Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15567 del 27/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 27/07/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 27/07/2016), n.15567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15702/2011 R.G. proposto da:

INFOMOBILITY S.R.L., in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Mario A. Inzillo del Foro

di Cosenza ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Valadier, 39,

presso lo studio dell’Avv. Francesco Precenzano, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Calabria, n. 92/06/2010, depositata 23/04/2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25

maggio 2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente l’Avv. Mario Inzillo;

udito per la controricorrente l’Avvocato dello Stato Barbara Tidore;

udito il P.M., In persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CUOMO Luigi, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Infomobility S.r.l. propone ricorso per cassazione, con due mezzi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello proposto dall’ufficio e in riforma della sentenza di primo grado, è stato dichiarato legittimo l’avviso di recupero del credito d’imposta previsto dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 per nuovi investimenti in aree svantaggiate, ad essa notificato a causa dell’omesso invio del c.d. modello CVS. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia sulle eccezioni dl inammissibilità dell’appello e di intervenuto giudicato interno, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Deduce inoltre violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Rileva in premessa che:

1) il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso di essa contribuente avendo ritenuto che la norma di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. a) (che fa obbligo ai “soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo anteriormente alla data dell’8 luglio 2002” di comunicare all’Agenzia delle entrate, “a pena di decadenza dal contributo conseguito automaticamente, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti rateizzati”), andasse disapplicata poichè in contrasto con la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 2, avendo posto a carico dei contribuenti un adempimento (la comunicazione di dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati) entro una data (28/2/2003) anteriore al 600 giorno dalla sua entrata in vigore e dalla adozione del provvedimento di attuazione;

2) con il proposto appello l’Agenzia delle entrate muoveva dalla premessa che la C.T.P. avesse accolto il ricorso della contribuente in ragione della ritenuta irretroattività, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3 dell’obbligo di trasmissione telematica del modello CVS e ne deduceva l’infondatezza anche alla luce della ordinanza della Corte costituzionale n. 124 del 24/3/2006 che, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. a) sollevata con riferimento agli artt. 3, 23, 25, 53 e 97 Cost., aveva tra l’altro escluso la violazione del principio di irretroattività;

3) con le proposte controdeduzioni la società appellata aveva evidenziato che, con tale motivo di gravame, l’ufficio, da un lato, postulava una ratio decidendi in realtà non contenuta nella sentenza impugnata e, dall’altro, lasciava immune da censure il diverso effettivo fondamento motivazionale rappresentato dalla ritenuta necessità di disapplicare la detta norma impositiva dell’obbligo di comunicazione in quanto in contrasto con la norma, ritenuta di rango “sostanzialmente superiore”, contenuta nella L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 2 conseguentemente eccependo l’inammissibilità dell’appello in quanto inconferente e aspecifico.

Ciò premesso la ricorrente eccepisce, con il primo gruppo di doglianze, vizio di omessa pronuncia circa l’eccepita esistenza di un giudicato interno sulla detta effettiva ratio decidendi della sentenza di primo grado, nonchè sulla pure opposta eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto non sorretto da motivi specifici di impugnazione; con ulteriore e separata doglianza eccepisce altresì violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, per aver omesso il giudice a quo di rilevare l’inammissibilità dell’appello in quanto non supportato da specifici motivi.

3. Con il secondo motivo deduce ancora “violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su tutta la domanda, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Premesso che a fondamento del ricorso introduttivo essa contribuente aveva eccepito altresì la decadenza dell’ufficio dal potere di accertare e riscuotere le imposte ritenute non compensabili con il credito d’imposta di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 per essere decorsi i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis e 36-ter e aveva, inoltre, in subordine, chiesto dichiararsi non dovute le sanzioni irrogate e gli interessi applicati, per l’esimente prevista dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 2; che tali eccezioni, rimaste assorbite all’esito del giudizio di primo grado per l’integrale accoglimento del ricorso per la diversa ragione sopra indicata, erano state riproposte in appello con le controdeduzioni depositate avverso il gravame proposto dall’ufficio; ciò premesso, lamenta la ricorrente che su di esse il giudice regionale ha totalmente omesso di pronunciarsi.

4. E’ infondato il primo motivo di ricorso.

4.1. Occorre anzitutto evidenziare che la C.T.R. prospetta esplicitamente, nella parte narrativa, l’eccezione di inammissibilità dell’appello per essere lo stesso riferito a “motivi di diritto mai enunciati dal giudice di prima istanza”, ciò di per sè smentendo l’assunto che tale eccezione non sia stata considerata, al di là della compiutezza ed esaustività delle argomentazioni al riguardo svolte nella parte motiva, censurabili se del caso sotto altri profili.

In ogni caso appare sul punto assorbente il rilievo per cui, secondo pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in tal senso Cass., Sez. 1, n. 5351 del 08/03/2007, Rv. 595288, in un caso in cui la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame): nel caso di specie l’accoglimento da parte della C.T.R. del gravame proposto dall’ufficio implica evidentemente il rigetto sia dell’eccezione di giudicato interno, sia dell’eccepita inammissibilità per carenza di specifici motivi di gravame.

4.2. Non sussiste poi la dedotta violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53.

Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con indirizzo cui si intende qui dare continuità, il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti dl causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che, in primo grado, le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e/o che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per sè sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello; parimenti, a norma dell’art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, derivandone che non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali però appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, e come tali comprese nel thema decidendum (v. Cass., Sez. 2, Ord. n. 7789 del 05/04/2011, Rv. 617414; v. anche Sez. 1, n. 1377 del 26/01/2016, Rv. 638411).

Nel caso di specie del tutto legittimamente la C.T.R. ha confermato la legittimità dell’operato dell’ufficio in ragione del fondamentale rilievo della diretta operatività, anche nei confronti della odierna contribuente, della norma di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. a) che – come già sopra s’e ricordato – fa obbligo ai “soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo anteriormente alla data dell’a luglio 2002” di comunicare all’Agenzia delle entrate, antro il 28 febbraio 2003, “a pena di decadenza dal contributo conseguito automaticamente, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti rateizzati”.

Tale operatività era stata esclusa dal giudice di primo grado poichè risolventesi nella imposizione di un adempimento con scadenza anteriore al sessantesimo giorno dalla sua entrata in vigore (e dunque per contrasto con la norma, anch’essa di rango ordinarlo ma ritenuta prevalente di cui all’art. 3, comma 2, st. contr., a mente del quale “in ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti”).

Con il proposto gravame l’Agenzia ha di contro eccepito la piena operatività della detta norma, sebbene argomentando su profilo – la supposta violazione del principio di irretroattività – in realtà estraneo al ragionamento del primo giudice (e anzi dallo stesso esplicitamente negato).

Trattasi però con ogni evidenza di mero aspetto argomentativo secondario rispetto al tema oggetto di contestazione (l’operatività o meno della norma surrichiamata nel caso in esame) la cui inesatta focalizzazione non esclude tuttavia – alla stregua del richiamato principio – che con il proposto gravame la C.T.R. debba ritenersi validamente investita di tale questione di fondo, afferendo poi detto profilo argomentativo, così come l’altro in realtà utilizzato dal primo giudice, a mere questioni di diritto ossia ai profili esegetici e applicativi agitati dal medesimo tema e, dunque, alla interpretazione delle norme che il giudice può e deve comunque ex sè compiere, quale compito a lui riservato, per dare ad essa soluzione.

4.3. Nè può dubitarsi (può incidentalmente osservarsi, trattandosi di tema non implicato dai motivi di ricorso) che la sentenza impugnata, nel ribaltare la decisione di primo grado, abbia dato conto anche della infondatezza del ragionamento sul punto seguito dal primo giudice, al riguardo potendosi considerare diretto – oltre che certamente sufficiente – l’esplicito richiamo al precedente di Cass., Sez. 5, n. 19627 del 2009.

In questo invero si è specificamente chiarito che, in tema di contributi concessi sotto forma di credito d’imposta L. 23 dicembre 2000, n. 388, ex art. 8 per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate, l’inosservanza del termine – inizialmente Individuato nel 31 gennaio 2003 dal D.L. 12 novembre 2002, n. 253, art. 1, comma 1, lett. a), n. 2, e poi definitivamente fissato al 28 febbraio 2003 dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. a), – entro il quale i soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo anteriormente alla data dell’8 luglio 2002 devono comunicare all’Agenzia delle entrate i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati, nonchè quelli ulteriori eventualmente stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, comporta la decadenza dal beneficio.

In detta sentenza si è infatti precisato che non può attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che il provvedimento del Direttore sia stato emesso in data tale da non consentire al contribuente di disporre, rispetto alla predetta scadenza, del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 3, comma 2, dello Statuto del contribuente per le norme che introducono adempimenti tributari, in quanto il contribuente è stato posto nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità della scadenza del termine per adempiere il suo onere di comunicazione fin dal 13 novembre 2002, data di pubblicazione del D.L. n. 253 del 2002 (i cui effetti sono stati fatti espressamente salvi dalla L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 7, seconda parte) ed il predetto termine è di fonte Immediatamente legale, non superabile con una diversa previsione temporale di natura amministrativa.

5. Anche il secondo motivo è infondato.

Questa Corte, con consolidato orientamento interpretativo, ha infatti escluso la configurabilità dell’omessa pronuncia quando, nonostante la mancanza di una specifica, espressa argomentazione su una tesi difensiva o un’eccezione, la decisione adottata dal giudice risulti in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte e ne abbia comportato il suo rigetto o assorbimento, ovvero, come nel caso di specie, il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico-giuridica con la quale venga accolta una tesi Incompatibile con la domanda (Cass. 15882/2007). Orbene l’accoglimento dell’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate ha necessariamente comportato la reiezione di tutti i motivi di Impugnazione dell’atto impositivo, dovendo ritenersi per implicito disattese tutte le censure che, seppure non espressamente esaminate, siano incompatibili con la soluzione adottata e l’iter argomentativo seguito (Cass., Sez. 5, n. 27310 del 23/12/2014; Sez. 3, n. 407 del 12/01/2006, Rv. 587113).

6. Il ricorso della contribuente va dunque respinto, con la conseguente condanna della stessa al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.100, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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