Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15596 del 22/07/2020
Cassazione civile sez. trib., 22/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 22/07/2020), n.15596
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanna Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3674/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con
domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC
ags.rmmailcert.avvocaturastato.it);
– ricorrente –
contro
B.A.;
– resistente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia n. 57/05/12 depositata il 12/06/2012, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del
30/1/2020 dal consigliere Dott. Succio Roberto;
Fatto
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure accoglieva l’appello del contribuente e conseguentemente annullava l’atto impugnato, diniego di autotutela avente per oggetto l’istanza di annullamento per detta via di avvisi di accertamento per IRPEF, IVA ed IRAP per i periodi d’imposta dal 1999 al 2002, divenuti definitivi per mancata impugnazione nei termini;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’avvocatura dello Stato per conto dell’Agenzia delle Entrate affidato a un solo motivo; il contribuente è rimasto intimato avendo unicamente depositato procura speciale al proprio procuratore per la partecipazione all’udienza pubblica; peraltro lo stesso deposita memoria in vista dell’adunanza camerale.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione Finanziaria censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, del D.P.R. n. 287 del 1992, della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies, del D.L. n. 5634 del 1994, art. 2-quater e del D.M. n. 37 del 1997, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 per avere la CTR erroneamente, in sintesi, annullato il diniego di autotutela emesso dall’Ufficio, poichè trattasi di atto non impugnabile a fronte di avvisi di accertamento e conseguente cartella pure non contestata nei termini neppure sussistendo ragioni di rilevante interesse generale atte a legittimare detta revoca degli atti oramai definitivi per difetto di impugnazione;
– il motivo è fondato;
– come questa Corte ha ancora recentemente confermato (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 24032 del 26/09/2019) nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente;
– e ancora, si è precisato che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018) il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo;
– in definitiva quindi, il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa in quanto non fatta valere in sede di impugnazione dell’atto di accertamento, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto sotto questo aspetto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. La CTR meneghina pertanto, premesse ampie considerazioni in tema di giurisdizione tributaria, ha commesso errore di diritto nel ritenere – come ha operato nell’esporre la propria ratio decidendi genericamente consentita la revoca di atti definitivi (pag. 5 primo capoverso della sentenza gravata);
– conclusivamente, il ricorso va accolto;
– non sussistendo necessità di accertamenti in fatto, la controversia può decidersi nel merito con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente;
– non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente, liquida le spese del presente giudizio in Euro 7.800,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.
Depositato in cancelleria il 22 luglio 2020