Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 156 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. un., 09/01/2020, (ud. 21/05/2019, dep. 09/01/2020), n.156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12202-2018 proposto da:

AGAIN S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUIGI GAROFALO;

– ricorrente –

contro

MAC MODE GMBH & CO. KGAA, in persona dei legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO

17, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RUFINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERT RUDEK;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 171/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/01/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/05/2019 dal Consigliere RAFFAELE FRASCA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento,

p.q.r., del quarto motivo e rigetto dei restanti;

uditi gli avvocati Ludovica Bernardi per delega dell’avvocato Luigi

Garofalo ed Alessandro Rufini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Again s.r.l. in liquidazione (di seguito Again) ha proposto ricorso per cassazione contro la Mac Mode Gmbh & Co. KGAA. (di seguito Mac Mode), società tedesca, avverso la sentenza del 25 gennaio 2018, con cui la Corte d’Appello di Venezia, rigettando l’appello di essa ricorrente, ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso del 29 luglio 2011, la quale – provvedendo sulle domande introdotte dalla Again nel settembre del 2009 – aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano nel presupposto che il rapporto da cui originava fosse riconducibile ad una compravendita di beni ai sensi dell’art. 5, n. 1, del regolamento CE n. 44 del 2001 e che il criterio di radicazione della giurisdizione previsto da tale norma, cioè quello del luogo di consegna della merce non fosse situato nel territorio italiano.

2. Le domande della Again erano state proposte, per come indicato nell’esposizione sommaria del fatto del ricorso, deducendosi:

a) che, a partire dal 2004, la Mac Mode aveva commissionato ad Again la produzione di pantaloni, destinati ad essere commercializzati con il suo marchio e da prodursi con specifiche tecniche e su modelli da essa forniti in base a ordini di lavorazione regolarmente trasmessi, nonchè – così si dice in detta esposizione – con l’utilizzo di materiali “usualmente forniti da Mac Mode, direttamente o comunque per tramite di terzi”;

b) che, avendole la Mac Mode, a partire dal 2007, chiesto di aumentare la capacità produttiva per far fronte più rapidamente a nuovi ordini, essa deducente aveva effettuato a quello scopo importanti investimenti per Euro 300.000,00 in una società ucraina, la Agotex s.r.l., creando un nuovo stabilimento a (OMISSIS), con un esborso complessivo di Euro 3.500.000,00, di cui 2.000.000,00 per l’acquisto dell’area e 1.500.000,00 per l’allestimento del fabbricato e degli impianti;

c) che inopinatamente la Mac Mode, dopo aver lamentato, con una lettera dell’11 settembre 2008, difformità e difetti di lavorazione della merce consegnatale dalla Again, il 21 ottobre 2008 aveva comunicato l’intenzione di ridurre drasticamente gli ordini e, quindi, aveva cessato di conferire alla Again nuove commesse, il che aveva determinato l’inattività dello stabilimento realizzato in Romania;

d) che, nonostante una proposta di riduzione dei prezzi formulata da essa deducente il 21 febbraio 2009, la società tedesca aveva unilateralmente interrotto, con una e-mail in pari data, i rapporti commerciali.

Sulla base di tali deduzioni, la Again – come risulta dall’atto di citazione richiamato nell’esposizione del fatto e prodotto in questa sede come doc. n. 2 – previa invocazione della sussistenza della giurisdizione italiana ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b) del Regolamento CE 593/08 e qualificazione del rapporto come subfornitura ad esecuzione continuata ai sensi della L. n. 192 del 1998, art. 1, comma 1, e art. 6 chiedeva al tribunale trevigiano accertarsi l’insussistenza di alcun inadempimento a suo carico riguardo alle obbligazioni contratte con la Mac Mode e, in subordine, l’assenza di gravità di quelli eventualmente esistenti, nonchè disporsi la condanna della stessa al risarcimento del danno – nella misura di Euro 5.000.000,00 od in quella minore o maggiore accertanda – “per abuso di dipendenza economica e per l’arbitraria interruzione senza congruo preavviso del rapporto tra le parti”.

2.1. Costituendosi in giudizio la Mac Mode eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del Giudice Italiano, adducendo che nella specie il rapporto si connotava come compravendita di beni ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. b), primo trattino, del reg. CE n. 44/2001, e chiedeva nel merito il rigetto delle domande attrici.

2.2. Il Tribunale di Treviso, all’esito del deposito delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, ritenuto opportuno pronunciarsi preliminarmente sull’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Italiano, con sentenza del luglio del 2011 (prodotta come doc. n. 27 con il ricorso e in esso richiamata) – previo rilievo che la giurisdizione doveva ritenersi regolata dal Reg. CE n. 44/2001 per tutte le domande, ivi compresa quelle risarcitorie, in quanto traenti titolo da condotte asseritamente poste in essere dalla convenuta in violazione o in contrasto con i principi che si assumevano regolare lo svolgimento del rapporto contrattuale fra le parti – declinava la giurisdizione, osservando che il rapporto negoziale tra le parti doveva ricondursi alla categoria della compravendita di beni e non ad una prestazione di servizi ai sensi dell’art. 5, n. 1. del detto Regolamento. Motivava tale assunto osservando che “nella fattispecie in esame, alla luce della stessa prospettazione di parte attrice e della documentazione allegata agli atti, risulta(va) che Again ha venduto nel corso degli anni a Mac Mode merce (pantaloni), prodotta (bensì su indicazione ed in base a modelli forniti dall’acquirente, ma) utilizzando materiali (essenzialmente la stoffa) della quale la stessa venditrice si approvvigionava presso terzi fornitori, e della quale perciò era proprietaria”. Rilevava, inoltre, che ai sensi della L. n. 192 del 1998, art. 2 difettava comunque il requisito della forma scritta ad substantiam per la qualificazione del rapporto come subfornitura. Assumeva, richiamando la risposta al relativo quesito, che le proprie conclusioni circa la qualificazione del rapporto erano giustificate dalla sentenza emessa dalla CGUE in sede di rinvio pregiudiziale nella causa C-381-08, Car Trim. Rilevava, quindi, che il luogo di consegna della merce, alla stregua di tale decisione era quello in cui i beni entravano nella disponibilità dell’acquirente e, dunque, si situava in Germania.

3. La Again appellava la decisione, deducendo l’erroneità della declinatoria di giurisdizione sia quanto al presupposto della qualificazione del rapporto contrattuale come compravendita, sia quanto all’individuazione – rilevante ai fini della determinazione del giudice competente – del luogo di consegna dei beni compravenduti al di fuori del territorio italiano.

3.1. Sotto il primo profilo (che è quello che in questa sede interessa), l’appellante sosteneva che il rapporto negoziale inter partes non poteva essere ricondotto ad un contratto di compravendita, ma doveva essere inquadrato come contratto di subfornitura ai sensi della L. n. 192 del 1998, art. 1, giacchè essa appellante lavorava i capi di abbigliamento in conformità a precise specifiche tecniche e a modelli forniti dalla stessa società tedesca sulla base di puntuali ordini, contenenti i requisiti delle lavorazioni da effettuare, il prezzo, i termini e le modalità della consegna. Inoltre, la Mac Mode forniva i materiali da impiegarsi dalla Again nella produzione di capi di abbigliamento.

Ne derivava che la giurisprudenza comunitaria richiamata dal Tribunale di Treviso per declinare la giurisdizione non sarebbe stata idonea a ricondurre la vicenda ad un contratto di compravendita e a negare la giurisdizione del giudice italiano, sulla scorta dell’art. 5, punto 1, lett. b, primo trattino, del Regolamento CE 44/2001.

E ciò perchè la CGUE – nella sentenza 25 febbraio 2010, C 381/08, CarTrim GmbH c. KeySafety System s.r.l., richiamata dal tribunale aveva qualificato come “compravendite di beni” “i contratti che hanno per oggetto la fornitura di beni da fabbricare o da produrre, benchè l’acquirente abbia posto taluni requisiti relativi all’approvvigionamento, alla trasformazione e alla consegna delle merci, senza che egli abbia provveduto a fornire i materiali, e benchè il fornitore sia responsabile della qualità e della conformità al contratto della merce”.

Nella specie risultava, invece, documentalmente provato: che i materiali che venivano utilizzati nella produzione erano forniti dalla stessa società Mac Mode, e che essa appellante eseguiva le lavorazioni conformemente alle prescrizioni fornite dalla società tedesca; che la società italiana prestava i propri servizi rispetto a beni acquistati dalla società tedesca, che rimaneva unica proprietaria della merce, sulla quale la società Again svolgeva i suoi servizi di lavorazione, rimanendo estranea ai contratti di compravendita che la società Mac Mode concludeva con i singoli produttori.

Secondo la Again erroneamente il tribunale aveva negato la sussistenza di un rapporto di subfornitura, adducendo la circostanza dell’utilizzo di materiali dei quali si approvvigionava presso terzi fornitori, poichè anche in tale ipotesi, il rapporto tra le parti non avrebbe potuto essere ricondotto alla fattispecie della compravendita, in quanto i servizi di lavorazione dei capi di abbigliamento prestati dall’odierna appellante nei confronti della committente erano, comunque, destinati ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività produttiva della società Mac Mode, che li commercializzava.

3.2. La Again lamentava ulteriormente che erroneamente il tribunale avesse negato la qualificazione del rapporto quale subfornitura, a motivo del difetto della forma scritta prescritta ad substantiam dalla L. n. 192 del 1998, art. 2, giacchè quella norma disponeva che “costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica” e che, “nel caso di proposta inviata dal committente secondo le modalità indicate nel comma 1, non seguita da accettazione scritta del subfornitore, che tuttavia inizia le lavorazioni o le forniture senza che abbia richiesto la modificazione di alcuno dei suoi elementi, il contratto si considera concluso per iscritto agli effetti della presente legge e ad esso si applicano le condizioni indicate nella proposta, ferma restando l’applicazione dell’art. 1341 c.c.”.

Poichè i numerosi ordinativi relativi alle singole forniture venivano comunicati dalla Mac Mode per via telematica e, dunque, i rapporti tra le parti si erano svolti sulla base di comunicazioni scritte, la Again sosteneva che ricorrevano tutti gli elementi previsti dal comma 5 del citato art. 2, cioè: “a) i requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che consentano l’individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali, o anche attraverso il richiamo a norme tecniche che, quando non siano di uso comune per il subfornitore o non siano oggetto di norme di legge o regolamentari, debbono essere allegate in copia; b) il prezzo pattuito; c) i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento”.

3.3. Una volta ricondotto il rapporto alla fattispecie della subfornitura, ai fini dell’individuazione del giudice munito della giurisdizione nella controversia, secondo la Again, rilevava, ex art. 5, punto 1, lett. b, secondo trattino, Regolamento CE 44/2001, il luogo in cui i servizi erano stati o avrebbero dovuti essere prestati in base al contratto ed esso si sarebbe dovuto individuare nella propria sede, poichè ivi essa eseguiva le lavorazioni, con la conseguenza che competente risultava il Tribunale di Treviso.

3.4. La appellante sosteneva altresì di avere adito il Tribunale di Treviso sia per ottenere l’accertamento negativo della pretesa sussistenza, in capo a sè, di inadempimenti imputabili delle obbligazioni assunte nei confronti della società Mac Mode, sia per vedere quest’ultima società condannata a risarcire il danno conseguente all’illegittima interruzione dei rapporti commerciali e alla violazione del divieto di abuso di dipendenza economica, e lamentava che il primo giudice avesse ritenuto a torto, sempre per giustificare la declinatoria della giurisdizione anche su di esse, che le domande risarcitorie traessero titolo da “condotte, poste in essere dalla convenuta in violazione di, o comunque contrastanti con, regole e principi che si assumono presidiare lo svolgimento del rapporto contrattuale e che, in particolare, la parte convenuta si assume obbligata a rispettare in virtù di obblighi derivanti dal contratto e posti a tutela della posizione negoziale della controparte”.

Viceversa, il tribunale aveva omesso di considerare che l’abuso di dipendenza economica e l’arbitraria interruzione senza congruo preavviso del rapporto tra le parti integravano comportamenti riconducibili agli “illeciti civili” di cui all’art. 5, punto 3, del Regolamento CE 44/2001, che individua, ai fini della giurisdizione, il giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”. Adducendo, quindi, che i principi ricavabili dalla L. n. 192 del 1998 e, particolarmente dal suo art. 9, costituivano “espressione del principio di buona fede che impone di non trarre vantaggi eccessivi da una situazione di debolezza in cui versi la controparte”, la Again assumeva doversi ritenere che la responsabilità da abuso di dipendenza economica e da arbitraria interruzione senza congruo preavviso del rapporto tra le parti avevano avuto natura precontrattuale e dovevano essere ricondotte all’art. 2043 c.c..

4. Nella resistenza all’appello della Mac Mode, la corte lagunare ha confermato il diniego della giurisdizione italiana, con la seguente motivazione:

“Il Tribunale ha correttamente collocato la questione della competenza giurisdizionale relativa al rapporto dedotto in causa nella disciplina del Regolamento CE n. 44/2001, escludendo la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in forza dell’art. 2 del citato regolamento, il quale in materia contrattuale stabilisce, all’art. 5, lett. A, la operatività del criterio speciale del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio. Ciò in quanto, alla luce della prospettazione della stessa attrice e della documentazione da essa allegata, è risultato che la società Again s.r.l. ha venduto negli anni alla società Mac Mode pantaloni prodotti in base a indicazioni e a modelli forniti dalla acquirente, la quale acquistava i materiali da terzi fornitori. Le doglianze svolte con i motivi di appello non scalfiscono le argomentazioni poste dal Tribunale a fondamento della sentenza impugnata, e il rilievo determinante della fornitura di materiali da parte della società committente – in forza del quale la società appellante pretende inquadrare il rapporto nella fattispecie della subfornitura, ai sensi della L. n. 192 del 1998, art. 1, con conseguente applicazione, ai fini dell’individuazione del giudice munito della giurisdizione nella controversia dell’art. 5, punto 1, lett. B, secondo trattino del Regolamento CE 44/2001, ossia del luogo in cui i servizi sono stati o sarebbero dovuti essere prestati in base al contratto – è smentito dalle affermazioni della stessa società Again s.r.l., contenute nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado. Alla pagina 1, paragrafo 5, della citazione, l’attuale appellante afferma infatti che: “La Mac Mode indicava altresì alla Again i fornitori dai quali acquistare i materiali da utilizzare nella produzione”. Ciò conferma che la società Mac Mode non forniva direttamente i materiali alla società Again, limitandosi ad indicare alla stessa i fornitori presso i quali approvvigionarsi per la produzione dei capi di abbigliamento da essa commissionati. Deve altresì condividersi la pronuncia del Tribunale con riferimento al ritenuto difetto della forma scritta ad substantiam del rapporto negoziale, prescritta dalla L. n. 192 del 1998, art. 2, che ne preclude l’inquadramento nell’ambito dei contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi, ossia nell’ambito del rapporto di subfornitura. Le motivazioni poste a base della impugnata sentenza appaiono in linea con l’interpretazione della normativa comunitaria adottata dal primo giudice e con la giurisprudenza da esso richiamata, e devono pertanto essere condivise.”.

5. Al ricorso per cassazione, che prospetta tre motivi intesi a criticare la declinatoria della giurisdizione italiana ed un quarto la statuizione sulle spese giudiziali del grado di appello, ha resistito con controricorso la Mac Mode.

5. Sono state depositate memorie dalle parti.

6. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso riguardo al quarto motivo e le ha reiterate nella discussione all’odierna udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso, formulata dalla resistente, con invocazione di Cass. n. 26520 del 2017 e di Cass. n. 30918 del 2017, atteso che parte ricorrente ha depositato la copia notificatagli a mezzo PEC della sentenza impugnata estratta dal difensore avversario dal fascicolo telematico e su di essa ha fatto l’asseverazione di conformità: è sufficiente rinviare ai principi affermati da Cass., Sez. Un., n. 8312 del 2019 perchè si evidenzi l’infondatezza dell’eccezione, peraltro priva di fondamento già sulla base della stessa invocata Cass. n. 30918 del 2018.

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, punto 1, lett. a) e b) del Regolamento CE n. 44/2001, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1”.

Il motivo presenta un’articolazione finalizzata alla dimostrazione che i giudici di merito avrebbero erroneamente ricondotto il rapporto intercorso fra le parti ad una compravendita, mentre si sarebbe dovuto ricondurre ad una prestazione di servizi, il che avrebbe consentito di giustificare la conclusione della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b) del Reg. Ce n. 44 del 2001.

2.1. L’illustrazione, dopo una premessa riassuntiva delle ragioni del decidere del giudice di secondo grado ai fini della individuazione della giurisdizione, assume che l’iter motivazionale corretto, ai fini di quella individuazione alla stregua del citato art. 5, punto 11 lett. b), avrebbe dovuto indurre i giudici di merito nel decidere a quale fra le due fattispecie ivi previste – quella della compravendita dei beni o quella della prestazione di servizi, intese come “concetti autonomi del diritto Europeo, indipendenti dalle categorie giuridiche interne” – fosse riconducibile, a riflettere sulle peculiarità del rapporto inter partes idonee a giustificare la riconduzione all’una o all’altra “sul piano del diritto interno”. Di seguito, dalla pagina 13 sino al primo rigo della pagina 23, l’illustrazione del motivo – secondo una logica che hanno seguito anche i giudici di merito, in ragione dell’espressa invocazione nella citazione introduttiva da parte della qui ricorrente della figura della c.d. subfornitura, di cui alla L. n. 192 del 1998 – si dilunga nello svolgimento di ampie considerazioni che sono finalizzate a sostenere che il rapporto sarebbe stato riconducibile a quella figura.

In primo luogo, la ricorrente argomenta nel senso che si sarebbe trattato di una subfornitura c.d. di lavorazione ed in subordine di una subfornitura c.d. di prodotto, adducendo che nell’uno come nell’altro caso la qualificazione di diritto interno sarebbe idonea a giustificare, agli effetti dell’art. 5, comma 1, lett. b), quella del rapporto in termini di prestazione di servizi.

Nello svolgimento dell’ampia argomentazione, nella quale ci si si occupa anche di criticare la ratio decidendi della sentenza impugnata, reiterativa di quella del primo giudice, che aveva escluso la configurabilità della subfornitura per mancanza del requisito della forma scritta, ci si sofferma – in funzione della dimostrazione che il rapporto inter partes sarebbe stato una subfornitura “di lavorazione” sull’affermazione della sentenza impugnata (anche qui condividente l’assunto del primo giudice) che la Mac Mode non fornisse direttamente i materiali da lavorare alla Again. Affermazione che entrambi i giudici di merito hanno fatto sulla base della deduzione fatta dalla qui ricorrente nella citazione introduttiva del giudizio che “”la Mac Mode indicava altresì alla Again i fornitori dai quali acquistare i materiali da utilizzare nella produzione”.

Tale affermazione viene criticata assumendo che quella deduzione sarebbe stata fraintesa dai giudici di merito, in quanto “era volta…a sottolineare l’esistenza di una eterodirezione di Mac Mode”, nel senso che “là dove le materie prime non erano fornite direttamente da Mac Mode” la ricorrente “non sceglieva, nè addirittura formulava gli ordinativi dai fornitori”.

2.2. Tanto sarebbe emerso dalla produzione documentale effettuata in giudizio ed in particolare:

a) dal fatto che la Mac Mode, come emergeva da una serie di e-mails, intercorse fra le due società tra il 7 marzo 2006 e il giugno del 2008 (e che vengono indicate alle pagine 24-25 del ricorso), forniva gli accessori relativi ai pantaloni, cioè i bottoni, i rivetti e le etichette;

b) dalla circostanza, risultante da e-mails intercorse fra le odierne parti fra l’ottobre del 2006 ed il novembre del 2007 e anche fra la Again e i fornitori (viene citata come esempio una mail dell’ottobre 2006), che gli altri materiali che Again impiegava nel predisporre i pantaloni pervenivano ad Again da fornitori (come ad esempio la Legler e la Ortaanadolu per le stoffe) con cui essa non aveva rapporti diretti, giacchè era la stessa Mac Mode ad inviare gli ordinativi ai fornitori stessi “tramite i cosiddetti Abrufe”, nei quali venivano individuate quantità e qualità dei materiali che gli stessi avrebbero dovuto spedire ad Again per consentire l’esecuzione degli ordini di lavorazione ricevuti.

Dalle emergenze di tale documentazione, secondo la ricorrente, risultava che la Mac Mode consegnava direttamente parte delle materie prime e per altra parte “trattava in prima persona con i fornitori e effettuava presso i grossisti gli ordini del materiale (mediante gli Abrufe…) che poi veniva inviato all’odierna ricorrente, la quale, dal suo canto, non poteva in alcun modo procurarsi i materiali in via autonoma”, sicchè in questo secondo caso i vari contratti di compravendita si perfezionavano solo formalmente fra Again ed i fornitori, senza che la prima divenisse proprietaria della merce fornita ed ancorchè la stessa provvedesse al pagamento.

Tanto sarebbe emerso da risultanze probatorie acquisite al giudizio di merito e particolarmente: aa) dal doc. 41, nel quale figurava una tabella delle voci che andavano a comporre il compenso di Again, nella quale il prezzo da pagarsi alla stessa da Mac Mode comprendeva “il costo delle materie prime ordinate da Mac Mode e pagate da Again”, che così “era semplicemente e immediatamente riaddebitato dalla seconda alla prima, quale voce separata dal vero e proprio corrispettivo spettante alla Again”, in pratica figurando “nel prospetto delle voci del compenso il prezzo delle materie prime (…) autonomamente” e come “semplicemente riversato come tale su Mac Mode”; bb) da alcune e-mails del 2007 e da una del 2008, con cui la Mac Mode “dopo aver dato l’ordine di invio ai fornitori, chiedeva agli stessi di trasmetterle le fatture” in copia; cc) da altre e-mails nelle quali risultava che, una volta receduti dal rapporto ed essendosi la Again venuta a trovare in possesso di materie prime non più utilizzabili per realizzare i prodotti, la Mac Mode, su richiesta della Again, aveva restituito il prezzo già pagato da questa e prelevato le materie stesse.

2.3. All’attività argomentativa basata sulle emergenze delle evocate risultanze delle produzioni documentali, segue l’utilizzazione delle stesse e di altre ulteriori in funzione della dimostrazione che il rapporto intercorso fra le parti sarebbe stato di subfornitura ed in particolare una subfornitura di lavorazione, come tale riconducibile all’art. 5, punto 1, lett. b) del Reg. CE 44/2001. L’asserto basato su quella qualificazione viene svolto assumendo (pagg. 34 e ss.) che a detta figura, secondo la logica di un rapporto di durata, sarebbero riconducibili le modalità di svolgimento del rapporto fra le società, che si descrivono intercorse con ordinativi relativi “alle singole forniture comunicati dalla committente ad Again per via telematica e seguiti sia da risposte scritte (inviate per email) sia dall’inizio delle lavorazioni”, sulla base di un accordo intervenuto all’inizio del rapporto che prevedeva lo svolgimento da parte di Again delle lavorazioni che le collezioni di pantaloni avrebbero richiesto con la specifica delle caratteristiche e dei requisiti di lavorazione per ogni modello: al riguardo vengono citati una serie di documenti alle pagine 35-36. Segue ulteriore attività argomentativa volta a qualificare il rapporto come subfornitura di lavorazione ai fini del diritto interno italiano e, quindi, come di prestazione di servizi agli effetti del diritto comunitario, evocandosi la motivazione della decisione della CGUE 25 febbraio 2010, in C-381-08, Car Trim. In via gradata, nella prospettiva che il rapporto fosse invece una subfornitura di prodotti secondo il diritto interno, si argomenta, quindi, che comunque la prestazione di facere sarebbe risultata prioritaria rispetto a quella di dare, adducendo – evocando evidentemente per implicito le allegazioni già in precedenza svolte – “l’inesistente apporto di Again nella scelta dei fornitori delle materie prime e nella negoziazione con gli stessi”, nonchè sostenendo che, come emergeva da una e-mail del 4 giugno 2008 – che si dice “qui prodotta quale doc. 39”, la Again provvedeva a testare i materiali “e in particolare i rotoli di tessuto sulla base delle vincolanti indicazioni ricevute da Mac Made e per suo conto”, e solo successivamente procedeva al taglio dei tessuti, al ricamo, alla asciugatura. E ciò nuovamente evocando le risultanze citate alle pagg. 35-36.

Si sottolinea ancora che la preponderanza della prestazione dei servizi risultava dal fatto che in ogni prospetto sui pagamenti dovuti da Mac Mode ad Again i relativi importi venivano indicati separatamente rispetto al costo sostenuto per le materie prime dalla Again.

2.4. Si rileva, poi, che le caratteristiche di svolgimento del rapporto escluderebbero la sua riconduzione ad un vendita anche alla stregua della Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili dell’11 aprile 1980 e ciò, sia ai sensi del principio stabilito dal suo art. 3, comma 1, là dove esclude che siano da considerare vendite i rapporti in cui la parte che ordina la merce fornisce una parte sostanziale dei materiali necessari per la fabbricazione o produzione, sia – ove non si ritenesse ricorrente questa evenienza nella vicenda – ai sensi del comma 2 della stessa norma, là dove stabilisce che la convenzione non si applica “ai contratti in cui la parte preponderante degli obblighi del contraente che fornisce la merce consiste nella prestazione di manodopera o di altri servizi”, atteso che, in base alle deduzioni svolte, nel rapporto fra le parti sarebbe stato “per lo meno preponderante lo svolgimento di servizi”.

Tanto, alla stregua della nozione dei “servizi” precisata dalla CGUE nella sentenza 14 luglio 2016, in C-195-15, Granarolo, nel senso che essa implichi “quanto meno, che la parte che li fornisce effettui una determinata attività in cambio di un corrispettivo”, “ossia l’esistenza di un’attività (..) che venga in sè e per sè compensata”, come sarebbe accaduto nella vicenda inter partes.

3. Il motivo è fondato per quanto di ragione e dev’essere dichiarata la giurisdizione del giudice italiano sulla controversia.

Queste le ragioni.

3.1. Deve in primo luogo rilevarsi che l’individuazione della giurisdizione deve avvenire sulla base dell’applicazione della disciplina di diritto comunitario emergente dall’art. 5, punto 1, del Reg. CE n. 44 del 2001 ed in particolare all’esito dello scioglimento dell’alternativa riguardo alla riconducibilità del rapporto contrattuale intercorso fra le parti, da cui origina la causa petendi delle domande oggetto di giudizio, ad una delle due fattispecie contemplate nella lettera b) di tale punto. Essa, nell’individuare come debba procedersi all’applicazione della norma dello stesso punto 1, lettera a) – che, in materia contrattuale, stabilisce che la persona domiciliata nel territorio di uno stato membro, possa essere convenuta “davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita” identificano tale luogo rispettivamente con riferimento al “caso della compravendita di beni” nella disposizione introdotta dal primo trattino e con riferimento al “caso della prestazione di servizi” in quella introdotta dal secondo trattino.

I giudici dei due gradi di merito hanno ritenuto che il rapporto contrattuale fra le parti avesse avuto natura di “compravendita” e non di “prestazione di servizi”.

La prospettazione del motivo sostiene che essi abbiano errato e lo fa, come si è visto, adducendo che le modalità di svolgimento del rapporto, anche per come sarebbe evidenziato dalle emergenze documentali prodotte in giudizio, giustificherebbero al contrario una sua qualificazione come “prestazione di servizi”.

Il tribunale prima e la corte territoriale condividendone l’assunto hanno affermato che il riferimento alla citata normativa comunitaria risultava assorbente anche riguardo alle domande risarcitorie proposte dalla Again, in quanto le condotte poste a loro fondamento comunque traevano titolo dallo svolgimento del rapporto contrattuale fra le parti.

Questa affermazione va condivisa e rende decisivo riguardo a tutte le domande valutare se la citata normativa comunitaria sia stata correttamente applicata.

3.2. Come ha avvertito il Pubblico Ministero nelle sue conclusioni, al contrario di quanto ha postulato parte resistente nel suo controricorso, gli elementi fattuali che hanno connotato lo svolgimento del rapporto fra le parti, per come allegati dalla parte a fondamento della domanda giudiziale sono da considerare ai fini dello scrutinio del motivo di giurisdizione siccome denunciante un vizio di violazione di una norma del procedimento e, dunque, inerente al “fatto processuale” rilevante per individuare la giurisdizione. Poichè le domande giudiziali introdotte dalla ricorrente traggono titolo in via diretta o comunque indiretta dal rapporto contrattuale intercorso fra le parti ed è, dunque, necessario qualificare tale rapporto alla stregua delle due alternative indicate dalla normativa comunitaria, questa Corte, in base al consolidato principio secondo cui “in ordine alle questioni di giurisdizione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono anche giudice del fatto, sicchè possono e devono esaminare l’atto negoziale la cui valutazione incida sulla determinazione della giurisdizione” (Cass., Sez. Un. 8074 del 2015), è senz’altro legittimata a procedere all’esame delle emergenze fattuali evocate dalla ricorrente come connotanti lo svolgimento del rapporto (essendosi fornita di esse l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6: Cass., Sez. Un. 28332 del 2019, da ultimo).

3.3. Va avvertito, tuttavia, che, ai fini della soluzione del problema di qualificazione e, dunque, dell’accertamento della sussistenza o meno della giurisdizione del giudice italiano, si deve considerare che la rilevanza di dette emergenze va apprezzata alla stregua del criterio somministrato dal precetto dell’art. 386 c.p.c., il quale dispone che “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”.

La norma, assumendo come criterio determinativo della giurisdizione l’oggetto della domanda, implica in primo luogo che le norme regolatrici della giurisdizione e, quindi, anche quelle individuatrici della giurisdizione italiana nei confronti dello straniero, siano applicate con riferimento alla domanda giudiziale, cioè ai fatti costitutivi di essa (causa petendi) ed al suo oggetto (c.d. petitum sostanziale). Ne consegue che, con riferimento alla fattispecie di cui è processo, le nozioni della normativa comunitaria richiamata, cioè quella di “compravendita” e quella di “prestazione di servizi”, vanno applicate, una volta ricostruite nella loro consistenza di fattispecie normativa astratta, con riferimento al tenore della domanda proposta e, quindi, verificando se la causa petendi ed il petitum sostanziale di essa evidenzino una fattispecie concreta in thesi riconducibile all’una o all’altra fattispecie astratta. La rilevanza della domanda ai sensi dell’art. 386 come punto di riferimento della individuazione della giurisdizione implica la conseguenza – confermata sia dalla circostanza che l’art. 5 c.p.c. (richiamato dalla L. n. 218 del 2005, art. 8) ancora il momento determinante della giurisdizione allo stato di fatto esistente al momento della domanda, sia dall’assenza di una norma che preveda un’istruzione (sebbene sommaria) sulla giurisdizione a differenza di quella apparecchiata per la competenza dall’art. 38 c.p.c., u.c., quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto – che i fatti determinanti della giurisdizione secondo la fattispecie normativa astratta debbano essere quelli indicati nell’atto con cui la domanda si propone. Con l’avvertenza che, consentendo l’ordinamento l’attività di precisazione della domanda (come emerge dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, per il rito ordinario e implicitamente dall’art. 420 c.p.c., comma 6), tra i fatti rilevanti ai fini della individuazione della giurisdizione vanno compresi anche quelli tramite i quali si compie l’attività di c.d. precisazione della domanda.

Va ricordato, poi, che, come ebbe a precisare Cass., Sez. Un., n. 102 del 2001, “la decisione sulla giurisdizione si caratterizza dal fatto che l’apprezzamento affidato al giudice, col correlativo potere di qualificazione giuridica, deve essere esercitato in riferimento ad elementi dedotti ed allegati dalla parte, ma non ancora effettivamente accertati – come è bene messo in luce dalla testè citata norma, là dove, dopo avere prescritto che una decisione siffatta “è determinata dall’oggetto della domanda”, ha cura di precisare che essa “quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda””. Il che significa che ai fini della determinazione della giurisdizione non rileva il successivo svolgimento dell’attività di istruzione diretta a verificare il fondamento degli elementi dedotti ed allegati con la domanda e con l’attività di precisazione.

Eventuali produzioni documentali che, secondo la scansione del rito processuale, siano state introdotte nel processo per dare dimostrazione di fatti fondanti la domanda originaria o siccome precisata, in quanto dirette a rappresentare direttamente i fatti posti a fondamento della domanda originariamente proposta o precisata, poichè non si concretano in nuove allegazioni, ma svolgono efficacia dimostrativa di quei fatti già allegati, possono invece essere considerati. Se si tratti di produzioni documentali rappresentative di fatti secondari dei quali si postuli l’idoneità a dimostrare in via indiretta, cioè presuntiva, i fatti costitutivi della domanda, pur integrando esse a stretto rigore allegazione di fatti nuovi, se ne deve predicare parimenti l’utilizzabilità ai fini della determinazione della giurisdizione, perchè il loro valore di allegazione non incide sui termini della domanda, ma anzi è funzionale rispetto ad essa. La stessa cosa dicasi dei fatti dell’una dell’altra specie capitolati come oggetto di prove orali.

3.4. Prima di procedere all’esame della questione di giurisdizione secondo il criterio indicato dall’art. 386, poichè si deve applicare la normativa comunitaria che si è detta rilevante è necessario interrogarsi sul se risulti una situazione tale da escludere incertezze sulla sua esegesi.

Se fossero esistenti incertezze, si imporrebbe la formulazione obbligatoria alla CGUE di una questione pregiudiziale interpretativa ai sensi del comma 3 dell’art. 267 del TFUE.

3.4.1. Ritengono le Sezioni Unite che non esista una situazione di incertezza, giacchè la CGUE si è espressa in modo chiaro sull’esegesi dell’art. 5, punto 1, lett. b) del reg. n, 44 del 2001, con la pronuncia, evocata dalla ricorrente (e a suo tempo anche dal primo giudice), resa sulla Causa C-381-08, Car Trim Gmbh e che, dunque, nella fattispecie si tratta solo di applicare alla vicenda di cui è processo i principi affermati in quella decisione.

Conviene allora richiamare tali principi, che sono stati enunciati per rispondere al quesito con cui un giudice nazionale tedesco domandava di sapere se l’art. 5, punto 1, lett. b), del regolamento n. 44 del 2001 “debba interpretarsi nel senso che contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni da fabbricare o da produrre debbano definirsi compravendite di beni (primo trattino) anzichè prestazioni di servizi (secondo trattino), anche qualora l’acquirente abbia posto taluni requisiti relativi all’approvvigionamento, alla trasformazione e alla consegna di tali beni, segnatamente riguardo alla garanzia della qualità di fabbricazione, dell’affidabilità delle consegne e della buona gestione amministrativa dell’ordine”; e, gradatamente di conoscere “quali siano i criteri determinanti per effettuare la distinzione.”.

3.4.2. La CGUE ha enunciato i principi che qui debbono considerarsi dopo avere ricordato (per quanto qui di interesse, atteso che nella pronuncia venne risolto anche un diverso quesito sull’art. 5 sopra citato qui non rilevante):

a) che la normativa comunitaria rilevante era rappresentata oltre che dall’art. 5 già citato del Regolamento (CE) del Consiglio n. 44 del 2001, dall’art. 1, n. 4, della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, là dove essa dispone che “ai fini della presente direttiva sono considerati contratti di vendita anche i contratti di fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre”;

b) che la normativa internazionale pure rilevante era rappresentata:

bi) dalla Convenzione delle Nazioni Unite, firmata a Vienna l’11 aprile 1980, sui contratti di vendita internazionale di beni mobili (in prosieguo: la “CISG”), là dove, in particolare, all’art. 3, in merito al suo ambito di applicazione ratione materiae prevede nel comma 1 che “sono considerate vendite i contratti di fornitura di merci da fabbricare o produrre, a meno che la parte che ordina queste ultime non debba fornire una parte essenziale del materiale necessario a tale fabbricazione o produzione”, e, quindi, nel comma 2, dispone che la Convenzione “non si applica ai contratti in cui la parte preponderante dell’obbligo della parte che fornisce le merci consiste in una fornitura di mano d’opera o altri servizi”;

b2) dall’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite, firmata a New York il 14 giugno 1974, sulla prescrizione in materia di vendita internazionale di merci, là dove nel comma 1 si dispone che “la presente Convenzione non si applica ai contratti in cui la parte preponderante degli obblighi del venditore consiste in una fornitura di mano d’opera o altri servizi” e, quindi, nel comma 2, si precisa che “sono assimilati alle vendite i contratti di fornitura di beni mobili materiali da fabbricare o produrre, a meno che la parte che ordina il bene non debba fornire una parte essenziale del materiale necessario a tale fabbricazione o produzione”.

3.4.3. La CGUE, procedendo all’esegesi del Regolamento ha osservato nel paragrafo n. 30 che: “Il tenore letterale dell’art. 5, punto 1, lett. b) del regolamento non contiene nè una definizione delle due categorie di contratto nè elementi di differenziazione di tali due categorie relativamente alla compravendita di beni comprendente al contempo la prestazione di servizi. In particolare, il primo trattino della detta disposizione, relativo alla compravendita di beni, non precisa se esso si applichi anche nel caso in cui la merce in questione debba essere fabbricata o prodotta dal venditore osservando taluni requisiti posti al riguardo dall’acquirente, tenendo conto del fatto che una siffatta fabbricazione o produzione ovvero una parte di quest’ultima potrebbe essere definita come “servizio” ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), secondo trattino, del regolamento.”.

Ha, quindi, soggiunto (par. 31) “che l’art. 5, punto 1, del regolamento prende in considerazione, per i contratti di compravendita di beni e per quelli di prestazione di servizi, l’obbligazione caratteristica di tali contratti quale criterio di collegamento al giudice competente (v., in tal senso, sentenza 23 aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung e Rabitsch, Racc. pag. 1-3327, punto 54)” ed ha continuato (par. 32) osservando che: “Alla luce di tale considerazione, risulta quindi determinante l’obbligazione caratteristica dei contratti in questione. Un contratto la cui obbligazione caratteristica sia la consegna di un bene sarà qualificato come “compravendita di beni” ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del regolamento. Un contratto la cui obbligazione caratteristica sia una prestazione di servizi sarà qualificato come “prestazione di servizi” ai sensi di detto art. 5, punto 1, lett. b), secondo trattino.”.

La CGUE ha, quindi, avvertito (par. 33) che ” al fine di determinare l’obbligazione caratteristica dei contratti in questione, occorre prendere in considerazione” alcuni “elementi”.

3.4.3.1. Il primo di essi è stato individuato (par. 34 della decisione) nel fatto “che la qualificazione di un contratto avente ad oggetto la compravendita di beni che devono essere dapprima fabbricati o prodotti dal venditore è disciplinata da alcune disposizioni del diritto dell’Unione e del diritto internazionale le quali possono orientare l’interpretazione da conferire alle nozioni di “compravendita di beni” e di “prestazione di servizi”.”. In tal senso la CGUE (par. 35) ha sottolineato: che “ai sensi dell’art. 1, n. 4, della direttiva 1999/44, i contratti di fornitura di beni di consumo da fabbricare o da produrre sono considerati come contratti di compravendita e, secondo l’art. 1, n. 2, lett. b), di tale direttiva, qualsiasi bene mobile materiale è qualificato come “bene di consumo”, con talune eccezioni che non sono rilevanti nel caso di specie”; che (par. 36) “inoltre, secondo l’art. 3, n. 1, della CISG, sono considerate vendite i contratti di fornitura di merci da fabbricare o produrre, a meno che la parte che ordina queste ultime non debba fornire una parte essenziale del materiale necessario a tale fabbricazione o a tale produzione; e che (par. 37) “inoltre, l’art. 6, n. 2, della Convenzione delle Nazioni Unite del 14 giugno 1974 sulla prescrizione in materia di vendita internazionale di merci prevede parimenti che siano assimilati alle vendite i contratti di fornitura di beni mobili materiali da fabbricare o da produrre, a meno che la parte che ordina il bene non abbia fornito una parte essenziale degli elementi necessari a tale fabbricazione o produzione.”.

Dalla ricognizione di tali dati normativi la CGUE ha desunto, nel par. 38, come primo elemento da considerare che “Pertanto, le citate disposizioni indicano che il fatto che la merce da consegnare debba prima essere fabbricata o prodotta non modifica la qualificazione del contratto in questione come contratto di compravendita” ed ha sottolineato di essere giunta alle medesime conclusioni in materia di appalti pubblici (evocando la sentenza 11 giugno 2009, causa C-300/07, Hans & Christophorus Oymanns (non ancora pubblicata nella Raccolta), in cui: a) al punto 64, si è dichiarato che la nozione di “appalti pubblici di forniture”, di cui all’art. 1, n. 2, lett. c), comma 1, della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), comprende l’acquisto di prodotti, indipendentemente dal fatto che il prodotto considerato venga messo a disposizione dei consumatori già pronto o dopo essere stato fabbricato in funzione delle loro esigenze; b) e al punto 66 si è concluso che, in caso di messa a disposizione di prodotti che sono fabbricati e adattati individualmente in funzione delle esigenze di ciascun cliente, la confezione di detti prodotti fa parte della fornitura dei prodotti in questione.

In base alle ricordate enunciazioni, risulta chiaro che il primo elemento che è stato individuato si coglie, nell’affermazione in termini generali della irrilevanza, in funzione dell’esclusione della natura di compravendita del rapporto, del fatto che una fornitura abbia ad oggetto prodotti materiali da fabbricare o da produrre. Questa circostanza non è tale da assegnare al rapporto contrattuale natura di prestazione di servizi e ciò anche quando l’attività di fabbricazione o produzione sia stata stavolta in funzione delle esigenze di uno specifico cliente.

3.4.3.2. Il secondo elemento è individuato dalla CGUE nel paragrafo 40, là dove si osserva che: “In secondo luogo, occorre tener conto del criterio richiamato dalla Commissione delle Comunità Europee relativo all’origine dei materiali da trasformare. Ai fini dell’interpretazione dell’art. 5, punto 1, lett. b), del regolamento, può essere parimenti preso in considerazione il fatto che tali beni siano o meno forniti dall’acquirente. Se l’acquirente ha fornito tutti o la maggior parte dei materiali impiegati nella fabbricazione della merce, tale circostanza può far propendere a favore della qualificazione del contratto come “contratto di prestazione di servizi”. Invece, nel caso contrario, in assenza di fornitura di materiali da parte dell’acquirente, si dovrebbe piuttosto preferire una qualificazione del contratto come “contratto di compravendita di beni”.”.

In tal modo la CGUE ha inteso sottrarre alla irrilevanza del fattore “fabbricazione o riproduzione” indicato come primo elemento, la fattispecie che le fonti normative evocate, cioè la Convezione di Vienna e la Convezione di New York, espressamente eccettuano dalla riconduzione alla vendita, cioè il caso in cui la parte ordinante fornisca una parte essenziale del materiale necessario alla fabbricazione o produzione.

Sicchè, se il primo elemento cui la CGUE ha inteso dare rilevanza è certamente quello della normale ininfluenza ai fini della qualificazione come compravendita della fornitura di merci da fabbricare o produrre, il secondo elemento – cioè la circostanza che chi fabbrica o produce la merce lo faccia utilizzando una parte essenziale del materiale necessario che venga fornito dall’ordinante – opera o meglio può operare in senso eccettuativo e, dunque, a favore della qualificazione come prestazione di servizi.

Tale operatività è, peraltro, enunciata in termini tendenziali e, dunque, va accertata in concreto. Il che – non essendosi definito il significato dello stesso “modo” del fornire da parte dell’ordinante consente di ritenere che sussista una possibilità di apprezzamento nel caso concreto anche riguardo ad esso.

3.4.3.3. Il terzo elemento indicato dalla CGUE è stato enunciato nel par. 42 in questi termini: ” In terzo luogo, benchè il giudice del rinvio non fornisca alcuna informazione in proposito, è necessario osservare che anche la responsabilità del fornitore può essere un elemento da prendere in considerazione nel qualificare l’obbligazione caratteristica del contratto in questione. Se il venditore è responsabile della qualità e della conformità al contratto dei beni da esso prodotti, tale responsabilità deporrà a favore di una qualificazione come “contratto di compravendita di beni”. Per contro, se lo stesso risponde soltanto della correttezza dell’esecuzione secondo le istruzioni dell’acquirente, tale circostanza depone piuttosto a favore di una qualificazione del contratto come “prestazione di servizi”.”.

Questo terzo elemento, evidentemente, siccome fa manifesto l’uso del verbo indicativo e non di quello condizionale “potere”, risulta non solo rilevante sempre, ma eventualmente rilevante anche da solo per giustificare l’una o l’altra qualificazione.

3.4.3.5. Sulla base di tali argomentazioni la CGUE ha risolto la questione interpretativa (par. 43) “dichiarando che i contratti che hanno per oggetto la fornitura di beni da fabbricare o da produrre, benchè l’acquirente abbia posto taluni requisiti relativi all’approvvigionamento, alla trasformazione e alla consegna delle merci, senza che egli abbia provveduto a fornire i materiali, e benchè il fornitore sia responsabile della qualità e della conformità al contratto della merce, devono essere qualificati come “compravendita di beni” ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del regolamento.”.

3.4.4. Quelli ricordati essendo i principi enunciati dalla CGUE si tratta di applicarli alla vicenda di cui è causa.

Va avvertito che si tratta di principi che rilevano ai fini della individuazione della giurisdizione e non della qualificazione normativa del rapporto dedotto in giudizio, che, una volta individuata la giurisdizione, dovrà assumersi, anche all’esito dell’istruzione, per risolvere la controversia, il che postulerà, naturalmente, l’individuazione, secondo la legge nazionale in concreto applicabile, della disciplina adeguata al rapporto stesso.

Ne discende che ai fini della individuazione della giurisdizione restano irrilevanti le ampie considerazioni che nel motivo in esame si sono svolte per qualificare il rapporto inter partes come subfornitura ai sensi della L. n. 192 del 1998 e ciò anche sotto il profilo dell’osservanza del requisito formale. Esse potranno semmai avere rilievo, all’esito dell’istruzione, in funzione della qualificazione del rapporto ai fini del giudizio sul merito delle domande.

E’ manifesto, infatti, che nella decisione della CGUE la normativa comunitaria e internazionale che essa ha considerato e che deve intendersi nei termini da essa precisati quanto alla contrapposizione fra le due figure della “compravendita” e della “prestazione di servizi” è rilevante ai soli fini della individuazione della giurisdizione. E come tale qui rileva.

Ferma questa considerazione, che esime, dunque, dal prendere posizione sulla questione della riconducibilità del rapporto fra le parti alla figura della subfornitura e che rende irrilevanti le diffuse considerazioni svolte nel motivo in esame a quello scopo, si deve procedere alla verifica della giurisdizione procedendo alla sussunzione del rapporto fra le parti sotto i principi indicati dalla CGUE e, quindi, solo a quei fini chiarire se il rapporto contrattuale fra le parti sia “compravendita” o “prestazione di servizi”.

Tale sussunzione, giusta i principi in precedenza evocati sulla base dell’art. 386 c.p.c., deve riguardare innanzitutto il tenore della domanda, o meglio delle domande proposte dalla ricorrente, per come enunciato nella citazione introduttiva del giudizio e per come precisato nella memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

In secondo luogo, può riguardare – giusta i principi in precedenza richiamati a proposito dell’art. 386 c.p.c. – il tenore, a livello di allegazione, delle produzioni documentali e della capitolazione probatoria di cui alla memoria ai sensi.

In proposito, si deve rilevare che parte resistente nel suo controricorso non ha contestato le circostanze fattuali che parte ricorrente ha indicato come risultanti dalle risultanze documentali considerate nel motivo, ma – a pagina 12 del suo atto difensivo – ha sostenuto che esse e, quindi, i fatti rappresentati, sarebbero state irritualmente introdotti nel giudizio di merito di primo grado con atti successivi alla citazione introduttiva.

In particolare, ha sostenuto, riproducendone i rispettivi passi, che: al) solo nella memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, la Again avrebbe allegato che: “in realtà l’attrice ha dedotto espressamente l’esistenza tra le parti di un rapporto di subfornitura ai sensi della L. n. 192 del 1998, evidenziando come il rapporto abbia avuto corso continuativamente fin dal 2004, che la produzione di pantaloni da parte di Again avveniva in conformità a precise specifiche tecniche ed a modelli forniti dalla Mac Mode e che era quest’ultima a prescrivere addirittura alla Again da quali fornitori la Again S.r.l. doveva acquistare i tessuti da utilizzare nella produzione”; a2) mentre solo con la memoria autorizzata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, la stessa Again aveva dedotto “che i materiali utilizzati dalla Again nelle lavorazioni dei capi di abbigliamento commissionati dalla Mac Mode proveniva(no) di fatto dalla committente Mac Mode…” e che “di fatto, la Again si comportava come un reparto produttivo della Mac Mode, senza che quest’ultima dovesse sopportare gli oneri, nemmeno quelli per il pagamento dei materiali che la Mac Mode stessa ordinava ai fabbricanti”.

Le dette memorie risultano prodotte in questo giudizio di legittimità sia dalla ricorrente che dalla resistente e le riproduzioni effettuate risultano corrette.

Ciò premesso, l’eccezione di irritualità delle allegazioni effettuate con la prima memoria e delle produzioni effettuate unitamente alla seconda non è fondata sul piano del rito processuale, in quanto le deduzioni fattuali presenti nella prima memoria, sia se considerate per la sola parte riprodotta, sia se considerate nella sua complessiva attività espositiva (esaminabile, in quanto, come si è detto questa Corte ha acceso al fatto processuale), risultano dirette a precisare la domanda e, dunque, pienamente consentite dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1. A loro volta, quelle contenute nella seconda memoria, sia per la breve parte riprodotta (peraltro meramente assertiva), sia al di là di essa e quanto alle produzioni documentali che la accompagnarono, nonchè alla capitolazione probatoria (relativa ad interrogatorio formale e prova testimoniale), che pure vi è articolata, risultavano consentite dal n. 2 del comma 6 dell’art. 183.

Peraltro, se la dedotta irritualità si intende riferita ad una inutilizzabilità ai fini dell’esame da parte dei giudici di merito della questione di giurisdizione, le già svolte considerazioni sulla rilevanza della precisazione della domanda ai fini dello scrutinio della giurisdizione evidenziano che la prima memoria bene avrebbe dovuto e deve considerarsi rilevante a quello scopo, mentre l’utilizzazione della seconda, essendo stata essa il veicolo della introduzione nel processo di prove documentali ed orali ai fini della dimostrazione dei fatti costitutivi della domanda a sua volta non risultava vietata (sotto il profilo dell’utilizzo delle relative allegazioni per l’individuazione della giurisdizione) in quanto i fatti documentati e quelli oggetto dell’articolazione probatoria, attesa la loro funzione non si collocavano, proprio in ragione di essa (cioè della finalizzazione dei primi a dare dimostrazione di quanto allegato con la domanda principale attraverso la loro efficacia rappresentativa e di quella dei secondi a dare dimostrazione attraverso la prova orale), al di fuori di quanto allegato con la domanda siccome precisata con la memoria ai sensi del n. 1 dell’art. 183.

3.4.5. Fermo quanto appena precisato, ritiene, peraltro il Collegio Unite che già la prospettazione della citazione introduttiva evidenziava che la domanda, nella prospettazione sostanziale della ricorrente, risultava evocare un rapporto riconducibile alla nozione di “prestazione di servizio” per come ricostruita dalla CGUE.

Nella citazione si allegava, infatti, testualmente, dopo aver enunciato che l’attrice era “una società specializzata nella produzione di capi di abbigliamento” e che la Mac Mode “commercializzava su vasta scala modelli di pantaloni di propria creazione e con proprio marchio”, che “a partire dal 2004” quest’ultima aveva “iniziato a commissionare alla Again la produzione di pantaloni destinati ad essere commercializzati, con marchio Mac Mode, nell’ambito dell’attività economica della Mac Mode” e che “la produzione dei pantaloni da parte della Again avveniva in conformità a precise specifiche tecniche ed a modelli forniti dalla Mac Mode”, come emergeva da “esempi degli ordini di lavorazione che venivano regolarmente trasmessi dalla Mac Mode alla Again”. Si allegava, ancora, che la Mac Mode indicava altresì alla Again i fornitori dai quali acquistare l’materiali da utilizzare nella produzione” e che: “la Again provvedeva presso il proprio stabilimento ad effettuare test su ogni singolo rotolo di tessuto; ad eseguire studi di adattamento dei modelli forniti dalla Mac Mode, della loro vestibilità e del comportamento dei tessuti dopo il lavaggio; a stampare le etichette da applicare ai capi prodotti, secondo specifiche date dalla Mac Mode; la produzione in serie dei capi veniva quindi eseguita tramite soggetti terzi e da ultimo dalla società romena SC Again and Again s.r.l., appositamente costituta ed interamente controllata dalla Again”. Si allegava ancora che negli ultimi quattro anni del rapporto commerciale fra le parti il fatturato della Again dipendente dagli ordini della Mac Mode rappresentava oltre il 50% del fatturato annuo medio della Again.

A tali allegazioni la citazione, nella parte in diritto, faceva seguire la deduzione che il rapporto sarebbe stato regolato dalla lege italiana a norma dell’art. 4, comma 1, lett. b) del reg. CE 593/2008 e qualificato come rapporto di subfornitura ai sensi della L. n. 192 del 1998, art. 1, comma 1, essendo la Again “impegnata a produrre continuativamente per la società Mac Mode prodotti destinati ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica di quest’ultima in conformità a specifiche tecniche, modelli e prototipi forniti dalla stessa società Mac Mode”.

L’attività di allegazione in ordine alle modalità di svolgimento del rapporto fra le parti e, dunque, l’enunciazione della causa petendi, ove parametrata ai principi in tema di esegesi del Reg. n. 44 del 2001 indicati dalla CGUE quale normativa regolatrice della giurisdizione, evidenziava quanto segue:

a) l’attività di produzione dei pantaloni, di per sè considerata, non ostava di per sè alla configurazione del rapporto come compravendita, giusta il primo dei principi indicati dalla CGUE;

b) la circostanza che la produzione dei pantaloni avvenisse “in conformità a precise specifiche tecniche ed a modelli forniti dalla Mac Mode”, palesava, invece, la deduzione di una causa petendi in cui, secondo il terzo principio ermeneutico indicato dalla CGUE, la Again, ipoteticamente “venditore”, rispondeva “soltanto della correttezza dell’esecuzione secondo le istruzioni dell’acquirente” e non era “responsabile della qualità e della conformità al contratto dei beni da essa prodotti”: l’operare “in conformità a precise specifiche tecniche ed a modelli forniti da Mac Mode” era un’allegazione idonea a dimostrare un modus operandi che imponeva di correttamente eseguire le istruzioni di Mac Mode, con la conseguenza che emergeva una circostanza idonea invece in positivo a giustificare la qualificazione del rapporto contrattuale come “prestazione di servizi”;

c) l’allegazione che la Mac Mode indicava i fornitori dai quali acquistare i materiali da utilizzare si concretava nella deduzione di un fatto di non sicura collocabilità tra i principi indicati dalla CGUE, atteso che, se la circostanza dell’acquisito da parte della Again dei materiali risultava idonea ad evidenziare che i materiali non erano forniti materialmente dalla Mac Mode, quella della previa indicazione dei fornitori da parte della Mac Mode si prestava ad essere letta come significativa se non di una sorta di “fornitura” indiretta, quantomeno di una sorta di vincolo a carico della Again.

La circostanza sub b), attesa la segnalata rilevanza in termini di automaticità in punto di qualificazione (e non di potenzialità) del terzo principio indicato dalla CGUE, risultava sufficiente a far giustificare la qualificazione del rapporto come “prestazione di servizi”.

Quella sub a), corrispondente al primo principio enunciato dalla CGUE, considerato il già segnalato valore di regola generale emendabile dalla ricorrenza delle situazioni considerate nel secondo e nel terzo principio, risultava priva di valore a quei fini, in quanto su di essa faceva aggio quella sub b).

Quella sub c), a sua volta, sempre per la decisività di quella sub b) alla luce del terzo principio, al di là dell’ambiguità dell’affermazione circa l’acquisito da parte di fornitori indicati dalla Mac Mode, risultava anch’essa non decisiva pure qualora si fosse inteso dare rilevanza solo alla mera circostanza dell’acquisito della merce da parte di Again.

Si deve aggiungere, altresì, che le attività di esecuzione di test, studi di adattamento dei modelli, etc., sempre considerate in thesi, cioè come fatti posti a fondamento della domanda, una volta considerata la decisività della circostanza sub b), si presentavano come espletamento di specifici servizi giusta la loro natura oggettiva non di prestazioni dirette immediatamente alla produzione, ma distinte rispetto ad essa.

3.4.6. Passando alla considerazione della memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, in essa parte attrice e qui ricorrente ebbe a precisare, a specificazione di quanto allegato in ordine alla indicazione dei fornitori, “che la Mac Mode trattava direttamente con i fornitori dei tessuti per stabilire i quantitativi che dovevano essere riservati alla produzione curata dalla Again ed i programmi di consegna, il che poneva la Again s.r.l. in posizione non dissimile, nella sostanza, da quella di chi esegua lavorazioni su materiale fornito dal committente”. Tale circostanza veniva indicata come idonea a sottrarre il rapporto all’ambito della semplice compravendita anche alla stregua dell’art. 3 della Convenzione di Roma del 1980. Parte attrice inoltre deduceva che le attività di effettuazione dei test, etc., effettuate presso il proprio stabilimento, rappresentavano “la parte preponderante delle obbligazioni contrattuali della Again s.r.l., di gran lunga prevalente, anche in termini di incidenza sul prezzo, rispetto non solo al costo dei materiali ma anche rispetto all’attività della produzione in senso stretto”. Insisteva, inoltre, sul fatto che non si fosse trattato di un mero rapporto di compravendita di merci e nemmeno di singole operazioni di compravendita, ma di subfornitura. Con riguardo all’eccezione di inosservanza della forma scritta per essa prescritta, adduceva che essa si desumeva dagli ordinativi e dalle comunicazioni trasmesse dalla Mac Mode alla Again.

3.4.7. La memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 2, per quanto interessa, articolava prova per testi ed interrogatorio formale alle pagine 7-8 quanto alle modalità di svolgimento del rapporto in punto di approvvigionamento dei materiali dirette ad evidenziare che i materiali utilizzati nelle lavorazioni dei capi di abbigliamento provenivano “di fatto” dalla Mac Mode e, quindi, a specificare l’allegazione della citazione in ordine alla “indicazione dei fornitori”, e, alle pagine 11-12, sebbene in funzione della ricorrenza della forma scritta ai fini della invocata qualificazione ex L. n. 192 del 1998, quanto alla deduzione in ordine alla indicazione specifica da parte della Mac Mode dei requisiti delle prestazioni richieste, del prezzo pattuito e dei termini di consegna.

3.4.8. Ebbene, le allegazioni dedotte nella memoria ex n. 1 dell’art. 183 evidenziavano precisazioni intese a prospettare una spiegazione dell’allegazione della citazione circa l’acquisizione dei materiali nel senso di evidenziare una posizione di sostanziale dipendenza di quella acquisizione da comportamenti della Mac Mode non concretantesi solo nella mera indicazione dei fornitori, bensì in una diretta attività di interlocuzione con i produttori del materiale. Le modalità di tale attività venivano ulteriormente specificate con le deduzioni probatorie articolate nella memoria ex n. 2 dell’art. 183.

Ne derivava che, con riferimento al secondo principio indicato dalla CGUE, emergeva – sempre al livello di allegazione individuatrice dei fatti costitutivi della domanda – una situazione in cui, tenuto conto che la CGUE ha, come s’è detto, indicato la ricorrenza o meno della fornitura dei materiali in termini di rilevanza potenziale per l’una piuttosto che per l’altra qualificazione del rapporto, l’essersi in presenza di un’attività allegata non già come di mera indicazione dei fornitori ma di diretta interlocuzione, congiunta con le ulteriori precisazioni (emergenti dall’articolato probatorio) circa il mero riversamento dei prezzi di acquisito, giustificava la conclusione postulata dalla ricorrente che si fosse in presenza di una “sostanziale fornitura” da parte della Mac Mode.

4. I giudici di merito non hanno apprezzato correttamente le allegazioni individuatrici dei fatti costitutivi della domanda nè per come indicati dalla domanda introduttiva, nè per come precisati successivamente nelle memorie.

Il tribunale si limitò a dare rilievo alla circostanza che la Again si approvvigionasse presso terzi fornitori divenendo proprietaria dei materiali (che ha indicato essenzialmente nella stoffa), senza svolgere alcuna considerazione sulle particolarità appena indicate e senza nemmeno considerare il valore relativo assegnato dalla CGUE al secondo principio relativo alla fornitura dei materiali. Inoltre, pur dando atto che la merce era prodotta “su indicazione ed in base a modelli forniti dall’acquirente”, il tribunale omise completamene di interrogarsi sulla rilevanza di tale circostanza ai fini del terzo e decisivo principio indicato dalla CGUE.

A sua volta la corte territoriale, dopo aver osservato che era condivisibile la motivazione del primo giudice, nel valutare la circostanza della fornitura dei materiali si è addirittura adagiata sull’espressa considerazione della sola allegazione della citazione, omettendo di valutare il contenuto delle memorie della ricorrente. Anch’essa ha del tutto ignorato il modus operandi circa la produzione in conformità a precise specifiche tecniche ed a modelli forniti dalla Mac Mode.

5. Le complessive considerazioni svolte al lume dei principi della sentenza comunitaria evidenziano invece che, se i giudici di merito avessero considerato secondo il criterio indicato dell’art. 386 c.p.c., i fatti costituivi per come enunciati nella domanda introduttiva ed a maggior ragione la loro precisazione nelle memorie, avrebbero dovuto ritenere esistente la giurisdizione italiana in applicazione dell’art. 5, comma 1, lett. b), secondo trattino, cioè considerarsi investiti di domanda riconducibili a “prestazioni di servizi”.

I giudici di merito hanno giudicato in applicazione della norma del regolamento comunitario violando il terzo e decisivo principio indicato dalla CGUE e, lo si rileva in aggiunta peraltro non decisiva, omettendo di procedere alla valutazione del secondo principio con riferimento all’espletamento da parte della Mac Mode di un’attività non limitata alla mera indicazione dei fornitori, ma sostanziantesi in una diretta interlocuzione con essi.

Tanto giustifica la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione al primo giudice della controversia, con assorbimento degli altri motivi.

Il primo giudice, ferma la necessità di considerare il rapporto inter partes agli effetti della individuazione della giurisdizione come “prestazione di servizi” sulla base dei fatti costitutivi allegati a fondamento della domanda e della sua precisazione, conserverà naturalmente, se del caso dando sfogo all’istruzione, ai fini del giudizio sul merito, il potere di procedere all’accertamento delle effettive modalità di svolgimento del rapporto con ogni conseguenza ai fini della sua qualificazione, ivi compresa quella instata in termini di subfornitura, atteso che essa non rivestiva e non ha rivestito rilevanza ai fini della soluzione della questione di giurisdizione ed avuto riguardo al già ricordato precetto dell’art. 386 circa il carattere non pregiudizievole della presente decisione sulla giurisdizione rispetto al merito, cioè alla “questione sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”.

Al giudice della rimessione è rimesso di regolare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice italiano. Dichiara assorbiti gli altri motivi. Rimette le parti davanti al Tribunale di Treviso, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio rispetto a quello che pronunciò la sentenza di primo grado, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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