescenza di esso), resterebbe l’inidoneità del fatto, in sè solo considerato, ove correttamente accertato dal giudice a quo, a fornire la prova che si è detto essere stata reputata carente.

Il ricorso va perciò rigettato.

La peculiarità della vicenda oggetto di lite e la mancata notificazione di controricorso costituiscono giusti motivi di compensazione delle spese di legittimità, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2 (nel testo applicabile ratione temporis, che è quello vigente prima delle modifiche apportate con la L. n. 69 del 2009, in quanto il ricorso in primo grado è stato notificato prima del 4 luglio 2009).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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