Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15598 del 09/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15598 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 22057-2007 proposto da:
MASSIMO

LIDIA

(c.f.

MSSLDI35L71H501N),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DELL’ASTRONOMIA 5, presso l’avvocato PERENO CARLO,

Data pubblicazione: 09/07/2014

rappresentata e difesa dall’avvocato ZAZA D’AULISIO
ALFREDO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2014

contro

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MINISTERO DELL’ ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA
DEL DEMANIO;

1

- intimati –

sul ricorso 22677-2007 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona
del Ministro pro tempore, AGENZIA DEL DEMANIO, in
persona del Direttore pro tempore, domiciliati in

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende
ope legis;
– controri correnti e ricorrenti incidentali contro

MASSIMO

LIDIA

(c.f.

MSSLDI35L71H501N),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DELL’ASTRONOMIA 5, presso l’avvocato PERENO CARLO,
rappresentata e difesa dall’avvocato ZAZA D’AULISIO
ALFREDO, giusta procura a margine del controricorso
al ricorso incidentale;
– controricorrente al ricorrente incidentale

avverso la sentenza n. 2798/2006 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/06/2006;

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 15/04/2014 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ZAZA D’AUSILIO
ALFREDO che si riporta (e deposita cartoline di
avvenuta notifica del ricorso);

2

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per

il rigetto del ricorso principale e incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12 giugno 2006 la Corte di appello di
Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa
città in data -~ 9 agosto 2002, rigettava la domanda con
cui Lidia Massimo, convenendo in giudizio il Ministero

dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del Demanio,
aveva chiesto di accertare che il giardino recintato del
suo fabbricato in San Felice Circeo (distinto in Catasto al
fg. 30 mappali 1043/1 e 1049) non ricadeva in area del
demanio marittimo e che essa, pertanto, non doveva alcuna
indennità a titolo di abusiva occupazione; con la stessa
sentenza la Corte di appello, accogliendo in parte la
domanda riconvenzionale del Ministero, condannava
l’attrice, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento
della somma di C 7.000,00=, oltre interessi legali dalla
data della sentenza al saldo, per il periodo di abusiva
occupazione dal 22 giugno 1985 al 31 dicembre 1991, mentre
dichiarava prescritto il diritto al risarcimento dei danni
per il periodo anteriore. In particolare, la Corte di
appello osservava che: 1) ai sensi degli artt. 822 c.c. e
28 cod. nav., la natura demaniale di un’area posta a
ridosso del mare è determinata esclusivamente dalla
morfologia della costa senza necessità, in caso di fenomeni
di erosione, del procedimento di natura meramente
ricognitiva previsto dall’art. 32 cod. nav.; 2) nella
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specie la natura demaniale di un’area di circa 140-150 mq in parte (mq 124,20) inglobata dal giardino ed in parte
occupata dalla scogliera artificiale posta privatamente a
protezione della costa – era risultata dalle foto scattate
dal c.t.u. che dimostravano ( come/ in occasione delle

mareggiate, il mare risaliva lungo il muro del giardino
dell’attrice; 3) l’area in questione era, inoltre,
intestata catastalmente al Demanio e non era compresa
nell’atto di acquisto della Massimo; 4) l’occupazione senza
titolo costituiva illecito permanente che dava luogo ad un
diritto al risarcimento dei danni mano a mano maturati, per
i quali, tuttavia, la prima richiesta di pagamento risaliva
al 22 giugno 1990 e, d’altro canto, le richieste di
risarcimento dei danni, ivi compresa la domanda
riconvenzionale, si fermavano tutte al 1991; 5) il danno
doveva essere liquidato in via equitativa tenendo conto
dell’estensione dell’occupazione, dello stato del litorale,
dell’uso modesto che dell’area poteva essere fatto dallo
Stato e dai cittadini (ancora più modesto in assenza della
scogliera artificiale) e dell’esiguità dei canoni di
concessione richiesti dall’Amministrazione negli anni 80.
Lidia Massimo propone ricorso per cassazione, deducendo
due motivi. Il Ministero dell’economia e delle finanze e
l’Agenzia del Demanio resistono con controricorso e
T

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propongono ricorso incidentale, affidato a tre motivi, al
quale Lidia Massimo resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti, come dispone l’art. 335
c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione
degli artt. 823 e 2697 c.c. e dell’art. 28 cod. nav. nonchè
il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la
sentenza impugnata aveva ritenuto la demanialità dell’area
in assenza dell’allegazione e della prova, da parte
dell’Amministrazione convenuta, dell’idoneità dell’area ad
un uso pubblico.
Il motivo è infondato. Ai sensi degli artt. 28 cod. nav.
e 822 c.c. il lido del mare e la spiaggia fanno parte del
demanio marittimo; in particolare, poiché per lido del mare
si intende quella porzione di riva che si trova a contatto
diretto con le acque del mare e che da esso viene coperta
in occasione delle mareggiate ordinarie, è evidente
l’impossibilità di ogni altro uso che non sia quello
marittimo. Lo stesso deve dirsi per quella parte di
spiaggia costituita da quei tratti di terra prossimi al
mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie;
diverso ragionamento può farsi soltanto per la parte di
spiaggia costituita dall’arenile, e cioè, per quel tratto
di terraferma che risulta relitto dal normale ritirarsi
6

delle acque e che può, comunque, restare idoneo, anche solo
potenzialmente, agli usi pubblici del mare (Cass. 30 luglio
2009, n. 17737; Cass. 5 novembre 1981, n. 5817). Nella
specie, pertanto, discutendosi del lido del mare e della
parte di spiaggia soggetta alle mareggiate straordinarie,

la demanialità è indipendente dal concreto accertamento
della funzione pubblica svolta.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione
dell’art. 2697 c.c., lamentando la quantificazione in via
equitativa del danno malgrado dello stesso
l’Amministrazione non avesse fornito alcuna prova.
Il motivo è infondato. La prova del danno è, infatti,
insita nell’esclusione dell’uso pubblico attuata con la
recinzione. La sentenza impugnata ha, d’altro canto, come
riferito in narrativa, precisato i criteri sulla cui base
ha provveduto alla liquidazione equitativa del danno.
Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero
dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del Demanio
deducono la violazione degli artt. 2041, 2943, 2944 e 2946
c.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che
erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto applicabile
la prescrizione quinquennale in tema di risarcimento del
danno, considerato che nella specie si verteva in
un’ipotesi di arricchimento senza causa conseguito
all’arretramento della costa ed alla prosecuzione
7

dell’occupazione, in buona fede e senza colpa, da parte
dell’originario proprietario.
Il motivo è inammissibile per novità della domanda.
Risulta, infatti, dallo stesso ricorso incidentale che la
domanda riconvenzionale dell’Amministrazione era stata

proposta per l’abusiva occupazione di un’area demaniale.
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali,
deducendo che la domanda riconvenzionale era stata proposta
con la comparsa depositata il 31 maggio 1993, e non nel
1991 come affermato dalla sentenza impugnata, lamentano il
mancato riconoscimento dell’effetto sospensivo (oltre che
interruttivo) della domanda giudiziale, con la conseguenza
che, ai sensi degli artt. 2943 e 2945 c.c., non era
maturata alcuna prescrizione per le indennità maturate dopo
il 31 dicembre 1991 e sino alla data del ricorso in
cassazione.
Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio
decidendi.

La Corte di appello ha individuato il danno

richiesto in quello verificatosi sino a tutto il 1991 ed ha
ritenuto maturata la prescrizione per il danno anteriore al
22 giugno 1985; la Corte di appello, invece, non ha preso
in considerazione,

e quindi neppure ha dichiarato

prescritto, il danno maturato dopo il 31 dicembre 1991, in
quanto non richiesto dall’Amministrazione.

In tale

situazione quest’ultima, ove avesse ritenuto di avere

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chiesto il risarcimento dei danni anche per il periodo
successivo alla predetta data, avrebbe dovuto dedurre la
violazione dell’art. 112 c.p.c. e non certo la violazione
delle norme in tema di prescrizione.

vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello
aveva travisato gli atti di lite laddove aveva ritento che
la domanda riconvenzionale fosse stata proposta nel 1991 e
non nel 1993, come in effetti era avvenuto.
Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni indicate
nell’esame del secondo motivo. Dalla sentenza impugnata
risulta che l’atto introduttivo del giudizio era stato
notificato il 18 marzo 2003, con la conseguenza che la
comparsa di risposta con la domanda riconvenzionale era
necessariamente successiva. La data della domanda
riconvenzionale è, tuttavia, irrilevante al fine di
individuare il periodo in relazione al quale era stato
chiesto il risarcimento dei danni.
Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la
compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P . Q . M .
riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 aprile
2014.

Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali deducono il

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