Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15584 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 14/07/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 14/07/2011), n.15584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20634/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

COGNE ACCIAI SPECIALI SPA (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CARDASCIA LUIGI, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2008 della Commissione Tributaria Regionale

di AOSTA del 20.6.08, depositata il 24/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE CIRILLO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FEDERICO

SORRENTINO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Il 24 giugno 2008 la commissione tributaria regionale di Aosta ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della Cogne Acciai Speciali S.p.A. (con s.u.), confermando la sentenza di prime cure che aveva annullato l’accertamento per indebita detrazione IVA (2003) relativamente alla cessione fatta nel 2003 dalla Cogne Tecnologies S.r.l. alla soc. Cogne Acciai Speciali di un impianto ESR (rifusione sotto scoria), considerata cessione non di beni ma di ramo d’azienda.

Ha motivato la decisione ritenendo che: a) l’impianto di rifusione sotto scoria non possedeva gli elementi e i requisiti per costituire un’entità distinta e idonea a svolgere un’attività produttiva economicamente qualificabile; b) la relazione tecnica presentata dalla società, i cui risultati non erano smentiti dagli atti, aveva evidenziato che l’impianto in questione non era autonomo, in quanto necessitava di varie “utenze” fornite dalla Cogne Acciai Speciali; c) l’impianto ESR, finalizzato ad una lavorazione intermedia eseguita sui prodotti provenienti dal colaggio in acciaieria che proseguivano il flusso per i successivi trattamenti, risultava integrato nel ciclo produttivo interagendo con la fase precedente e seguente la lavorazione”.

“Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a unico motivo, l’Agenzia delle entrate; la soc. Cogne Acciai Speciali si è costituita con controricorso. Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, asserendo che la motivazione sarebbe insufficiente perchè i giudici d’appello, nel delibare la questione relativa all’individuazione dell’oggetto di una cessione di un complesso di beni e di rapporti giuridici – ed in particolare se essa integrasse una cessione d’azienda – avrebbe risolto negativamente tale questione sulla scorta di elementi di fatto contingenti, conseguenti alla concreta destinazione impressa dall’acquirente (secondo la quale tale impianto era stato destinato alla lavorazione di una fase intermedia del prodotto finito), senza farsi carico di verificare se, a prescindere da tale concreta destinazione, quel complesso di beni e di rapporti fosse potenzialmente idoneo allo svolgimento in forma indipendente di una attività d’impresa. Il motivo è inammissibile”.

“Con il ricorso per cassazione l’Agenzia contesta la qualificazione attribuita dalla CTR al contratto intercorso tra la Cogne Tecnologies S.r.l. (cedente) e la soc. Cogne Acciai Speciali (cessionaria), al fine di sottoporlo a imposta di registro e non a IVA. La relativa censura, per essere esaminabile, non può risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione dell’Ufficio e quella accolta nella sentenza impugnata, ma possono essere proposti, in tesi generale, rilievi circa la mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e ss., ovvero circa l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione; sicchè, in ossequio al principio di autosufficienza, il tutto deve essere accompagnato dalla trascrizione in ricorso delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti (la cui ricerca, che integra un accertamento di fatto, è preliminare alla qualificazione del contratto), al fine di consentire, in sede di legittimità, la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa (Sez. 5, Sentenza n. 13587 del 04/06/2010)”.

“Nulla di tutto ciò è riscontrabile nel caso di specie, ove manca, finanche graficamente, qualsivoglia riferimento concreto al contenuto negoziale della cessione che si pretende di riqualificare. Si consideri, ad esempio, che nel ricorso (rectius: momento di sintesi;

n.d.e.) si accenna a imprecisati rapporti giuridici ceduti, senza che nulla di specifico si sappia sul relativo punto contrattuale, atteso che non se ne parla neppure nella sentenza impugnata. Nè la ricorrente ha mosso alcuna censura di ermeneutica negoziale. Il ricorso resta, dunque, affidato all’asserita insufficienza motivazionale. L’insufficiente motivazione sussiste – però – solo se nel ragionamento contenuto nella sentenza di merito, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce ai giudici di legittimità il potere di riesaminare e rivalutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dai giudici d’appello ai quali soltanto spetta d’individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 27162 del 23/12/2009)”.

“L’iter seguito dalla commissione regionale, riassunto nelle tre proposizioni argomentative qui riportate in narrativa, muove dal rilievo della non autonomia funzionale dell’impianto ESR, desunto dal dato obiettivo dei necessari nessi produttivi con fasi anteriori e posteriori alla lavorazione e dall’esame dalla perizia di parte, non smentita da contrarie allegazioni di natura tecnica. Il ricorso non sottopone a revisione critica l’argomentare dei giudici d’appello, ma si limita solo a contrapporre ad esso il contenuto dell’accertamento fiscale, al fine di ottenere un’inammissibile revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto già compiuti dal giudice di merito”.

“Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1”.

Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle partì costituite; osservato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta inammissibilità del motivo di ricorso, così come articolato, sia per tutte le ragioni sopra indicate nella relazione, sia per quelle ulteriori qui di seguito riportate riguardo ai rilievi formulati dalla ricorrente con la memoria in atti:

a. Per giurisprudenza costante il criterio discretivo per l’accertamento della ricorrenza, o meno, di una cessione di ramo d’azienda in un negozio traslativo è quello dell’interpretazione negoziale, da condursi rigorosamente secondo i criteri dell’ermeneutica contrattuale e con l’osservanza dei canoni della c.d. autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. anche Sez. 5, Sentenze n. 1913 del 30/01/2007 e n. 6923 del 25 marzo 2011).

b. L’asserito subentro in rapporti di lavoro da parte della ditta cessionaria non trova riscontro processuale nè nel contenuto della sentenza della CTR, nè nella trascrizione in ricorso di un eventuale motivo d’appello dell’Agenzia sul punto, il che preclude in radice l’esame della questione.

c. Inoltre, della cessione dei rapporti di lavoro non si fa neppure graficamente cenno nel necessario “momento di sintesi” a pag. 7 (“…cessione di un complesso di beni e di rapporti giuridici…”), costituente invece il nucleo essenziale, originale e autosufficiente, della doglianza ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., ultima parte.

d. Nè rileva, infine, che di rapporti di lavoro si parli, eventualmente, in atti tributare richiamati in ricorso Cpag. 2 e 4) ovvero, di sfuggita, nell’esposizione del motivo (pag. 6: “non si trascurino i rapporti di lavoro”). Il momento di sintesi in esame, necessitando di eterointegrazione, non assolve alla sua funzione tipica, che è quella di far comprendere dalla sola lettura di esso, inteso come nucleo logico/giuridico e fattuale della questione dibattuta, quale sia l’errore motivazionale asseritamente compiuto dal giudice d’appello, dovendosi ritenere inammissibile che detto momento di sintesi non contenga, invece, tutte le informazioni indispensabili per dare risposta al caso concreto ed emendare il preteso vizio argomentativo ascritto alla CTR. Ritenuto che, alla stregua delle argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere disatteso con regolamentazione delle spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 8000 per onorario ed Euro 100 per borsuali, oltre a rimb. forf., i.v.a. e c.a.p. secondo legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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