Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15566 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. I, 14/07/2011, (ud. 06/06/2011, dep. 14/07/2011), n.15566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19619/2009 proposto da:

R.C.F.V. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIPPO TAMBURRI 1, presso

l’avvocato ANNA CLAUDIA SALLUZZO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MAGNANO DI SAN LIO Rosario, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M.F. (c.f. (OMISSIS));

– intimata –

avverso la sentenza n. 575/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA

depositata il 04/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Su ricorso della sig.ra F.M.F. il tribunale di Catania, con sentenza del novembre 2006, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto nel luglio 1993 con il sig. R.C.F.V., dal quale era nato il figlio, ancora minore, G.. Il tribunale affidava il figlio a entrambi i genitori, disponendone il collocamento presso la madre, ponendo a carico del R. un assegno quale contributo al suo mantenimento di Euro 500,00 mensili. Il sig. R. impugnava la sentenza chiedendo l’affidamento esclusivo a sè del figlio minore, ponendo a carico della madre un contributo di Euro 1.500,00 mensili;

in via subordinata l’affidamento ad entrambi con il collocamento del minore presso di sè, ponendosi a carico della madre un assegno di Euro 750,00 mensili quale contributo al suo mantenimento; in via ancora più subordinata l’affidamento del figlio ad entrambi con ripartizione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore;

chiedeva inoltre l’ammonimento della ex moglie e la sua condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c.. La sig. F. proponeva appello incidentale, chiedendo l’affidamento esclusivo del minore e un assegno quale contributo al suo mantenimento non inferiore ad Euro 1000,00 mensili. La Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermava l’affidamento del minore a entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, dettando disposizioni specifiche per l’esercizio della potestà genitoriale, aumentava ad Euro 1000,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie, l’assegno a carico del padre per il mantenimento del figlio e rigettava le domande proposte ex art. 709 ter c.p.c.. Il sig. R., con ricorso notificato alla controparte in data 4 agosto 2009, ha proposto quattro motivi di gravame. La parte intimata non ha depositato difese. Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Il collegio delibera che si dia luogo a motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 155 cod. civ., deducendosi che la Corte d’appello avrebbe errato nell’aumentare il contributo per il mantenimento del figlio minore a carico del ricorrente, non tenendo conto del nuovo testo dell’art. 155 cod. civ., come modificato dalla L. n. 54 del 2006, il quale prevede che “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”. Nel caso di specie mentre esso ricorrente, invitato dalla Corte d’appello, aveva prodotto le dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2006, 2007 e 2008, la controparte non aveva ottemperato al relativo ordine, cosicchè la Corte d’appello, pur dovendo quantificare l’assegno in proporzione dei redditi di ciascun genitore, aveva aumentato l’assegno senza tenere conto dei redditi attuali della madre del minore.

Si formula in proposito il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se è vero che, in ossequio alla norma di cui all’art. 155 cod. civ., il giudice del merito debba valutare, al fine di disporre l’assegno ed al fine di stabilirne la misura, le reali capacità reddituali delle parti e se tale valutazione debba essere operata con riferimento a criteri concreti e omogenei, quali le dichiarazioni fiscali relative ai medesimi periodi, nonchè in riferimento al tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori”.

1.2. Va premesso che la motivazione della sentenza, dopo avere stabilito il collocamento del figlio presso la madre, con tempi di soggiorno presso il padre molto limitati, subordinati nelle modalità a taluni adempimenti logistici che consentissero al minore autonomia e riservatezza quando dormisse presso di lui, si fonda, in relazione alla quantificazione dell’assegno, su una “ratio decidendi” composita, che ha preso in considerazione l’attività lavorativa di ciascun genitore (il padre odontoiatra e la madre medico di base specializzata in neuropsichiatria infantile); il reddito di circa 60.000,00 Euro annui netti percepito dalla madre nel 2004, la circostanza che essa abiti e sia proprietaria di una villa in (OMISSIS), l’acquisto, da parte sua, di un appartamento in (OMISSIS) al prezzo di 130.00,00 Euro con la contrazione di un mutuo di 100.000,00 Euro; i redditi dichiarati dal padre nel 2006 e nel 2007, argomentandone una ben più ampia percezione in relazione alla sua professione ed al presumibile avviamento operando nello stesso settore del padre (medico dentista anch’egli) e ad un accertamento della Guardia di Finanza del 1999; all’acquisto al figlio di una minicar. Sulla base di tali elementi, pur ritenendo, maggiore il reddito della madre rispetto a quello del padre, tenuto conto delle disponibilità di quest’ultimo, del contesto sociale di appartenenza del minore, delle sue abitudini di vita, dell’elevato standard che la famiglia avrebbe avuto in base alle sostanze di entrambi i coniugi, nonchè del maggior impegno della madre con la quale il figlio convive, la sentenza – con valutazione di competenza del giudice di merito – ha quantificato l’assegno a carico del padre in Euro mille mensili.

Secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, in relazione al vizio di violazione di legge l’art. 366 bis c.p.c., prescrive che il motivo si concluda con un quesito che ha la funzione d’indicare direttamente alla Corte l’errore di diritto asseritamente commesso dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (ex multis Cass. 7 aprile 2009, n. 8463). Quesito che deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto rilevanti; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (ex multis Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Nel caso di specie il quesito formulato in relazione al primo motivo non appare idoneo a censurare adeguatamente la decisione impugnata, presentando un carattere di astrattezza che non lo rende compiutamente collegabile con la sua complessiva “ratio decidendi”.

Ne consegue l’inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

2. Con il secondo motivo si denuncia “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo”, costituito dal riferimento nella motivazione ad un accertamento compiuto a carico del ricorrente dalla Guardia di Finanza nel 1999, dal quale risulterebbe evasore totale, circostanza accertata come non vera da sentenza penale passata in giudicato e prodotta in giudizio. Il motivo si conclude deducendosi che “ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorrente dichiara che ai fini della capacità reddituale del ricorrente la sentenza impugnata è contraddittoria laddove indica a sostegno gli accertamenti preliminari della Guardia di Finanza e non la sentenza di assoluzione piena che conclude il procedimento iniziato a seguito degli indicati accertamenti”.

Anche tale motivo è inammissibile essendo il vizio motivazionale con esso prospettato privo sia di puntuale riferimento a documentazione che si afferma, senza specifica indicazione, come prodotta, sia del requisito della decisorietà, non costituendo il fatto dedotto elemento centrale, bensì del tutto marginale, della “ratio decidendi” della sentenza impugnata.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 155 cod. civ., comma 4, per non avere la Corte di merito valutato l’aumento del tempo di permanenza del minore presso il padre da essa stabilito, che avrebbe dovuto comportare una diminuzione dell’assegno stabilito in primo grado. In proposito si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se viola l’art. 155 cod. civ., comma 4, n. 3, la sentenza del giudice di merito che, nella determinazione della misura dell’assegno, non tenga conto dell’incremento dei tempi di permanenza del minore presso il genitore onerato dell’assegno”.

Il motivo è infondato, avendo in concreto la Corte stabilito l’assegno tenendo conto della situazione economica dei genitori e delle esigenze del minore e avendone motivato la quantificazione su base annua, con ripartizione mensile, ritenendo in relazione all’importo stabilito ininfluenti le modalità di visita e di soggiorno presso il genitore non collocatario.

4. Con il quarto motivo s’impugna, in riferimento all’art. 91 c.p.c., il capo della sentenza relativo alle spese. Si formula al riguardo il seguente quesito: “Dica la Corte se all’accoglimento, anche parziale, dell’impugnazione, possa seguire una totale condanna alle spese dell’appellante”.

Il motivo va rigettato, avendo la Corte d’appello fatto esatta applicazione del principio della soccombenza complessiva ed utilizzato, con discrezionalità incensurabile in questa sede, i suoi poteri di compensazione in relazione all’intero giudizio. Essa, infatti, ha statuito non solo sull’appello dell’odierno ricorrente, ma anche su quello incidentale della controparte e su due subprocedimenti ex art. 709 ter c.p.c., compensando le spese di primo grado e dei due subprocedimenti, ponendo a carico di entrambe le parti quelle della CTU effettuata, e a carico dell’odierno ricorrente,, in forza del principio della soccombenza complessiva, le spese del giudizio d’appello.

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese non avendo la parte intimata depositato difese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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