Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1560 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1560 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 1994-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

GITRAN SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA IN
LIQUIDAZIONE in persona dei Commissari Liquidatori
rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio
dell’avvocato POMPA VINCENZO, che lo rappresenta e

Data pubblicazione: 27/01/2014

difende giusta delega in calce;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 250/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 27/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

TERRUSI;
udito per il controricorrente l’Avvocato POMPA che si
riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 21/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO

1994-09

Svolgimento del processo
La commissione tributaria regionale del Lazio, con
sentenza depositata il 27 novembre 2007, ha respinto
l’appello dell’agenzia delle entrate avverso la decisione
con la quale la commissione tributaria provinciale di Roma

aveva annullato una cartella di pagamento notificata alla
Gitran s.p.a., conseguente a iscrizione a ruolo di un
credito Invim oggetto di anteriori avvisi di liquidazione
e ingiunzioni di pagamento. Per questo credito
l’amministrazione finanziaria aveva provveduto a
insinuarsi allo stato passivo della procedura di
amministrazione straordinaria cui la società era stata
sottoposta.
La commissione regionale ha motivato la decisione
sostenendo che, per quanto conforme al disposto di cui al
d.m. 11-5-1990, la pretesa dell’ufficio era in concreto
preclusa dall’avvenuta insinuazione al passivo della
procedura concorsuale, in quanto il credito ammesso al
passivo non poteva essere soddisfatto al di fuori degli
schemi della procedura di liquidazione dei debiti
concorsuali, secondo la graduazione degli stessi.
L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione
affidato a quattro motivi.
L’amministrazione straordinaria di Gitran s.p.a., intimata
in questa sede, ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione

I

Va preliminarmente disattesa

l’eccezione di

inammissibilità del ricorso, per asserito difetto di

ius

postulandi dell’avvocatura erariale.
L’avvocatura avrebbe omesso – secondo l’eccipiente – di
far riferimento al mandato ricevuto dall’agenzia delle
entrate in relazione alla specifica controversia.

1,..4V,. ve)t• .

Questa titzmact cortérha chiarito, anche a sezioni unite,
che quando l’agenzia delle entrate si avvalga, nel
giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura
dello stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una
procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la
disposizione del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. l, 2 °
co., in base alla quale gli avvocati dello stato
esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le
giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato (v. sez. un.
n. 23020-05; Cass. n. 11227-07; n. 3427-10).
Il riferimento della controricorrente alla decisione delle
sezioni unite n. 3116-06 – ben vero citata per stralcio
nella parte in cui ha affermato che il ricorso
dell’agenzia delle entrate al patrocinio dell’avvocatura
dello stato deve avvenire in relazione al singolo
procedimento, non rilevando l’eventuale conclusione, tra
avvocatura e agenzia, di convenzioni di contenuto generale
per l’assunzione del patrocinio è vano ai fini
dell’eccezione formulata.
L’avvocatura dello stato, per proporre ricorso per
cassazione in rappresentanza dell’agenzia delle entrate,
deve certamente aver ricevuto da quest’ultima il relativo

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incarico. Ma di questo non deve fare specifica menzione
nel ricorso, atteso che l’art. 366, n. 5, c.p.c.,
inserendo tra i contenuti necessari del ricorso medesimo
“l’indicazione della procura, se conferita con atto
separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura
intesa come negozio processuale attributivo del

che si è visto non esser necessario per il

patrocinio erariale,

postulandi,

ius

non anche invece al negozio

sostanziale di patrocinio,

attributivo dell’incarico

professionale al difensore (v. Cass. n. 14785-11).
– Col primo e col secondo motivo la ricorrente
denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt.
53 e 18 del d.lgs. n. 546 del 1992 per avere la sentenza
impugnata respinto l’appello affermando che, una volta
ammesso il proprio credito allo stato passivo di una
procedura concorsuale, non era consentito
all’amministrazione richiedere il pagamento di detto
credito mediante notifica al debitore di una cartella
esattoriale.
Sostiene che, così decidendo, la commissione regionale, da
un lato, non si sarebbe pronunciata sui motivi di censura
proposti con l’appello e, dall’altro, avrebbe giudicato in
mancanza di una censura di contenuto corrispondente nel
ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e
nell’atto di controdeduzioni in appello.
Col terzo motivo, deducendo violazione degli artt. 19 del
d.m. 28-12-1989 e 65 del d.p.r. n. 43 del 1988, la
ricorrente sostiene che le norme citate imponevano, in

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relazione ai crediti insinuati, anteriormente al 1 0 luglio
1999, di procedere all’iscrizione a ruolo dei crediti
stessi e di effettuare la trasmissione al concessionario
ai fini della materiale esazione dagli organi della
procedura. Lamenta che la commissione, nonostante il
riconoscimento della conformità dell’operato dell’ufficio

al d.m. 11-5-1990 (di modifica del d.m. 28-12-1989),
abbia, in relazione al credito già insinuato allo stato
passivo, affermato l’infondatezza della pretesa, così
“ritenendo che la disposizione dell’art. 19 del d.m. 2812-1989 cui l’ufficio si era conformato non avesse una
mera valenza di legittimazione del concessionario alla
riscossione (in luogo dell’agenzia delle entrate) del
credito ammesso allo stato passivo (..)”; e abbia invece
attribuito alla formazione della cartella una funzione
prodromica all’elusione della regola del par condicio.
Col quarto mezzo, infine, la ricorrente denunzia la
contraddittorietà della motivazione, per avere la
commissione tributaria regionale respinto l’appello
nonostante l’avvenuto riconoscimento della conformità
dell’operato dell’ufficio al d.m. 11-5-1990.
III. – Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati
congiuntamente per la loro stretta connessione, non è
fondato.
La

tesi

della

ricorrente muove

da una

diversa

interpretazione del titolo (la cartella) impugnato in sede
tributaria, rispetto a quanto invece affermato dal giudice
d’appello.

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L’amministrazione deduce che la cartella non era stata
notificata per ottenere il pagamento, sebbene quale mero
strumento di comunicazione dell’avvenuta iscrizione a
ruolo del credito insinuato al passivo, con conseguente
legittimazione del concessionario a esigerne il pagamento
in luogo del creditore.

Tuttavia è decisivo osservare che non risulta affatto,
dall’impugnata sentenza, che in tal senso la cartella si
fosse distinta dal punto di vista funzionale.
In particolare non risulta – e il ricorso difetta sul
punto di autosufficienza che un simile profilo
funzionale dell’iscrizione a ruolo sia stato enunciato
nell’atto. Il quale oltre tutto, in base alla sentenza,
non appare essere stato notificato agli organi della
procedura, sebbene alla società debitrice in sé e per sé
considerata.
IV. – In simil guisa è assertoria l’affermazione da cui il
motivo è sorretto, secondo cui la cartella non aveva avuto
altra funzione che quella di comunicare agli organi detti,
ai sensi del d.lgs. n. 43 del 1988, art. 65, il fatto
dell’avvenuta iscrizione a ruolo, anziché – come affermato
dal giudice d’appello – la funzione di ottenere il
soddisfacimento del credito al di fuori della par
condicio.
E va osservato che, quanto all’ impugnazione della
cartella esattoriale, la corte di cassazione non può
procedere all’ esame diretto degli atti, per verificare
quale fosse stata in concreto l’enunciazione che l’aveva

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caratterizzata. Trattasi invero di un accertamento di
fatto rimesso al giudice di merito, non essendo la
cartella un atto del processo.
V. – Quanto esposto rende ragione dell’infondatezza di
tutte le censure.
Invero, la commissione ha ravvisato nella già avvenuta

insinuazione del credito al passivo della procedura
concorsuale un fatto preclusivo dell’azione di riscossione
nelle forme ordinarie nei confronti della società
debitrice; fatto – questo – legato all’interpretazione del
titolo notificato alla società e da questa impugnato, e
come tale certamente rilevabile d’ufficio.
In tal modo, contrariamente a quanto eccepito dalla
ricorrente, la commissione si è pronunciata sull’appello
escludendo la validità dell’opposta tesi dell’impugnante.
VI – Infondata alfine è pure la censura supponente una
contraddittorietà nella motivazione dell’impugnata
sentenza (quarto motivo).
La contraddizione starebbe in ciò: che la commissione
tributaria avrebbe dapprima affermato la legittimità
dell’operato dell’ufficio alla luce del d.m. 11-5-1990,
così riconoscendo alla cartella la natura di mero
strumento di legittimazione del concessionario alla
esazione, in luogo dell’agenzia, del tributo insinuato al
passivo, e poi affermato l’illegittimità della cartella
medesima sul presupposto di avere essa rappresentato uno
strumento per la soddisfazione del credito al di fuori del
concorso.

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Reputa la corte che la contraddizione è esclusa
dall’evidente diverso ambito delle due valutazioni, l’uno
astratto, l’altro concreto.
Difatti la commissione ha osservato esser l’operato
dell’ufficio conforme al dettato di cui al d.m.; ma ciò ha
rilevato solo astrattamente, come evincesi dall’aggiuntiva

considerazione che quell’operato era funzionale al diritto
del creditore di attivare le procedure utili al positivo
recupero del credito fino all’effettivo soddisfo.
In questi termini la ratio decidendi è rimasta incentrata
sulla affermazione che, “concretamente”, vale a dire alla
luce della risultanze del caso concreto, l’iniziativa era
da considerare diretta a ottenere il soddisfacimento fuori
dal concorso; e quindi era illegittima in quanto volta
all’esazione diretta nei riguardi della società debitrice,
anziché nel contesto della procedura concorsuale e secondo
la graduazione dei crediti.
Trattasi di una conseguenza dell’accertamento di fatto,
non incisa dalla previa considerazione astratta.
Consegue il rigetto del ricorso.

La particolarità e la complessità della questione

sottostante giustificano la compensazione delle spese
processuali.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese
processuali.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
sezione civile, addì 21 novembre 2013.

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