Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15597 del 15/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 15/07/2011), n.15597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.D., quale erede dei sig. S.C. e F.

A., S.G., in proprio e quale erede dei sig.

S.C. e F.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA BARBERINI 52, presso lo studio dell’avvocato ROMEO

FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CAMPIANI MARCO LUCIO, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.M., R.G., R.F., R.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BERGAMO 3, presso lo studio

dell’avvocato GIANNINI PATRIZIA, che li rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4925/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

6/10/09, depositata il 15/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Giannini Patrizia difensore dei controricorrenti che

si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE che conferma

la relazione scritte.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il Consigliere dott. G.A. Bursese ha depositato la relazione ex art. 380 bis c.p.c., che qui testualmente si trascrive:

“1) A., G. e R.F. nonchè M. F. convenivano avanti al Tribunale di Roma, S.C., F.A. e S.G. chiedendo che fosse riconosciuta la servitù di passaggio in favore delle particelle di loro proprietà n. 759 e 255, a carico della particella 757, di cui erano proprietari i convenuti.

“Tale servitù era stata costituita con l’atto in data 8.2.94 con il quale F.G. vendeva agli attori (ad alcuni la nuda proprietà, ed ad altri l’usufrutto) la particella 759, facendo altresì menzione della servitù di passo, pedonale e carrabile in favore della stessa particella 759 ed a carico della particella n. 757 (lungo il confine con le particelle 758 e 759). Secondo i ricorrenti la stessa clausola era stata riportata anche nell’atto di compravendita del 18.3.94 con il quale lo stesso F.G. “trasferito ai convenuti (nuda proprietà e usufrutto) il terreno di cui alla particella 757, precisando che esisteva a carico di tale particella la servitù di passaggio sopra menzionata.

“I convenuti si costituivano chiedendo il rigetto della domanda in quanto all’epoca della vendita della particella (con l’atto del 8.3.94) F.G. non era più proprietario della particella 759, che aveva in precedenza venduto proprio ad essi attori, per cui non si poteva identificare tale fondo all’interno dell’espressione ” residua proprietà del venditore” contenuta nell’atto in parola.

“Il tribunale di Roma, con sentenza n. 707/02 rigettava la domanda attrice e, accogliendo la tesi dei convenuti, riteneva di escludere l’esistenza della servitù de qua atteso che la stessa sarebbe servita “per l’accesso alla limitrofa particella 255 ed alla restante proprietà del venditore” e che alla data del 18.3.94 la particella 759 non era più di proprietà del venditore.

La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del tribunale, riconosceva l’esistenza a favore degli appellanti della servitù pedonale e carrabile sulla particella 759. La Corte capitolina riteneva infatti che i due contratti dovevano essere unitariamente valutati essendo stati stipulati ” all’interno di un ‘unica manifestazione di volontà negoziale”; in specie la clausola contrattuale contenuta nel contratto 8.3.94 era “speculare” ovvero sovrapponibile a quella di cui al primo contratto del vendita del 8.2.94, descrivendo esattamente la medesima servitù di passo, la stessa larghezza, ubicata nella medesima posizione che confina con le stesse particene.

“2) Avverso tale sentenza gli odierni esponenti proponevano ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo; gli intimati resistono con controricorso. Con la predetta censura l’esponente deduce violazione di legge (artt. 1362, 1363 e 1369 c.c.) e il vizio di motivazione. Censurano la sentenza laddove il giudice ha ritenuto- senza però adeguatamente motivarlo – che le due clausole relative alla servitù in questione contenuti nei menzionati atti del 14.2.94 e del 18.3.94, fossero “sovrapponigli”, mentre in realtà si trattava di clausole assai diverse (“una parlava al singolare (riferendosi alla particella 758) e l’altra al plurale (riferendosi alle particelle 758 e 757”); alla data del 18.3.94 in realtà G. F. aveva oltre la particella 255 la sola particella 758.

“Ciò premesso rileva l’Ufficio che con le suddette censure i ricorrenti denunziano un errore di diritto e un vizio di ragionamento nell’interpretazione di due contratti da parte del giudice di merito;

in tal caso – come ribadito dalla S.C. – la parte non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e segg.

c.c., ma deve specificare i canoni in concreto violati nonchè il punto ed il modo in cui il giudice si sia da essi discostato, atteso che, diversamente, la critica della ricostruzione della volontà contrattuale operata dal giudice e la proposta di una diversa interpretazione investono il merito delle valutazioni del giudice stesso e sono perciò inammissibili in sede di legittimità (Cass. n. 4009 del 20/03/2001). Ciò premesso, nella fattispecie l’interpretazione del negozio fornita dalla Corte di merito sembra conforme ai canoni esegetici di cui alle norme soprarichiamate, ed è inoltre sorretta da motivazione congrua, puntuale e priva di vizi, senz’altro condivisibile”.

“3) Si ritiene pertanto di avviare la causa a decisione in camera di consiglio per valutare l’infondatezza del ricorso”.

Il COLLEGIO tanto premesso;

OSSERVA:

la relazione sopra riportata non è stata oggetto di contestazioni o rilevi; ad essa hanno aderito i controricorrenti ed il P.G.; le conclusioni in essa contenute sono corrette e condivisibili; si ritiene pertanto di rigettare il ricorso, ponendo le spese processuali a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2011

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