Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15600 del 22/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/07/2020, (ud. 24/02/2020, dep. 22/07/2020), n.15600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15634/2013 R.G. proposto da:

S.G., rappresentata e difesa, per procura speciale in

atti, dall’Avv. Franco Marcolini, con domicilio eletto presso

quest’ultimo in Roma, via Carlo Poma, n. 4;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 49/07/2012, depositata in data 09 novembre

2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 febbraio

2020 dal consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha inviato a S.G. due questionari con i quali, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, ha invitato la stessa a riferire in ordine alla disponibilità, ed alla percentuale di sostenimento delle spese, relative ai beni, indici di capacità contributiva, rappresentati dalle quote della proprietà dell’abitazione principale della contribuente e della sua famiglia e di altra abitazione secondaria, e dalla proprietà di un’autovettura.

All’esito delle risposte della contribuente, l’Ufficio ha notificato due distinti avvisi d’accertamento sintetico con i quali, relativamente agli anni d’imposta 2003 e 2004, ha determinato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, quarto, quinto e comma 6, il reddito imponibile della contribuente ai fini Irpef, quantificando l’imposta dovuta, oltre agli interessi ed alle sanzioni.

2. La contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Rimini, che ha respinto il ricorso.

3. La contribuente ha quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna lo ha respinto con la sentenza n. 49/07/2012, depositata in data 09 novembre 2012.

4. La contribuente ha allora proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza d’appello, affidato ad un solo motivo.

5. L’Amministrazione si è costituita con controricorso.

6. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’unico, ma composito, motivo è stato così formulato dalla contribuente: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5).”.

Lamenta la ricorrente che il giudice a quo, come già quello di primo grado, abbia erroneamente ritenuto che – al fine di accertare se la contribuente avesse o meno fornito la prova liberatoria della quale era onerata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 – non potessero essere valutati, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, per non essere stati già prodotti nel contraddittorio preventivo all’emissione degli accertamenti, i documenti (che la ricorrente ha indicato di aver già versato in atti nel giudizio di primo grado e che ha allegato anche in questa sede) destinati a dimostrare che la disponibilità per l’acquisto, in regime di comunione di beni, dell’autovettura de qua proveniva dal coniuge, che aveva impiegato il ricavato della sua liquidazione e di suoi titoli esenti da imposte.

1.1. Il motivo è infondato.

Infatti, come questa Corte ha già chiarito, l’omessa o intempestiva risposta dei dati richiesti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento fiscale comporta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, l’automatica inutilizzabilità, amministrativa e processuale, della documentazione prodotta tardivamente, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita alla sussistenza di tale condotta, non essendo richiesto alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte; al contrario, l’eventuale deroga all’inutilizzabilità, deve essere fatta valere dal contribuente con le modalità ivi previste entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado (Cass. 22/06/2018, n. 16548; Cass. 23/3/2016, n. 5734).

Corollario dell’automatica inutilizzabilità della documentazione richiesta dai verificatori e non esibita dal contribuente è quindi l’operatività della conseguente preclusione processuale, anche a prescindere dalla proposizione, da parte dell’Ufficio, di una tempestiva eccezione, avendo infatti questa Corte precisato che, in tema di accertamento tributario, l’omessa o intempestiva esibizione da parte del contribuente di dati e documenti in sede amministrativa è sanzionata con la preclusione processuale della loro allegazione e produzione in giudizio, che prevale anche rispetto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2 e che non può ritenersi sanata ove l’Amministrazione finanziaria non sollevi la relativa eccezione in sede di udienza di discussione della causa, atteso il carattere perentorio del termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (Cass. 09/11/2016, n. 22745).

Pertanto, l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa e neppure trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, che non consente alle parti di proporre in appello domande ed eccezioni nuove (Cass. 22/06/2018, n. 16548, cit., in motivazione).

Tanto premesso, è altresì vero che questa Corte, sia pur con riferimento alla disciplina di accessi, ispezioni e verifiche, ha anche precisato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, cui rinvia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, si giustifica per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco (Cass. 26/05/2014, n. 11765), ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti (Cass. 01/08/2019, n. 20731).

Pertanto, è stato puntualizzato che l’omessa esibizione, da parte del contribuente, dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (Cass. 27/12/2016, n. 27069; Cass., 21/03/2018, n. 7011; Cass. 21/06/2019, n. 16725), non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto (Cass. 12/04/2017, n. 9487).

Nello stesso senso, con riferimento al caso specifico del contraddittorio preventivo preceduto dall’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, è stato ritenuto che l’inottemperanza del contribuente, a seguito dell’invio del questionario, comporti, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 4, l’inutilizzabilità in sede amministrativa e processuale solo dei documenti espressamente richiesti dall’Ufficio, in quanto detta disposizione normativa deve essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. (Cass. 22/06/2018, n. 16548).

1.2. Nel caso di specie, è la stessa ricorrente che, trascrivendo nel proprio ricorso il testo dei questionari che le sono stati inviati (cfr. pag. 3 ss. del ricorso), fornisce la prova, della quale sarebbe stata altrimenti onerata l’Amministrazione, di essere stata espressamente invitata, con riferimento ai beni in questione (e specificamente anche riguardo l’acquisto dell’autovettura di cui risulta intestataria) anche ” (…) eventuale documentazione giustificativa di redditi esenti, assoggettati a ritenuta d’imposta, tassati con sistemi forfettari o disinvestimenti, smobilizzi, altre disponibilità anche provenienti da terzi ma messi a disposizione della S.V. così come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 comma VI”, con il contestuale avviso esplicito che i dati e le notizie non addotti non avrebbero potuto altrimenti essere utilizzate, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa, per effetto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, a sua volta richiamato nel questionario (cfr., in particolare, pag. 5 del ricorso, nel virgolettato e nel successivo virgolettato in corsivo).

Il contenuto dell’invito de quo, nel caso di specie, era specifico e puntuale, atteso che da un lato evidenziava i beni presi in considerazione ai fini dell’accertamento sintetico, sottolineando altresì che le esigenze di documentazione comprendevano anche eventuali disponibilità (di varia natura, ma comprensive, nelle categorie elencate, anche di quelle imputate dalla ricorrente al coniuge). provenienti da terzi, ma messe a disposizione della contribuente; dall’altro chiariva le conseguenze, anche in sede contenziosa, della mancata allegazione dei relativi dati e delle notizie.

Nè, comunque, la ricorrente ha puntualmente chiarito, nella sua censura, in che modo il predetto contenuto dell’invito e dell’avvertimento contenuti nei questionari le abbia in concreto precluso di comprendere l’onere, e le conseguenze del suo inadempimento, di esibire all’Ufficio documentazione (che solo la contribuente, per la vicinanza della prova, poteva specificamente individuare) che supportasse la provenienza della disponibilità in questione dal reddito imponibile del coniuge.

Pertanto, il giudice a quo non ha errato laddove ha escluso di poter utilizzare, al fine di decidere sugli accertamenti impugnati, documentazione non già prodotta dalla contribuente in esito all’invito di cui ai predetti questionari, nonostante l’avviso delle conseguenze dell’inottemperanza in essi contenuto, e senza che siano state allegate cause, non imputabili alla stessa contribuente, che possano giustificare l’inadempimento istruttorio nella fase amministrativa.

Premesso quanto precede in ordine all’infondatezza della pretesa violazione, da parte della CTR, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, deve necessariamente escludersi che possa profilarsi (così come sembra ipotizzare la rubrica dell’unico motivo) un vizio della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha valutato la medesima documentazione che ha ritenuto non utilizzabile in sede contenziosa.

Tanto meno, poi, tale vizio, quale omesso esame di un fatto decisivo, può configurarsi rispetto alla circostanza, più volte ripetuta nel corpo del motivo, che dell’autovettura in questione, pur intestata esclusivamente alla ricorrente, sarebbe comproprietario anche il coniuge, atteso il regime di comunione legale. Infatti, ” Ai fini dell’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione a spesa per incrementi patrimoniali, l’esborso per l’acquisto di un bene in comunione legale può legittimamente essere considerato dall’Amministrazione finanziaria come sostenuto esclusivamente dal “partner” che abbia da solo stipulato il contratto e pagato il prezzo, salva la prova contraria da parte del contribuente, atteso che dal regime della comunione legale non deriva alcuna presunzione relativamente alla provenienza comune delle somme utilizzate per i nuovi acquisti.” (Cass. 19/07/2017, n. 17806), prova contraria che, nel caso di specie, per tutto quanto sinora argomentato in ordine alla preclusione istruttoria verificatasi, non risulta fornita.

Nè, infine, la ricorrente, che ne era onerata, ha indicato in che sede (ed eventualmente in che fase e grado dei giudizi di merito) abbia altresì prodotto documenti utili a dimostrare il dedotto utilizzo esclusivo, quale “abitazione principale” della sua famiglia, di ambedue gli immobili dei quali è comproprietaria (dato, peraltro, di per sè anche logicamente incoerente, in quanto riferito indistintamente all’uso contemporaneo di due diversi immobili), e comunque idonei a provare che le relative spese afferenti gli stessi beni fossero sopportate da un soggetto diverso dalla stessa contribuente, che ne risulta proprietaria per la quota valutata nell’accertamento.

2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.295,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020

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