Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15589 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/06/2017, (ud. 05/04/2017, dep.22/06/2017),  n. 15589

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21397/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI,

VINCENZO TRIOLO e VINCENZO STUMPO;

– ricorrente –

contro

B.Y., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 14,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO SABATINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FIORELLA DRAGANI;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 763/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. l’Inps ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, che confermò la sentenza del Tribunale di Pescara che aveva condannato l’istituto alla corresponsione in favore di B.Y. delle ultime tre mensilità di retribuzione e del TFR, a carico del Fondo di garanzia, oltre accessori di legge.

2. La Corte territoriale riferiva in fatto che il Tribunale di Pescara con la sentenza n. 885 del 2010 aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro formalmente a progetto intercorso tra l’appellata e la S.r.l. 4 Star nel periodo dal 5/1/2006 al 22/11/2006, con la conseguente condanna della società al pagamento delle differenze retributive e del TFR. La domanda presentata al Fondo di garanzia – all’esito dell’esperimento di procedura esecutiva mobiliare e di ricerca mobiliare infruttuosa veniva respinta in sede amministrativa, sicchè la lavoratrice proponeva il giudizio nei confronti dell’Inps, il quale con note autorizzate depositate in corso di causa eccepiva la prescrizione quinquennale dei contributi afferenti il rapporto lavorativo. Tale eccezione veniva ritenuta dal giudice territoriale inammissibile in quanto tardiva ex art. 416 c.p.c., comma 2, nè rilevava che l’Inps non avesse partecipato al processo instaurato dalla lavoratrice contro il datore di lavoro.

3. L’istituto affida il gravame ad un primo motivo con il quale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c. e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, commi 9 e 10, in relazione alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, commi 1 e 8, nonchè agli artt. 214, 215 e 216 c.p.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia disatteso l’eccezione di prescrizione quinquennale dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro in relazione all’accertata natura subordinata del rapporto, ritenendola tardiva in quanto sollevata solo con le note autorizzate depositate nel corso del giudizio di primo grado. Argomenta che la prescrizione nella materia previdenziale è sottratta alla disponibilità delle parti, sicchè opera di diritto e può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Sostiene che, in considerazione della natura previdenziale dell’obbligazione a carico del fondo di garanzia, deve farsi applicazione dei principi di automaticità delle prestazioni, per cui il requisito di contribuzione deve ritenersi verificato anche qualora i contributi non siano stati versati, purchè essi risultino dovuti nei limiti della prescrizione, mentre nel caso i contributi erano prescritti.

3.1. Come secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, lett. b) e fa presente che nel caso le retribuzioni richieste non rientravano nel termine di 12 mesi da computare a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione forzata, che era stata proposta con procedura mobiliare negativa dopo la notifica dell’atto di precetto del 13/16 dicembre 2010, mentre il rapporto di lavoro subordinato era stato riconosciuto per il periodo dal 5 gennaio al 22 novembre 2006.

4. B.Y. ha resistito con controricorso. L’Inps ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. il primo motivo di ricorso non è fondato, sebbene la motivazione della Corte territoriale debba essere corretta nel senso che viene di seguito illustrato.

1.1. Erroneamente il giudice di merito ha ritenuto che l’eccezione di prescrizione dei contributi sollevata dall’INPS nel corso del giudizio di primo grado fosse inammissibile per tardività, considerato che nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti – ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 – anche per le contribuzioni relative a periodi precedenti la entrata in vigore della stessa legge (medesimo art. 3, comma 10) e con riferimento a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria. Ne consegue che, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (non già preclusiva) poichè l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi – opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio (v. Cass. 15/10/2014 n. 21830, 07/11/2007 n. 23164).

2. L’eccezione tuttavia non era rilevante nella presente controversia, avente ad oggetto le prestazioni a carico del fondo di garanzia.

2.1. Con direttiva 80/987 del 20.10.1980 il Consiglio della CEE ha voluto garantire ai lavoratori subordinati una tutela minima in caso di insolvenza del datore di lavoro. A tale scopo la direttiva ha delineato un meccanismo di tutela basato sulla creazione di specifici organismi di garanzia, che si sostituiscono al datore di lavoro per il pagamento di taluni crediti dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza di quest’ultimo. In attuazione di detta direttiva, lo Stato italiano ha adottato due testi normativi, la L. 29 maggio 1982, n. 297, che ha istituito all’art. 2, il fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, ed il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, recante l’attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, con il quale la garanzia è stata estesa anche alle ultime retribuzioni (artt. 1 e 2). Successivamente, la disciplina del fondo di garanzia è stata integrata dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 186, adottato in attuazione della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 2002/74/CE del 23 settembre 2002, che ha modificato il D.Lgs. n. 80 del 1992 e la L. n. 297 del 1982, regolamentando le cd. situazioni trasnazionali. La direttiva 80/987 è stata poi abrogata dall’articolo 16 della direttiva 2008/94/CE, che ne riprende i principi fondamentali.

3. L’art. 2116 c.c., stabilisce il principio dell’automaticità delle prestazioni, in forza del quale le prestazioni previdenziali spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati dal datore di lavoro. Come affermato dalla Corte Costituzionale, tale principio costituisce diretta espressione della finalità solidaristica della tutela previdenziale e risponde alla precipua funzione di trasferire il rischio dell’inadempimento dell’obbligazione contributiva dal lavoratore all’ente previdenziale e, per il tramite di quest’ultimo, all’intera collettività degli assicurati (cfr. Corte Cost. 5 dicembre 1997, n. 374). Esso costituisce quindi una regola generale, non richiedendosi un’ espressa norma che lo richiami, ma essendo semmai necessaria una disposizione esplicita perchè sia possibile ad esso derogare. Ne consegue che tale principio deve ritenersi applicabile anche alle prestazioni erogate dal fondo di garanzia (in tal senso v. Cass. 16/06/2006 n. 13930 e 05/07/2007 n. 15155).

4. Per le prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, vige il principio di parziale automaticità, in quanto il R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 27, comma 2, come modificato da ultimo dal D.L. 30 giugno 1972, n. 267, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1972, n. 485, prevede che il relativo requisito di contribuzione “si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati, purchè essi risultino dovuti nei limiti della prescrizione decennale”. Tale limitazione però, nel caso di datore di lavoro insolvente, è stata ritenuta dalla Corte di Giustizia (nella sentenza del 2 febbraio 1989 nella causa 22/87 CE, ai punti 25 ss.) contraria all’art. 7 della Direttiva 80/987/CEE, secondo il quale “Gli stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il mancato pagamento ai loro organismi assicurativi di contributi obbligatori dovuti dal datore di lavoro prima dell’insorgere dell’insolvenza a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale non leda i diritti alle prestazioni dei lavoratori subordinati nei confronti di questi organismi assicurativi nella misura in cui i contributi salariali siano stati trattenuti sui salari versati”. Ed è proprio per sanare tale contrasto che il legislatore è intervenuto con il già richiamato D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, che all’art. 3ha dettato disposizioni per il caso in cui il datore di lavoro sottoposto a procedura concorsuale abbia omesso, in tutto o in parte, di versare i contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione (art. 3), nonchè per le forme di previdenza complementare per prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti (art. 5).

5. Il fondo di garanzia, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 24, afferisce alla Gestione prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti, nel cui ambito ha una contabilità separata, ed è alimentato dai contributi del datore di lavoro ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 8.

5.1. Per le prestazioni economiche a carico del fondo, deve escludersi che il diritto del lavoratore resti condizionato all’effettivo adempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligazione contributiva, o alla mancata prescrizione della stessa, qualora non adempiuta.

5.2. In tal senso depone in primo luogo l’assenza di una previsione espressa che limiti il principio di automaticità, quale quella dettata per le prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti.

5.3. Inoltre, una tale limitazione risulterebbe contraria alla funzione di garanzia del lavoratore a fronte dell’insolvenza del datore di lavoro che l’ordinamento sovranazionale assegna all’intervento in questione, essendo proprio l’incapacità del datore di lavoro di adempiere alle proprie obbligazioni (anche contributive) che integra lo stato d’insolvenza cui consegue l’intervento del fondo.

Altra soluzione infatti non è consentita dall’ interpretazione della normativa coerente con l’art. 5 della Direttiva n. 80/987/CEE e dall’art. 5 della successiva Direttiva 2008/94/CE, dello stesso tenore, che alla lettera c) prevedono che l’obbligo a carico degli organismi di garanzia per il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati, esiste indipendentemente dall’adempimento degli obblighi dei datori di lavoro di contribuire al finanziamento.

5.4. Non risultano decisivi in senso contrario gli arresti di questa Corte già sopra richiamati – sentenze 16/06/2006 n. 13930 e 05/07/2007 n. 15155 – i quali hanno ribadito l’applicabilità alle prestazioni de quibus del principio di automaticità e riconosciuto l’obbligo dell’Inps, senza misurarsi in concreto con l’ipotesi in cui la pretesa contribuiva fosse prescritta.

5.5. A tutto quanto detto consegue che l’eventuale prescrizione dei contributi dovuti dal datore di lavoro per il finanziamento del Fondo di garanzia non poteva comunque escludere il diritto della lavoratrice alle prestazioni richieste in causa.

6. Rileva poi il Collegio che il secondo motivo di ricorso proposto dall’Inps è inammissibile (prima che infondato, come indicato nella proposta del Consigliere relatore ex art. 380 bis c.p.c., comma 1).

E difatti, la questione non è stata esaminata dalla Corte d’appello, che neppure riferisce sia stata proposta nel giudizio di gravame. Occorre quindi ribadire il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione. Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. (Cass. n. 23675 del 18/10/2013, Cass. n. 4787 del 26/03/2012, Cass. n. 3664 del 21/02/2006). Nel caso, non risulta invece che la questione, che richiederebbe anche l’esame delle relative circostanze fattuali, sia stata oggetto di discussione nel giudizio di merito, sicchè il motivo risulta inammissibile.

7. Il ricorso deve quindi essere rigettato. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza, con liquidazione come da dispositivo ed applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 133, in ragione dell’ammissione al patrocinio a spese dello stato della ricorrente.

7.1. La liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione dovrà invece essere effettuata, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3, dalla Corte d’appello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del presente giudizio di cassazione (Cass. 13/05/2009 n. 11028, Cass. 12/11/2010 n. 23007).

8. Sussistono infine i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Visto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 133, dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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