Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15565 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/06/2017, (ud. 23/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16097/2016 proposto da:

L.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

126, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DI GIORGIO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.2685/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/05/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.E. ricorre, su tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento, emessi a seguito di indagini bancarie e relativi agli anni di imposta 2006 e 2007, ne aveva rigettato l’appello, confermando la decisione di primo grado di rigetto del ricorso.

In particolare, il Giudice di appello riteneva che la contribuente non avesse fornito idonei chiarimenti rispetto alle rilevanti movimentazioni bancarie.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi – con i quali si lamentano violazioni di legge con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, in relazione al principio di cui all’art. 53 Cost. – trattati congiuntamente, sono infondati.

1.1. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, questa Corte è ferma nel ritenere che “qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (cfr. tra le tante Cass. n. 18081 del 04/08/2010). Si è, anche, precisato (Cass. n. 19692 del 27/09/2011) che i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, poichè questa previsione e quella di cui all’art. 38 del medesimo D.P.R. hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano.

In ordine poi al tipo di prova che il contribuente ha l’onere di fornire al fine di vincere la presunzione legale di cui al citato art. 32, è sì ammesso anche il ricorso alle presunzioni semplici ma le stesse devono essere sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. 22502/2011 richiamata da Cass. 4585/15).

1.2. Nella specie, i Giudici di merito si sono uniformati ai principi sopra illustrati, ribadendo che, a fronte delle movimentazioni bancarie, la contribuente non avesse fornito idonee giustificazioni (con accertamento in fatto rimasto incontrastato).

2. Il terzo motivo – con il quale si deduce la nullità della sentenza per l’espresso inserimento nell’avviso di accertamento di operazioni bancarie in inferiori ad Euro 3.000, pur essendo tali operazioni non soggette ad alcun obbligo di comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate – è inammissibile laddove, in mancanza di alcuna indicazione sul punto in ricorso, il mezzo pur individuando e riportando l’argomentazione svolta dalla Commissione regionale ed oggetto di censura, non esplica in alcun modo il vizio in cui sarebbe incorso il Giudice di appello.

3. Conclusivamente, pertanto, il ricorso va rigettato con la condanna della ricorrente, soccombente, alle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 4.000,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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