Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1558 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 26/01/2021), n.1558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1000-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

COR SPORT SRL, EQUITALIA NOMOS SPA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 79/2010 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 11/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROBERTO MUCCI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CHERUBINI MATTIA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

All’esito di verifica contabile eseguita nei confronti della s.r.l. Cor sport, l’Agenzia delle Entrate, ritenuta la indeducibilità dei costi esposti per acquisti da fornitori aventi sede in Stati compresi nella lista dei paesi a fiscalità privilegiata (c.d. black list), emetteva avviso di accertamento con cui determinava per l’anno d’imposta 2000 un maggior reddito d’impresa e un maggior volume di affari della predetta società e, per l’effetto, recuperava a tassazione le imposte (IRPEG e IRAP) non corrisposte, maggiorate di sanzioni ed interessi.

L’impugnativa giurisdizionale del contribuente, disattesa in prime cure, è stata accolta, a seguito di gravame, dalla Commissione Tributaria Regionale di Venezia – Mestre con sentenza n. 79/16/10 pronunciata il giorno 11 novembre 2010.

Per quanto ancora d’interesse, il giudice di appello ha reputato la “documentazione prodotta dalla società (fatture, bolle doganali, documenti di trasporto, bonifici di pagamento) (…) idonea a dimostrare l’effettività delle operazioni commerciali di cui trattasi, mentre l’interesse e la convenienza economica delle medesime è ricavabile dagli utili conseguiti dalla società nel periodo d’imposta”.

Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione, articolando due motivi, l’Agenzia delle Entrate; alcuna attività spiega, sebbene ritualmente evocata in lite, l’intimata s.r.l. Cor sport.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo di gravame, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria ricorrente lamenta l’errore di diritto in cui è incorsa la C.T.R. per avere, in violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76, commi 7-bis e 7-ter, ritenuto che “l’effettivo interesse economico” – presupposto necessario per la deducibilità dei costi derivanti da operazioni con soggetti domiciliati nei paesi della c.d. black list possa essere desunto e dimostrato “da generali dati di bilancio, qual è il complesso degli utili della società, anzichè dalle specifiche caratteristiche di ogni operazione compiuta con la società estera”.

Con il secondo motivo, l’Ufficio impugnante lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Più specificamente, assume che l’indifferenziato richiamo operato dalla sentenza gravata alla documentazione prodotta in lite dal contribuente non valga ad illustrare, in maniera adeguata, il percorso argomentativo seguito per addivenire alla statuizione resa, mancando la specificazione puntuale dei mezzi di prova a tal fine adoperati, degli elementi fattuali da essi desunti e della valutazione di attendibilità e concludenza compiuta in ordine ad essi.

2. Le doglianze – da esaminarsi congiuntamente siccome avvinte da intrinseca connessione – sono fondate.

La disciplina ratione temporis applicabile alla fattispecie va individuata nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, commi 7-bis e 7-ter (a seguito della riforma operata dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, confluiti, con qualche variazione, nel medesimo D.P.R., art. 110, commi 10 e 11), i quali, rispettivamente, prevedevano che “Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stato o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati (…) individuati, con D.M. finanze” e che “le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.

Le disposizioni trascritte, vigenti all’epoca dei fatti, sancivano dunque una presunzione relativa di indeducibilità dei costi generati da operazioni con soggetti allocati nei paesi a fiscalità privilegiata, superabile, ad onere del contribuente, previa dimostrazione di almeno uno dei seguenti requisiti, tra loro alternativamente concorrenti: lo svolgimento di un’attività commerciale effettiva da parte del fornitore estero (cioè a dire l’esercizio di un’attività connotata da idonea struttura organizzativa); la sussistenza di un effettivo interesse economico sotteso alla eseguita operazione.

Come ha avuto modo di specificare questa Corte, la seconda esimente, testè trascritta, postula una valutazione sulla “bontà del risultato imprenditoriale conseguito, sicchè occorre tenere conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione e tenendo conto del prezzo stabilito negozialmente, della presenza di costi accessori della fornitura, dei tempi di consegna, dell’esistenza di vincoli contrattuali che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore inserito nella black list o comunque che renderebbero eccessivamente onerosa la transazione con altro fornitore” (così, da ultimo, Cass. 22/02/2019, n. 5264).

Appare pertanto palese l’errore di diritto in cui è incorsa la sentenza gravata, nella quale è del tutto mancante un apprezzamento compiuto alla stregua dei precisati parametri di orientamento, per l’effetto, all’evidenza, rimasti inosservati.

La motivazione addotta a suffragio della dichiarata illegittimità dell’accertamento (motivazione da apprezzare, nella sua conformità a diritto, secondo il paradigma costituito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, risalendo la pubblicazione della sentenza de qua al novembre 2010) risulta gravemente carente e lacunosa.

Essa, infatti, si profila generica nell’indicazione degli strumenti asseverativi fondanti il convincimento del giudice (vengono invero richiamati i documenti prodotti dal contribuente nella loro integralità, senza alcuna specifica menzione) e si compendia in affermazioni insignificanti, se non addirittura tautologiche, sulle ragioni concretanti un effettivo interesse economico all’operazione con il fornitore estero (costituendo la percezione di utili evocata dalla C.T.R. l’intrinseca ragion d’essere di ogni attività imprenditoriale con finalità lucrativa).

3. Accolto il ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Venezia, in diversa composizione, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale à Vene, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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