Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15602 del 09/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15602 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: CECCHERINI ALDO

SENTENZA

sul ricorso 20317-2007 proposto da:
DOPOLAVORO OSPEDALIERI LAZIO (C.F. 03808520583), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. QUINTINI

Data pubblicazione: 09/07/2014

18, presso l’avvocato SPERANZA RUSSO ANGELA, che lo
rappresenta
2014
992

MALASPINA

e

difende

EMILIO,

giusta

unitamente
procura

all’avvocato
speciale

Notaio dott.ssa EMMA ANEDDA di ROMA – Rep.n.

per
30934

del 13.11.2013;
– ricorrente 4

1

contro

CUSL – CIRCOLO UNITA’ SANITARIE LOCALI, in persona
del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUIDO
D’AREZZO 39, presso l’avvocato ALBERTO CAVALIERE,

margine del controricorso;
GE.RI.BAR. S.R.L.

(p.i. 01828481000), in persona

del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. CALAMATTA
16, presso l’avvocato EMILIANI PESCETELLI
PIETROPAOLO, che la rappresenta e difende, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrenti contro

AZIENDA

OSPEDALIERA

S.

GIOVANNI

ADDOLORATA,

ASSOCIAZIONE OR.S0;
– intimate –

avverso la sentenza n. 1668/2006 della CORTE

che lo rappresenta e difende, giusta procura a

D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/06/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 09/05/2014 dal Presidente
Dott. ALDO CECCHERINI;
udito,

per

la

controricorrente

GE.RI.BAR.,

l’Avvocato EMILIANI PESCETELLI P. che si riporta;

2

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

L’associazione Dopolavoro Ospedalieri Lazio (nel

seguito: associazione) citò in giudizio, davanti al Tribunale di Roma la GE. RI. Bar s.r.1., esponendo: – che essa

dell’azienda servizio bar all’interno dell’Ospedale S.
Giovanni; – che l’affittuaria era inadempiente alle obbligazioni derivanti dal contratto; – che il Complesso Ospedaliero S. Giovanni – Addolorata aveva revocato all’associazione attrice il comodato dei locali, dove era esercitata l’azienda e l’aveva concesso al CUSL Circolo Unità
Sanitarie Locali; – che il TAR delLazio aveva annullato il
comodato al CUSL, e a seguito di ciò il Complesso Ospedaliero, senza restituire i locali all’associazione, li aveva concessi ad altra associazione, Or.So. Organismo Sociale. L’attrice chiese la condanna della società convenuta
al pagamento del dovuto in base al contratto e al risarcimento dei danni.
La convenuta si costituì e resistette alle domande attrici. Eccepì che, successivamente al primo rapporto allegato dall’attrice, risolto a seguito della chiusura del
bar disposta dal Comune di Roma per irregolarità, era stato stipulato – in data 4 settembre 1989 – un secondo contratto, che consentiva alla GE. RI. Bar la rescissione,
ove la stessa non avesse potuto continuare la gestione;

aveva concesso in affitto alla convenuta la gestione

che anche in tal caso era intervenuto un provvedimento di
chiusura del Comune di Roma; che anche il secondo accordo
doveva ritenersi caducato nel momento della revoca della
concessione dei locali all’associazione attrice da parte
dell’USL RM4.

de attrici.
2.

Con sentenza 7 giugno 2006, la Corte d’appello di

Roma ha respinto il gravame dell’associazione. La corte ha
condiviso il giudizio del tribunale circa l’impossibilità
di prosecuzione del rapporto dal momento in cui l’Ospedale, revocando ogni precedente delibera in materia, aveva
assegnato ad altro organismo gli spazi in cui era stato
svolto il servizio bar, togliendone la disponibilità
all’associazione Dopolavoro. Da ciò conseguiva la legittimità dei successivi provvedimenti di assegnazione a favore
di CUSL, in via provvisoria, e poi di Or.So. in via definitiva. Infondata era la pretesa di qualificare il contratto tra l’associazione appellante e l’Ospedale come comodato modale, anziché come concessione; e sfornito di
prova era l’assunto che l’associazione avesse dato in gestione alla GE. RI. Bar altro che i locali, come risultava
espressamente anche dall’art. 2 del contratto del 4 settembre 1989. Correttamente era stato ritenuto risolto per
impossibilità dell’oggetto il contratto, che era condizioIl
dr.

rel, est.
eccherini

5

Con sentenza del 2004, il tribunale respinse le doman-

nato alla disponibilità degli spazi dati in concessione
originariamente dal Comune di Roma e poi dall’Ospedale a
esso subentrato. Del pari correttamente il mancato pagamento del canone da parte di GE. RI. Bar era stato imputato alla perdita dei locali, a seguito dell’ordinanza 19

scio dei locali già concessi al Dopolavoro, e della revoca
della concessione al Dopolavoro con provvedimento 16 maggio 1991 dell’USL.
3. Per la cassazione della sentenza, non notificata,
ricorre l’associazione dopolavoro Ospedalieri Lazio per
undici motivi.
GE. RI. Bar s.r.l. e CUSL Circolo Unità Sanitarie Locali resistono con separati controricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo si censura l’affermazione della
corte d’appello, che tra le parti sarebbe stato stipulato,
il 4 settembre 1989, un secondo contratto, il cui contenuto è stato utilizzato per confutare le difese dell’odierna
ricorrente. Si sostiene che sarebbe “stato esplicitamente
denunciato che il documento segnato al n. 6 della produzione GE. RI. Bar in primo grado (scrittura apparentemente
datata il 4/9/89), costituiva un documento di cui è evidente la falsità e la strumentalità”, e che in particolare
quel documento non sarebbe sottoscritto. Si lamenta che

maggio 1990 con cui il Comune di Roma disponeva il rila-

questa contestazione sia stata nell’impugnata sentenza
svalutata come priva di motivazione, e che sia stato ignorato il fatto che il documento non fosse firmato. Si formula conseguentemente il quesito se la mancanza di sottoscrizione della parte contro la quale è esibito un suppo-

torio.
4.1.

Il motivo, e lo stesso quesito a esso collegato

sono generici e inammissibili. La corte territoriale non
ha ignorato la contestazione dell’odierna ricorrente, ma
l’ha definita generica e immotivata: era, dunque, questa
l’affermazione sulla quale la censura doveva appuntarsi, e
ciò richiedeva, in primo luogo, che fosse indicato non solo il contenuto specifico della contestazione, tale da
contraddire la motivazione della sentenza impugnata, bensì
la sede processuale in cui la contestazione (sotto lo specifico profilo della mancanza della sottoscrizione del documento) sarebbe stata formulata. In secondo luogo, poiché
il motivo in esame si basa interamente sul contenuto del
documento medesimo, era necessario – in adempimento
dell’onere posto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 n.
6 c.p.c. – indicare dove il documento sarebbe reperibile
in questo giudizio di legittimità, e, in adempimento
dell’onere posto a pena di procedibilità dall’art. 369 n.
4 produrlo in allegato al ricorso (si ricorda, in proposiIl
dr.

rel. est.
eccherini

7

sto documento impedisca di attribuire a esso valore proba-

to, che qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, è pur sempre necessaria
l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo
del giudizio di merito di controparte, ma si rivela altresì opportuna la produzione del documento, ai sensi

in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo
produca senza documento: Cass. Sez. Un. 25 marzo 2010 n.
7161).
5. i motivi nn. 2, 3, 4, 5, 7, 10 e 11 muovono tutti

dalla premessa, sostenuta dall’odierna ricorrente nei giudizi di merito, che il contratto stipulato con la GE. RI.
Bar s.r.l. non avesse a oggetto la mera disponibilità dei
locali nei quali esercitare l’esercizio commerciale, bensì
l’azienda.
5.1. L’assunto è stato motivatamente contraddetto dal-

la corte territoriale, anche con argomenti documentali oggetto del primo motivo di ricorso, che è stato respinto.
L’oggetto del contratto, identificato dai giudici di merito nella mera disponibilità dei locali concessi dalla pubblica amministrazione, ha formato pertanto oggetto da parte del giudice di merito di un accertamento di fatto, che
con i motivi in esame né è autonomamente impugnato, né comunque potrebbe essere riesaminato in questa sede di le-

dell’art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per il caso

gittimità. Ne deriva l’assorbimento degli stessi motivi,
che suppongono l’accoglimento del primo motivo.
6. Il sesto motivo verte sul contenuto del diritto di
recesso, che secondo la ricostruzione della parte costituiva il corretto inquadramento giuridico del potere rico-

impossibilità dell’oggetto. Il quesito è formulato in modo
conseguente.
6.1. Il motivo e il quesito in esame sono inammissibi-

li, perché la decisione impugnata non si basa sul supposto
diritto contrattualmente convenuto di recesso, che sarebbe
stato esercitato o esercitabile dalle parti, bensì sul diverso istituto – regolato dal codice civile – della risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione;
e tale giudizio non è in alcun modo intaccato dal quesito
di diritto.
7. Con l’ottavo motivo si torna a prospettare la tesi
che oggetto del contratto tra le parti fosse l’affitto di
un’azienda, invece che la concessione di spazi pubblici
nei quali esercitarla, del che si è già detto sub 5.1.
7.1.

In particolare, dei relativi quesiti, il primo

(“dica la corte che il giudice di merito deve trarre il
proprio convincimento in ordine alla sussistenza di eventuali cause di impossibilità sopravvenuta esclusivamente
da inequivocabili risultanze probatorie…”), è inammissibiIl c . rel. est.
dr. a Ceccherini

9

nosciuto dal contratto alle parti nel caso di sopravvenuta

le perché non è un quesito di diritto, ma verte sulla valutazione delle prove acquisite. Il secondo, di scarsa
comprensibilità, riflette ancora la tesi – smentita dai
giudici di merito e non più riproponibile in questo giudizio – dell’affitto di azienda, e basandosi su una rico-

to è inammissibile.
8. Con il nono motivo si sostiene che il contratto in-

tercorrente tra l’ospedale e l’associazione sarebbe stato
di natura privatistica, non rientrando l’esercizio di un
bar tra gli scopi dell’ente pubblico.
8.1.

La tesi sostenuta dalla ricorrente è errata in

diritto, stante la giurisprudenza di questa corte, per la
quale, nell’ipotesi in cui un’Azienda Unità Sanitaria Locale (AUSL) abbia affidato a un privato la gestione del
servizio di bar all’interno di un ospedale pubblico, il
rapporto tra la P.A. e il privato, avendo a oggetto un’attività da svolgersi all’interno di locali facenti parte
della struttura immobiliare ospedaliera – come tale destinata a pubblico servizio e perciò rientrante tra i beni
patrimoniali indisponibili ai sensi dell’art. 830 cod.
civ. -, può trovare titolo solo in un atto concessorio,
potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di
privati, per usi determinati, solo mediante concessioni
amministrative (Cass. sez. un. 21 luglio 2011 n. 15980).

10

struzione del fatto diversa da quella del giudice di meri-

Peraltro i quesiti sono così generici da non prestarsi
a una risposta analitica.
9.

In conclusione il ricorso è respinto. Le spese del

giudizio sono a carico della parte soccombente, e sono li-

P. q. m.

La corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente
associazione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate a favore di Ge.ri. bar s.r.l. in C
7.200,00, di cui C 7.000,00 per compenso, e a favore di
CUSL Circolo USL in C 6.200,00, di cui C 6.000,00 per compenso; oltre alle spese generali e agli oneri accessori di
legge per entrambe le parti.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della
prima sezione della Corte suprema di cassazione, il giorno
9 maggio 2014.

quidate come in dispositivo.

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