Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15591 del 14/06/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15591 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 12067-2017 proposto da:
CURATELA FALLIMENTARE IMCAV SAS DI ENZO SCAMBIA & C,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 2,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GRILLO,
rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA DANIELA GRILLO
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente nonché contro
SIGNORIELLO RAFFAELE;
– intimato avverso la sentenza n. 181/2017 della CORTE D’APPELLO di
REGGIO CALABRIA, depositata il 20/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 10/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Data pubblicazione: 14/06/2018

Signoriello Raffaele conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Reggio Calabria la curatela del fallimento della
IMCAV S.a.s., affinché fosse accertato e dichiarato il suo diritto
di proprietà sull’unità immobiliare meglio specificata in
citazione, accertando altresì che il fallimento non vantava alcun

In tal senso deduceva che il bene era stato oggetto di un
preliminare di compravendita con la società ancora in bonis, e
che pur avendo versato parte del prezzo la promittente
venditrice non era addivenuta alla stipula del definitivo,
costringendo l’attore a promuovere un giudizio ex art. 2932
c.c., la cui domanda era stata trascritta in data 10 aprile 1997.
Rilevava altresì che il bene era stato anche oggetto di
pignoramento da parte della creditrice della società, la BNL
S.p.A., con atto trascritto in data 15 maggio 1997.
Il Tribunale di Reggio Calabria, all’esito del giudizio di
esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, aveva
emesso la sentenza n. 772 del 2001, passata altresì in cosa
giudicata, che aveva disposto il trasferimento della proprietà
del bene all’attore, subordinando l’effetto traslativo al
versamento del residuo prezzo.
Successivamente, in data 9 gennaio 2003 era intervenuta
la sentenza di fallimento della società venditrice e la curatela si
era avvalsa dalla facoltà di cui all’art. 107 I. fall. sostituendosi
ai creditori pignoranti ed a quelli intervenuti nella procedura
esecutiva pendente, sostenendo che, non essendo intervenuto
il versamento del saldo, il bene era ancora di proprietà della
società fallita, pretendendo quindi di includere l’appartamento
dell’attore tra i beni della massa fallimentare.
Nella resistenza della curatela il Tribunale di Reggio
Calabria con la sentenza del 28 aprile 2010 accoglieva la

Ric. 2017 n. 12067 sez. M2 – ud. 10-05-2018 -2-

diritto sul bene.

domanda del Signoriello, dichiarando che l’immobile oggetto di
causa era di sua esclusiva proprietà.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria con la sentenza n.
181 del 20/3/2017 ha rigettato l’appello della curatela
fallimentare, condannando l’appellante anche al rimborso delle

In via

preliminare riteneva fondata

l’eccezione di

inammissibilità delle nuove domande ed eccezioni proposte
dalla curatela, ed in particolare di quella concernente
l’inopponibilità alla stessa curatela della quietanza di
pagamento del saldo del prezzo, rilasciata con scrittura privata
autenticata avente data certa, dal legale rappresentante della
società ancora in bonis.
A tal fine rilevava che a fronte della produzione di tale
documento già in primo grado, l’appellante non aveva proposto
alcuna domanda o eccezione che involgesse la questione della
opponibilità della quietanza, che invece risultava sollevata per
la prima volta solo in grado di appello.
Per l’effetto andava dichiarata l’inammissibilità della
deduzione ex art. 345 c.p.c. poiché occorreva avanzare
apposita domanda di simulazione.
La questione risultava comunque infondata anche nel
merito atteso che, stante il principio dell’opponibilità della
quietanza alla curatela fallimentare, quale ipotesi di
confessione stragiudiziale, era il curatore a dover richiedere già
nel corso del giudizio di primo grado che il giudice adito
pronunciasse la simulazione della quietanza, fornendo la
relativa prova, prova che però non era stata in alcun modo
offerta.
Ne scaturiva quindi che la quietanza aveva piena valenza
probatoria anche nei confronti della curatela, sicchè doveva

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spese del grado.

reputarsi che si fosse ormai verificato l’effetto traslativo della
proprietà del bene, effetto condizionato dalla sentenza ex art.
2932 c.c., all’effettivo pagamento del saldo prezzo.
La sentenza poi disattendeva il terzo motivo di appello con
il quale si sottolineava la contraddittorietà della condotta

a saldo prezzo, aveva presentato domanda di insinuazione al
passivo, e ciò sul presupposto che il curatore avesse
legittimamente esercitato la facoltà di sciogliersi dal
preliminare ex art. 72 I. fall.
Tuttavia, rilevava la sentenza di secondo grado che il
provvedimento del Giudice delegato che aveva ammesso il
Signoriello al passivo partiva dal presupposto, poi rivelatosi
erroneo che il curatore potesse effettivamente sciogliersi dal
contratto, con la conseguenza che tale ammissione era
destinata a rimanere priva di effetto.
La Curatela del fallimento della IMCAV S.a.s. ha proposto
ricorso avverso tale sentenza sulla base di quattro motivi.
L’intimato non ha svolto difese in questa fase.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 345 c.p.c. nella parte in cui la Corte
reggina ha ritenuto che la questione concernente l’opponibilità
della quietanza rilasciata dalla società

in bonis

all’attore

costituisce una domanda o eccezione nuova che doveva
necessariamente essere proposta in primo grado.
Si rileva che le eccezioni in senso stretto sono
esclusivamente quelle individuate come tali dal legislatore, e
tra queste non rientra in alcun modo quella con la quale si mira
a contestare la valenza della quietanza nei confronti della
curatela, così che si rivela erronea la declaratoria di
inammissibilità adottata dal giudice di appello.

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dell’attore che, in relazione alla somma asseritamente versata

Il secondo motivo denuncia l’omessa motivazione su di un
fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n.
5 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello, esaminando
comunque nel merito la questione, ha considerato che la
quietanza avesse valore probatorio, omettendo di rilevare che

dover dimostrare l’effettività del pagamento interessato dalla
dichiarazione di quietanza.
Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 c.c. sempre in ordine all’attribuzione di valenza
probatoria alla dichiarazione di quietanza, trascurando la sua
inopponibilità alla curatela, ed imponendo a quest’ultima di
dover provare la natura simulata della stessa, proponendo
apposita domanda, laddove invece è onere del debitore, in
questo caso interessato a documentare il pagamento al fine di
dimostrare anche il verificarsi dell’evento al quale era
condizionato il trasferimento della proprietà, provare
l’effettività del versamento del saldo del prezzo.
Il quarto motivo denuncia infine l’omessa motivazione della
sentenza per la mancata valutazione delle risultanze
processuali, atteso che la curatela aveva segnalato una serie di
elementi che deponevano per l’inattendibilità della quietanza,
quali la mancata produzione della stessa nei procedimenti
cautelari che avevano preceduto l’introduzione della causa di
merito nonché la richiesta di insinuazione al passivo del
Signoriello, elementi che sono stati tutti trascurati dal giudice
di appello.
Ritiene il Collegio che il primo motivo sia fondato.
Ed, invero, la questione che costituisce il punto controverso
della presente vicenda è rappresentata dall’effettiva
dimostrazione del pagamento del saldo prezzo da parte del

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secondo la giurisprudenza di legittimità, è invece il debitore a

promissario acquirente in epoca anteriore alla dichiarazione di
fallimento, trattandosi di evento al quale era condizionata
l’efficacia traslativa della sentenza emessa all’esito del giudizio
di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare
concluso dalla società ancora

in bonis.

prevalenza degli effetti di tale sentenza rispetto sia alla
sentenza di fallimento che alla trascrizione del pignoramento,
posto che la domanda giudiziale di esecuzione in forma
specifica dell’obbligo a contrarre è stata pacificamente
trascritta prima sia della sentenza di fallimento che del
pignoramento del bene oggetto di causa, ma la difesa della
curatela si incentra sul mancato verificarsi dell’effetto
traslativo, in quanto non risulterebbe effettivamente adempiuta
l’obbligazione gravante sul promissario acquirente, evento che
la sentenza del Tribunale aveva posto come condizione
sospensiva dell’efficacia traslativa della proprietà del bene.
Posta tale premessa, a fronte della produzione da parte
dell’attore della quietanza, avente data certa in quanto
rilasciata con scrittura con firma autenticata, emessa dal legale
rappresentante della società ancora

in bonis,

e relativa

appunto al pagamento del saldo prezzo in epoca anteriore alla
dichiarazione di fallimento, i giudici di appello hanno ritenuto
che la contestazione circa l’opponibilità di tale quietanza alla
curatela costituisse oggetto di una domanda ovvero di
un’eccezione in senso stretto, insuscettibile di poter essere
proposta per la prima volta in grado di appello, dichiarando
quindi inammissibili le deduzioni dell’appellante ai sensi
dell’art. 345 c.p.c.
Orbene, rileva la Corte che, secondo la propria
giurisprudenza (cfr. Cass. n. 24690/2017), nei confronti del

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I motivi di ricorso denotano che non è contestata la

curatore del fallimento (che nel caso di specie resisteva alla
domanda attorea ponendosi anche a tutela degli interessi del
ceto creditorio, ed al fine appunto di recuperare il bene alla
massa fallimentare) la quietanza rilasciata dal creditore ( poi
fallito) al debitore all’atto del pagamento non ha l’efficacia

unicamente il valore di documento probatorio dell’avvenuto
pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra
prova desumibile dal processo, atteso che il curatore, anche
laddove si ponga nell’esercizio del diritto del fallito, nella stessa
posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal
fallito medesimo (conf. Cass. n. 21258/2014; Cass. n.
4288/2005).
Ne deriva pertanto che, stante l’individuata e limitata
valenza probatoria della quietanza, il motivo di appello con il
quale si intendeva contestare l’opponibilità della stessa alla
curatela, con la necessità di dover adeguatamente apprezzare
la sua portata, lungi dal porre in essere la proposizione di una
domanda o di un’eccezione nuova, si limita a sollecitare il
potere del giudice di appello alla corretta valutazione delle
risultanze istruttorie, essendo pertanto evidente la non
riconducibilità della tesi difensiva dell’appellante nell’ambito di
applicazione dell’art. 345 c.p.c., e ciò soprattutto in vista della
verifica della ricorrenza di uno degli elementi costitutivi della
domanda attorea, il cui accoglimento presupponeva la prova
dell’effettivo versamento del corrispettivo della vendita, in data
anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Peraltro, ed essendo evidente che non risulta proposta una
domanda nuova, anche a voler qualificare la deduzione di cui al
motivo di appello della curatela come contenente la

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vincolante della confessione stragiudiziale ex art. 2375 c.c., ma

proposizione di un’eccezione, è erronea l’affermazione secondo
cui si tratterebbe di un’eccezione in senso stretto.
In tal senso occorre fare richiamo alla costante
giurisprudenza di questa Corte per la quale (cfr. Cass. S.U. n.
10531/2013; Cass. n. 15661/2005) nel nostro ordinamento le

istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge
espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in
quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde
all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da
parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa,
impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il
tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o
realizzabile attraverso un accertamento giudiziale), anche a
voler qualificare come eccezione la contestazione circa
l’opponibilità della quietanza alla curatela, si tratterebbe, in
assenza di una diversa previsione del legislatore, di
un’eccezione in senso lato, liberamente suscettibile di
deduzione anche in grado di appello, con la conseguente
inapplicabilità della previsione di cui all’art. 345 c.p.c..
La sentenza impugnata non si è pertanto attenuta ai
suddetti principi e deve essere cassata con rinvio per nuovo
esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Reggio
Calabria.
Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, gli stessi investono la
valutazione di infondatezza nel merito della contestazione
mossa dalla curatela alla portata probatoria della quietanza,
ma trattasi di censure che attengono ad affermazioni del
giudice di appello che hanno fatto seguito ad una preventiva
declaratoria di inammissibilità delle doglianze dell’appellante, e

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eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad

devono pertanto reputarsi assorbiti a seguito dell’accoglimento
del primo motivo.
Al giudice del rinvio è devoluta anche la liquidazione delle
spese del presente giudizio.
PQM

restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra
sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria, anche per le
spese del presente giudizio
Così deciso nella camera di consiglio del 10 maggio 2018

Accoglie il primo motivo di ricorso e, dichiarati assorbiti i

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