Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15595 del 22/06/2017

Cassazione civile, sez. VI, 22/06/2017, (ud. 10/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20189-2015 proposto da:

IREN GESTIONI ENERGETICHE S.P.A., – C.F. (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo

studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante in proprio e quale

procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A. – C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede

dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, LELIO MARITATO ed EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 73/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 19/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione proposta da Cae Amga Energia s.p.a. (poi Iren Gestioni Energetiche s.p.a.) avverso l’avviso di addebito con il quale l’Inps le aveva intimato il versamento di contribuzione cigo, cigs e mobilità, e relative sanzioni civili, per il periodo luglio – novembre 2012, nonchè per debiti conseguenti alla negazione del diritto allo sgravio contributivo per l’incentivazione alla contrattazione di secondo livello per gli anni 2010 e 2011.

2. Per la cassazione della sentenza Iren Gestioni Energetiche s.p.a. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria ex art. 380 bis c.p.c., cui ha resistito con controricorso l’Inps – SCCI S.p.A.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. e lamenta che la sentenza impugnata abbia disatteso l’eccezione di giudicato fondata sulla sentenza n. 8859 del 2007 del Tribunale di Genova, intervenuta tra le stesse parti, e con le quali si è affermato non essere dovuti dall’appellata i contributi cigo, cigs e mobilità in relazione al periodo luglio 2001 – maggio 2005.

1.1. Il motivo non è fondato, alla luce di Cass. 20/04/2016 n. 7981, che ha affermato, in fattispecie analoga a quella in esame, che in tema di obbligazioni contributive, la diversità dei periodi di debenza, basta a far configurare quali diversi i rapporti contributivi ad essi afferenti, sicchè il giudice non può stabilire, con efficacia di giudicato, che le norme sottoposte al suo esame debbano essere interpretate nel senso che anche per il futuro l’obbligo contributivo si atteggi in un determinato modo, in quanto per questa parte giudicherebbe di un rapporto del quale non si sono ancora realizzati tutti i presupposti. Nè risulta, nel caso, l’identità dei presupposti fattuali da cui trae origine la pretesa contributiva, in particolare con riferimento alla compagine proprietaria, ed anzi riferendosi in ricorso a p. 9 che la proprietà del capitale sociale nel tempo è mutata.

2. Con il secondo motivo, deducendo plurime violazioni di norme di diritto nonchè vizio di motivazione, la società ricorrente ha censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per cigs e cigo. Ricostruita l’evoluzione normativa in tema di modalità di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in base al disposto della L. n. 448 del 2001, art. 35 detti enti, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, ha sostenuto che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che essa ricorrente dovesse essere annoverata nell’ambito delle imprese industriali degli enti pubblici, anche municipalizzate, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria. Ha quindi dedotto il vizio di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche della società che, in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della “assoluta dominanza” dell’ente pubblico, dell’assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo della Corte dei Conti, non si presta ad essere inquadrate, come invece ha fatto la decisione impugnata, nell’ambito delle normali società per azioni di diritto comune.

3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, nonchè vizio di motivazione, la società ricorrente ha censurato la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al pagamento del contributo per mobilità. Ha richiamato le argomentazioni svolte a sostegno del primo motivo, per sostenere che essa ricorrente non rientrava nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento di integrazione salariale di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 14 ed era pertanto sottratta anche alla contribuzione per mobilità.

3.1. I due motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

La questione qui riproposta è stata esaminata da plurime pronunce di questa Corte (v. da ultimo Cass. 22/3/2017 n. 7332 e Cass. 12/05/2016 n. 9816, riferita alla stessa società oggi ricorrente, ed i numerosi precedenti conformi ivi richiamati) in cui si è ritenuto, con soluzione cui occorre dare continuità, che le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità. L’applicabilità dell’ esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici dal D.L.C.P.S. n. 869 del 1947) art. 3, è stata, infatti, esclusa sul rilievo della natura essenzialmente privata delle società partecipate, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la meni partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio alle dipendenze di soggetto di diritto privato.

3.2. Questa Corte nella sentenza 04/04/2017 n. 8704 ha già risolto anche la questione sollevata dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis c.p.c,., chiarendo che la soluzione non risulta inficiata dall’entrata in vigore del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali.

Rileva la ricorrente che, nel disciplinare il campo di applicazione della disciplina dell’integrazioni salariali ordinarie e dei relativi contributi, il decreto legislativo dispone che essa si applichi anche alle “imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica” (art. 10, comma 1, lett. I). Nel contempo, l’art. 46 D.Lgs. citato, contempla tra le abrogazioni espresse il D.Lgs.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869 (comma 1, lett. b) e dispone altresì l’abrogazione di ogni altra disposizione contraria o incompatibile con il decreto. Assume la ricorrente che la norma dell’art. 10 avrebbe, in base ad una scelta discrezionale del legislatore, disposto solo per l’avvenire, nel senso che solo a far tempo dalla sua entrata in vigore (24 settembre 2015) potrebbe dirsi sorto l’obbligo contributivo per la cassa integrazione ordinaria per le imprese industriali degli enti pubblici il cui capitale non sia interamente di proprietà pubblica. In precedenza la formulazione ampia e generica dell’art. 3 (“imprese industriali degli enti pubblici”) non consentiva una tale interpretazione. Ulteriore conferma di tale interpretazione si trarrebbe dalla L. 29 dicembre 2015, n. 208, con la quale il legislatore, intervenendo proprio sull’art. 46, ha previsto che l’abrogazione (già disposta alla lett. b) non opera con riguardo al D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3 con ciò confermando di aver voluto “sia escludere che il D.Lgs. n. 148 del 2015costituisca un quid novi et ex nunc rispetto all’antecedente art. 3 n. 869-1947, sia che le, dette normative debbano reciprocamente integrarsi”.

Nell’arresto richiamato questa Corte ha però già confutato tali assunti, osservando che dagli interventi legislativi del 2015 non possono trarsi elementi che inducano ad un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico.

Dirimente in proposito è il rilievo che, in ogni caso, abbia o meno natura innovativa il disposto del D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 10 asserzione quest’ultima già confutata da precedenti decisioni di questa Corte, v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre l’intervento successivo operato dal legislatore con la legge di stabilità del 2015 abbia comunque ripristinato il D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3 espressamente escluso dalla disposizione abrogatrice contenuta nell’art. 46.

4. Con il quarto motivo del ricorso la società deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1175 e censura la statuizione di rigetto della domanda di accertamento del diritto al credito derivante dalla rideterminazione dello sgravio contributivo sulle erogazioni previste dai contratti collettivi di secondo livello riferito all’anno 2009.

4.1. Come rilevato in fattispecie sovrapponibile da Cass. 12/05/2016 n. 9816, il motivo non è fondato. Il giudice d’ appello ha escluso, pur in presenza di autorizzazione dell’INPS, il diritto alla ulteriore percentuale di sgravio preteso dalla società per la mancanza del relativo presupposto rappresentato dalla situazione di regolarità contributiva. Tale rigetto, determinando il passaggio in giudicato della statuizione di accertamento dell’ obbligo contributivo a carico della società, attesta, infatti, in modo definitivo che la stessa versava nella situazione di irregolarità contributiva ostativa, ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1175 al riconoscimento del diritto allo sgravio preteso. Le censure svolte con i motivi in esame in quanto espressamente ancorate al presupposto del carattere non definitivo dell’ irregolarità contributiva risultano quindi superate dal rigetto dei primi due motivi.

5. Con il quinto motivo la società ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1227 e 1375 c.c., della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1 nonchè della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 10, 13 e 15.

La società in via subordinata deduce che, atteso il contrasto interpretativo in giurisprudenza ed in sede amministrativa, verificatosi nella materia, sussistevano i presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta ai sensi dell’art. 116 cit., commi 10 e 15.

5.1. Il motivo non è fondato.

Il decisum della Corte d’appello, che ha escluso l’applicabilità delle sanzioni in misura ridotta sul rilievo che a tal fine la previsione in esame richiedeva l’integrale pagamento dei contributi dovuti, è coerente con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 01/03/2016 n. 4077, 10/12/2013 n. 27513) secondo la quale la riduzione, come si ricava dal tenore letterale delle disposizioni, presuppone l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, nel termine fissato dagli enti impositori.

Non smentisce la ratio decidendi della Corte d’appello la deduzione (pg. 20 del ricorso) secondo la quale la società avrebbe provveduto al pagamento richiesto con l’avviso di addebito opposto, che si assume dichiarata all’udienza davanti al Tribunale, non risultando puntualmente prospettati al giudice di merito i relativi dati fattuali, idonei a dimostrare che si sia verificato l’integrale pagamento nel termine fissato dagli enti impositori.

8. Il ricorso, manifestamente infondato ex art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, deve quindi essere rigettato con ordinanza in camera di consiglio, così confermandosi la proposta formulata dal relatore ex art. 380 bis c.p.c..

9. La regolamentazione delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

10. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre ad 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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