Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15581 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 30/06/2010), n.15581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27692/2006 proposto da:

COMUNE DI CARRARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio

dell’avvocato CONTALDI Mario, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BATISTONI FERRARA FRANCO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

IMEG SRL IN LIQUIDAZIONE già fallita e ora tornata in bonis, in

persona del Liquidatore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO FIORILLI, rappresentato e difeso dagli

avvocati PISTOLESI Francesco, MICCINESI MARCO, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2006 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 19/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato BATISTONI FERRARA FRANCO, che si

riporta;

udito per il resistente l’Avvocato GOLINO VINCENZO per delega Avv.

PISTOLESI FRANCESCO, che si riporta agli scritti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’inammissibilità.

 

Fatto

La società IMEG s.r.l., operante nel settore escavazione marmi, ricorreva alla C.T.P. di Massa Carrara avverso due avvisi di accertamento, emessi da quel Comune, relativi alla tassa sui marmi scavati dalla società e trasportati fuori del territorio comunale nel 1996 e 1997, per un importo pari a L. 750.561.665 per il 1996 ed a L. 215.569.945 per il periodo dal 1.1.1997 al 30.5.1997, poichè il Comune, travalicando il disposto normativo, aveva fissato delle tariffe della tassa sui marmi superiori a quanto previsto nell’ultimo provvedimento legislativo di aggiornamento e perchè le somme pretese dal Comune configuravano una prestazione non giustificabile nè come imposta nè come tassa.

Resisteva il Comune.

La C.T.P. respingeva il ricorso, ritenendo che l’ente impositore aveva solo aggiornato la tariffe.

La C.T.R. della Toscana respingeva l’appello proposto dalla società, confermando in loto la sentenza di primo grado.

Avverso detta decisione la società IMEG s.r.l proponeva ricorso per cassazione. Resisteva con controricorso il Comune di Massa Carrara.

Medio tempore il Comune iscriveva a ruolo l’intero importo in contestazione, notificando la relativa cartella di pagamento il 10.12.2001 e la società, in data 8.2.2002, provvedeva al pagamento.

La Corte di cassazione, con ordinanza del 27.10.2003, sospendeva il giudizio ravvisando la necessità di proporre innanzi alla Corte di Giustizia Europea una questione pregiudiziale intesa ad ottenere una pronuncia interpretativa in ordine alla compatibilità con il trattato CEE della legge italiana che prevedeva una tassa sull’estrazione di marmo in un determinato Comune e sulla sua uscita da quel territorio, rimanendo invece esenti i marmi impiegati nel comune stesso.

A seguito della sentenza della Corte di giustizia emessa il 9.9.2004 che aveva ritenuto detta tassa incompatibile con la normativa CEE, contenuta nell’art. 23 del Trattato, la Corte di cassazione accoglieva il ricorso della società e, cassata la sentenza della C.T.R., aveva rinviato la causa ad altra sezione di quell’organo giudicante perchè, preso atto dei documenti emessi dal Comune in via di autotutela, valutasse se si era verificata o meno la cessazione della materia del contendere e decidesse in ordine alle spese.

La società, non avendo il Comune provveduto al rimborso, malgrado la a sentenza della Suprema Corte e l’annullamento degli avvisi di accertamento, riassumeva la causa innanzi alla C.T.R. della Toscana, chiedendo l’accertamento dell’illegittimità della pretesa impositiva e la restituzione di quanto indebitamente percepito da quel l’ente in corso di causa con gli interessi dalla data del pagamento, oltre la rifusione delle spese di giudizio.

La C.T.R., con sentenza n. 35/17/06 del 22.5/19.6.2006, condannava il Comune alla restituzione in favore della società IMEG al pagamento della somma di Euro 622.782,21 con gli interessi legali a decorrere dal giorno del pagamento, disponendo la compensazione delle spese.

Avverso detta decisione il Comune di Massa Carrara propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. La società IMEG, già fallita e tornata in bonis, resiste con controricorso, contrastando quanto ex adverso sostenuto ed eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’impugnazione per mancanza dei quesiti previsti dall’art. 366 bis c.p.c.. e per la formazione di un giudicato interno relativo a 1 diritto al rimborso.

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, perchè la C.T.R., in sede di riassunzione del giudizio di rinvio, invece di accertare la cessazione della materia del contendere come disposto dalla Corte di cassazione, aveva condannato il Comune alla restituzione della somma percetta.

Con la seconda censura si lamenta la violazione dell’art. 389 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, e degli artt. 24 e 113 Cost., nonchè omessa o insufficiente motivazione in quanto la C.T.R. avrebbe dovuto limitarsi a pronunciare la cessata materia del contendere stante l’avvenuto annullamento dell’atto impositivo da parte del Comune, mentre il contribuente se avesse voluto accedere alla restituzione della somma pagata, avrebbe dovuto inoltrare domanda di rimborso ed, in caso di diniego, impugnare il rifiuto, non costituendo la domanda di rimborso avanzata in sede di rinvio provvedimento conseguente alla decisione della Corte di cassazione.

Su tale ultima questione malgrado l’eccezione di parte resistente, la C.T.R. aveva omesso qualunque motivazione in sentenza in quanto non erano state spiegate le ragioni per le quali la domanda di restituzione del tributo è stata ritenuta proponibile nel giudizio di rinvio.

Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’obbligo di motivazione della sentenza in quanto la C.T.R. non si era espressamente pronunciata in ordine all’istanza del Comune volta ad ottenere l’assunzione di mezzi di prova atti a dimostrare che la contribuente aveva trasferito su altri soggetti l’onere del tributo senza che il pagamento avesse inciso negativamente sul volume di affari per cui non era dovuto il rimborso, che si sarebbe concretizzato in un ingiustificato arricchimento.

Con l’ultima censura infine si assume la violazione dell’art. 2033 c.c.; sostiene parte ricorrente che la C.T.R. non avrebbe dovuto far decorrere gli interessi dal giorno del pagamento, ma dalla data della domanda di restituzione come stabilito dal citato art. 2033, in relazione all’indebito percepito in buona fede, come nella specie, in quanto il Comune aveva emesso la cartella di pagamento solo dopo due pronunce sfavorevoli nei confronti della società.

Occorre in via pregiudiziale esaminare l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso avanzata dalla società.

La prima eccezione è fondata.

Il ricorso, infatti, è stato proposto per impugnare una sentenza depositata dopo il 2.3.2006, data di entrata in vigore della novella introdotta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.

Dispone l’art. 366 -bis c.p.c. che, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.

Le SS.UU. di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. civ. SS.UU. sentt.

nn. 7258 e 23732 del 2007) hanno già statuito che la formulazione di un quesito di diritto, anche nei ricorsi per violazione o falsa applicazione di norma di diritto, non può ritenersi sussistente, per il solo fatto che il quesito di diritto può implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione, che ha introdotto a pena di inammissibilità, il rispetto del requisito formale, che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto( anche con la necessaria evidenza grafica (cfr.

anche sent. n. 19348 del 2008)), tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte.

Va anche specificato che non possono ritenersi equipollenti ai quesiti di diritto da formularsi in calce a ciascun motivo, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., quanto esposto dal ricorrente in sede di conclusioni, in merito ai termini in cui dovrebbe essere motivata nella fattispecie la sentenza di questa Corte ed al principio di diritto a cui dovrebbe uniformarsi il giudice di rinvio.

Anche nel caso di provvedimenti impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione è necessario che venga redatto il quesito, poichè secondo l’art. 366 bis c.p.c., l’illustrazione del motivo, in questo caso deve contenere, sempre a pena d’inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr. Cass. civ. SS.UU. sent. n. 20603 del 2007).

L’accoglimento della prima eccezione rende superfluo esaminare l’eccezione di giudicato della parte resistente ed i motivi del ricorso. Tuttavia, poichè in memoria la difesa del Comune ha eccepito l’inapplicabilità dell’art. 366 bis c.p.c., per essere stato lo stesso abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, il Collegio ritiene che tale eccezione non sia condivisibile, dato che sul punto si è già espressa questa Corte (v. sentt. nn. 26364 del 2009 e 428 del 2010), con pronunce peraltro conosciute e citate dalla difesa di parte ricorrente, non sussistendo motivi per discostarsene.

Tutto ciò premesso, i motivi del ricorso in esame vanno dichiarati inammissibili, e, ritenute assorbite tutte le altre censure, il ricorso deve essere respinto. Si ritiene tuttavia equo compensare le spese del presente giudizio dato che la riforma è stata introdotta in epoca quasi contemporanea alla proposizione del ricorso per cassazione.

PQM

La Corte respinge il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

 

 

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