Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15574 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 30/06/2010), n.15574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3746/2007 proposto da:

COMUNE DI ANAGNI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA CATANZARO 2, presso lo studio dell’avvocato

LUCCI MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato NARDONE Michele,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COLLINS & AIKMAN AUTOMOTIVE COMPANY ITALIA SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 732/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 12/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato NARDONE MICHELE, che si riporta e

produce n. 2 avvisi di ricevimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La A.P.C.O. (Advanced Plastic Company) s.r.l. a impugnava avanti alla Commissione tributaria provinciale di Frosinone l’avviso di accertamento emesso dal Comune di Anagni in materia di tassa di smaltimento di rifiuti solidi urbani (TARSU) in rettifica delle superfici dichiarate uso uffici e servizi, per gli anni 1998, 1999 e 2000.

La Commissione provinciale accoglieva il ricorso ritenendo non. tassabili le superfici come sopra destinate e non avendo provato il Comune provato che i relativi rifiuti fossero assimilabili ai rifiuti urbani.

Il Comune propose appello e la Commissione regionale lo rigettò.

Ricorre per la cassazione della sentenza il Comune di Anagni contro la COLLINS & AIKAN AUTOMOTIVE COMPANY ITALIA S.R.L., incorporante per fusione della A.P.C.O., denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., comma 1 e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, oltrechè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

La società contribuente non ha resistito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, il Comune deduce che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, stabilisce la generale tassabilità di tutte le aree del territorio comunale in cui è istituito il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti ad eccezione delle ipotesi di cui al comma 1 (aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse da aree a verde), comma 2 (locali o aree che per ragioni particolari non possono oggettivamente produrre rifiuti) e comma 3 che precisa che “Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”. Dinanzi pertanto ad una presunzione di generale tassabilità delle aree, sarebbe stato onere del contribuente dare prova che in quelle aree non si potevano produrre rifiuti assimilabili a quelli urbani.

Il motivo è fondato.

Va premesso che la classificazione dei rifiuti in urbani, speciali, tossici e nocivi si rinviene nel D.P.R. n. 915 del 1982, in attuazione della direttiva CE sui rifiuti 442 del 1975 che ha sostituito definitivamente gli artt. 268 TULF e segg. di cui al R.D. n. 1175 del 1931. Il D.P.R. n. 915 del 1982, art. 8, comma 4, punto 1 definisce come rifiuti speciali “i residui derivanti da lavorazioni industriali;quelli derivanti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi che, per quantità o qualità, non siano dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani”, al cui smaltimento (art. 3, comma 3) erano tenuti a provvedere a proprie spese i rispettivi produttori, direttamente o attraverso imprese o enti autorizzati dalla regione, o mediante conferimento ai gestori del servizio pubblico coi quali fosse stata stipulata apposita convenzione. Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 60, ha poi equiparato ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti da attività artigianali, commerciali e di servizi che fossero dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani interni, con apposito regolamento, dai comuni, mentre ha mantenuto il regime convenzionale per i rifiuti speciali non equiparabili.

Su tale impianto normativo è intervenuta la L. n. 146 del 1994, il cui art. 39 ha abrogato il D.Lgs. n. 507 del 1983, art. 60, disponendo l’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali “indicati al n. 1, punto 1.1.1, lett. a), della Delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui al D.P.R. n. 915 del 1982, art. 5 nonchè gli accessori per l’informatica”. Il n. 1 della richiamata delibera (riguardante la classificazione dei.

rifiuti) rimandava – al punto 1.1.1. – ai rifiuti speciali di cui al D.P.R. n. 915 del 1982, art. 2, comma 4, punti 1), 3), 4), 5), ricomprendente i residui derivanti da lavorazioni industriali, da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi, che per quantità e qualità non fossero inizialmente assimilabili ai rifiuti urbani; materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi;

macchinari e apparecchiature deteriorati o obsoleti; veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso; residui dell’attività di trattamento dei rifiuti. Venivano così assimilati ai rifiuti urbani sostanzialmente tutti i rifiuti speciali (purchè a) aventi composizione analoga a quelli urbani; b) non dessero luogo ad emissioni pericolose c) non fossero stati contaminati da sostanze pericolose), esclusi quelli ospedalieri e quelli tossici e nocivi di cui al D.P.R. n. 915 del 1982, art. 2 comma 4, punto 2, e al comma 5 (non incisi dalla delibera interministeriale).

La L. n. 146 del 1994, art. 39, è stato successivamente abrogato dalla L. n. 128 del 1998, art. 17, comma 3 entrata in vigore il 22 maggio 1998, che ha reso operativo il D.Lgs. n. 22 del 1997 (c.d.

Decreto Ronchi) e, conseguentemente, è stata reintrodotta (ivi artt. 7 e 21 del decreto) la necessità di un provvedimento dell’ente impositore di assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali derivanti da attività economiche tra le quali è astrattamente iscrivibile quella industriale esercitata dalla società contribuente.

Pertanto, alla fattispecie concernente la tassa dovuta per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani va applicata ratione temporis, fino al 1997, la L. n. 146 del 1994, art. 39 il quale ha comportato l’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di tutti i rifiuti speciali, fatta eccezione soltanto per quelli ospedalieri, tossici e nocivi, eliminando ogni valutazione discrezionale dei Comuni al riguardo e correlativamente la necessità di un provvedimento ad hoc dell’ente locale con conseguente legittimità dell’imposizione della tassa in riferimento ai rifiuti, derivanti da lavorazioni industriali,da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi senza alcuna distinzione (Cass. 13851/04).

Per le fattispecie successive il decreto Ronchi ripristina una situazione analoga a quella preesistente con riferimento alla ristabilita potestà del Comune di assimilare per quantità e qualità i rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani (e tra i rifiuti speciali la classificazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, ricomprende anche i rifiuti da lavorazioni industriali) ancorchè avvalendosi dei criteri determinati dallo Stato nell’ambito delle competenze indicate nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 18, comma 2, lett. d ovvero – in attesa delle nuove disposizioni – ancora in base alle norme regolamentari e tecniche già vigenti quali la citata Delib. CIPE 27 luglio 1984 (Cass. 18303/04, 18087/04 e 16878/09).

Premesso il superiore quadro normativo, questa Corte(Cass. n. 25573/2009) ha ritenuto che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 il quale precisa che “Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti” va interpretato nel senso che la disposizione in parola ricollega l’esclusione dalla tassa a che:

1) la superficie deve possedere specifiche caratteristiche strutturali e funzionali per le quali in essa si formano rifiuti speciali, tossici o nocivi;

2) la superficie deve essere destinata, in ragione della attività che vi si svolge, alla formazione di rifiuti speciali, tossici o nocivi;

3) in tale superficie i rifiuti speciali devono formarsi in maniera abituale (Cass. 13851/04).

Osserva in particolare la Corte che “la ricorrenza di tali presupposti va peraltro dimostrata dal contribuente che deve dar contezza della esenzione che costituisce eccezione alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale in cui il servizio è istituito. Nè l’intassabilità potrebbe riguardare le zone destinate all’immagazzinamento dei prodotti finiti che rientrano nella previsione di generale tassabilità delle aree a qualsiasi uso adibite.

Non assume rilievo, infatti, il collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate a quello scopo come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, quali quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione neanche dalla legislazione precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 507 di 1993 (Cass. 19461/03).

La CTR che, invece, fonda il suo giudizio sul ritenuto onere della prova, inadempiuto, a carico del Comune di dimostrare che nei magazzini si producessero rifiuti urbani o assimilabili a quelli urbani, non fa buon uso dei superiori principi, avendo, altresì, del tutto omesso di valutare la normativa ratione temporis applicabile nel caso in esame.

La sentenza impugnata deve essere cassata e rinviata ad altra Sezione della CTR del Lazio che provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla CTR del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

 

 

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