Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1557 del 22/01/2019

Cassazione civile sez. III, 22/01/2019, (ud. 07/11/2018, dep. 22/01/2019), n.1557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1817/2017 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO,

23, presso lo studio dell’avvocato FLAMINIA AGOSTINELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO COLUCCI giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, A.R.R., G.V.,

T.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3913/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2018 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCO VILLA PIZZI per delega non scritta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Venuti a conoscenza dell’intenzione dei gruppi politici dei consiglieri di minoranza di proporre migliaia di emendamenti al fine di impedire l’approvazione del bilancio preventivo del Comune di Milano per l’anno 2003, A.G., sindaco, A.R.R., G.V. e T.G., consiglieri di maggioranza, si accordavano per proporre un certo numero di emendamenti in bianco che sarebbero stati riempiti di contenuto con i dati forniti dai funzionari-tecnici del bilancio in un momento successivo rispetto a quello della loro presentazione.

Alcuni rappresentanti della minoranza in Consiglio presentavano un esposto-denuncia agli Ufficiali di Polizia giudiziaria, a seguito del quale veniva avviato un procedimento penale a carico di A.G., A.R.R., G.V. e T.G., per falso ideologico in atto pubblico e per abuso d’ufficio, che si concludeva con la sentenza di assoluzione n. 1450 del 15/07/2010 della Corte di Cassazione, 5^ sez. pen..

A.G., A.R.R., G.V. e T.G. chiedevano, essendo stati assolti, al Comune di Milano il pagamento dei compensi professionali dovuti ai rispettivi difensori. Il Comune di Milano con lettere datate 31/10/2011 comunicava loro il mancato accoglimento della richiesta e non dava seguito alla successiva intimazione di pagamento; pertanto, veniva convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, il quale, con sentenza n. 13633/2013, respingeva la domanda degli attori che venivano condannati a rifondere le spese di lite al convenuto.

La Corte d’Appello di Milano, dinanzi a cui il provvedimento di prime cure veniva impugnato, con sentenza n. 3913/2016, depositata il 20/10/2016, confermava integralmente la decisione del Tribunale e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

A.G. propone ricorso per la cassazione della decisione della Corte d’Appello di Milano n. 3913/2016, formulando due motivi.

Nessuna attività difensiva è svolta dal Comune di Milano.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Il primo motivo – p. 8 – (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente, premesso di non aver mai sottoscritto alcun emendamento e di essere stato rinviato a giudizio per supposto concorso morale, lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. In particolare, deduce che il documento rappresentativo degli emendamenti non poteva considerarsi definitivamente formato prima della scadenza del termine di presentazione e che tale termine, fissato dall’art. 39 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Consiglio Comunale di Milano, in quello della “chiusura della discussione sull’argomento”, non era ancora scaduto, per cui i consiglieri comunali avrebbero potuto legittimamente riempire di contenuto i moduli di emendamento sottoscritti in bianco, se non fosse stato loro impedito dalla minoranza. Essendo la formulazione di schemi attività preparatoria rispetto alla presentazione degli emendamenti veri e propri, il ricorrente ritiene che tale attività avrebbe dovuto intendersi quale prodromica all’adempimento dei compiti istituzionali dei consiglieri comunali.

2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 2 e art. 59, comma 2, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Consiglio Comunale di Milano.

Il ricorrente deduce che l’art. 59 del Regolamento non vieta ai consiglieri di presentare emendamenti prima della chiusura della discussione, tant’è che è previsto che il Presidente del Consiglio comunale visti gli emendamenti in ordine cronologico e ne curi la distribuzione ai Consiglieri prima della seduta. Pertanto, la Corte d’Appello quando – ritenuti irrilevanti tanto i motivi che avevano indotto i consiglieri della maggioranza a sottoscrivere emendamenti in bianco quanto le circostanze che ne avevano determinato l’assoluzione in sede penale – ha escluso che la sottoscrizione di emendamenti in bianco potesse ricondursi alla normale dialettica democratica, avrebbe errato. Ed avrebbe continuato ad errare allorchè, in relazione alla presentazione di emendamenti incompiuti e “pertanto non riferibili ad obblighi direttamente connessi allo svolgimento dei compiti inerenti la carica rivestita”, aveva escluso che i consiglieri comunali avessero diritto, ai sensi dell’art. 32 del Regolamento, alla rifusione delle spese legali, ritenendo che l’attività svolta non rientrasse all’interno del rapporto di mandato. Le ragioni di tale errore sarebbero da ravvisarsi nel fatto che l’art. 32 del Regolamento, a differenza dell’art. 1720 c.c., comma 2, non riconosce il diritto al rimborso delle spese legali “aventi causa nel mandato”, ma riconosce tale rimborso per la semplice apertura di un procedimento civile, penale o contabile, conclusosi con un proscioglimento, per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del mandato.

La censura del ricorrente si sostanzia: a) nella reiterazione della tesi che i consiglieri avessero la facoltà di presentare emendamenti anche in bianco ed incompleti; b) nell’apodittica affermazione che “è certo che gli amministratori… abbiano agito nell’interesse esclusivo dell’amministrazione” e in quella secondo cui “non vi è dubbio che la vicenda da cui scaturì il processo penale appare manifestamente connessa all’espletamento dei compiti istituzionali dei consiglieri comunali in genere e di maggioranza nello specifico, nonchè del sindaco”; c) nel rinvio alla sentenza di assoluzione dal reato di falso ideologico, (di cui, però, non ha dimostrato la conferenza e la decisività, nè ha fornito una sintesi funzionale).

3) Il ricorso può decidersi sulla base di quest’ultimo motivo, rispetto al quale assume carattere assorbente la prospettazione relativa alla asserita violazione dell’art. 32 del Regolamento. Tale disposizione, relativamente al diritto alla rifusione delle spese di giudizio affrontate da un consigliere, prevede che i fatti e gli atti per cui si è aperta la controversia che le ha determinate debbano essere connessi all’espletamento del mandato.

Mette conto partire dall’osservazione che l’espressione “connessi all’espletamento del mandato” implica il diritto del consigliere comunale di essere tenuto indenne dal pagamento delle spese legali affrontate per difendersi in un processo iniziato per fatti rientranti nello svolgimento dell’incarico istituzionale.

Il perimetro dell’incarico istituzionale deve essere ricostruito sulla scorta dei seguenti principi:

– il rapporto tra l’ente locale e i suoi amministratori è assimilabile ad un mandato onorario (per Cass., Sez. un., 13/01/2006, n. 479), atteso che il consigliere è la persona fisica che presta la propria opera per conto dell’ente pubblico non a titolo di lavoro subordinato, come il pubblico impiegato, bensì quale rappresentante politico, ossia a titolo onorario;

– il Consiglio di Stato ha assimilato il sindaco (e gli assessori) al mandatario (Cons. Stato, Sez. 5, 14/04/2000 n. 2242; Cons. Stato, Sez. 3, 16/03/2004 n. 792).

L’evocazione del mandato implica l’applicazione dell’art. 1720 c.c., ai sensi del quale “il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali, dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta. Il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico”.

Nell’interpretazione di tale disposizione le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. un., 14/12/1994, n. 10680) hanno osservato che il rimborso ivi previsto concerne soltanto le spese sostenute dal mandatario in stretta dipendenza dall’adempimento dei propri obblighi. Più esattamente esso si riferisce “alle sole spese effettuate per espletamento di attività che il mandante ha il potere di esigere. Perciò il Legislatore del 1942 ha sostituito l’espressione “a causa” all’espressione “in occasione dell’incarico”, contenuta nell’art. 1754 c.c.. 1865. Esso si è così riferito a spese che, per la loro natura, si collegano necessariamente all’esecuzione dell’incarico conferito, nel senso che rappresentino il rischio inerente all’esecuzione dell’incarico; la stessa decisione impone di distinguere “fra atti compiuti dall’amministratore, e immediatamente necessari al perseguimento del detto scopo, ed atti che con lo scopo medesimo si pongono solo in legame di occasionalità”.

In seguito è stato ribadito che:

– la necessità di effettuare le spese di difesa, alla cui rifusione si ha diritto, implica un nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato: Cass. 16/04/2008, n. 10052;

– dette spese devono rappresentare il rischio inerente all’esecuzione dell’incarico (Cass. 09/03/2012, n. 3737).

Se ne deduce che la Corte d’Appello, con una motivazione logica ed intellegibile, ha fatto coerente applicazione dei suddetti principi. E il ricorrente non ha nè efficacemente nè specificamente dimostrato che l’attività che aveva dato luogo alla controversia penale fosse in nesso di relazione necessaria con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali o che la controversia penale integrasse gli estremi del rischio inerente all’esecuzione dell’incarico (il mandatario che agisce in giudizio per il recupero delle spese e degli esborsi sopportati per l’esecuzione dell’incarico deve fornire la dimostrazione dei fatti che ne costituiscono il fondamento: Cass. 03/11/1984, n. 5573; Cass. 30/03/2006, n. 7498).

Tutte le argomentazioni del ricorrente hanno teso a dimostrare che gli emendamenti potevano essere presentati anche prima e durante la discussione e che anche un emendamento in bianco poteva considerarsi strumentale al confronto democratico; l’apparato argomentativo è del tutto carente in ordine alla prova che la presentazione di tali emendamenti, che aveva dichiaratamente lo scopo di provocare la decadenza, ai sensi dell’art. 61 del Regolamento, delle numerose proposte di modifica del bilancio che la minoranza in consiglio si accingeva a presentare, fosse poi riconducibile allo svolgimento dell’attività istituzionale di sindaco del Comune di Milano e non rappresentasse, invece, che una tecnica antiostruzionistica finalizzata a favorire i disegni politici della maggioranza partitica di cui l’attuale ricorrente faceva parte.

Non risultando affatto confutato che lo svolgimento del servizio istituzionale avesse costituito non la causa esclusiva, ma semmai solo la mera “occasione” per il compimento degli atti che hanno danno origine al procedimento di responsabilità, non vi sono ragioni per censurare l’applicazione che dell’art. 32 del Regolamento del Consiglio comunale di Milano ha fatto la Corte territoriale.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso.

5. Non è necessario provvedere alla liquidazione delle spese, non avendo il Comune di Milano svolto attività difensiva.

6. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2019

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