Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15563 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 14/05/2010, dep. 30/06/2010), n.15563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Comune di Brenzone, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato

e difeso come da procura alle liti a margine del ricorso

dall’Avvocato prof. Sanino Mario, elettivamente domiciliato presso

il suo studio in Roma, v.le Parioli n. 80.

– ricorrente –

contro

Alto Garda s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 35/21/05 della Commissione tributaria

regionale del Veneto, Sezione distaccata di Verona, depositata il 19

maggio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 14

maggio 2010 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MATERA Marcello, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato a mezzo del servizio postale consegnato all’ufficiale giudiziario il 4 maggio 2006, il Comune di Brenzone ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 35/21/05 della Commissione tributaria regionale del Veneto. Sezione distaccata di Verona, depositata il 19 maggio 2005, che aveva respinto il suo appello per la riforma della pronuncia di primo grado che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla s.r.l. Alto Garda per l’annullamento degli avvisi di accertamento con cui il Comune, rettificando il valore di un suo terreno, le aveva chiesto il pagamento di un maggior importo a titolo di ici per le annualità dal 1995 al 1997, avendo ritenuto il giudice di secondo grado che il Comune non avesse fornito la prova in concreto della effettiva edificabilità del terreno e quindi del valore dell’immobile superiore a quello dichiarato dalla contribuente.

La società intimata non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 5, e della L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11 quaterdecies, comma 16, in relazione alla L. n. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 ed all’art. 2797 c.c.” censurando la sentenza impugnata per avere respinto le ragioni del Comune sulla base dell’errata premessa della mancata prova della “effettiva edificabilità … dell’immobile”, in violazione del criterio legale, confermato dalla norma interpretativa di cui alla L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11 quaterdecies, comma 6 secondo cui, ai fini dell’Ici, è area suscettibile di utilizzazione edificatoria quella come tale qualificata dallo strumento urbanistico generale, anche in assenza di strumenti attuativi. Sotto altro profilo il mezzo lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia male applicato il principio dell’onere della prova, rigettando l’appello del Comune in forza della considerazione che esso non avrebbe dato prova dell’effettivo valore del bene, senza valutare che l’ente impositore aveva assolto pienamente al proprio onere probatorio indicando negli avvisi l’aliquota di imposta, la destinazione urbanistica dell’area, il valore dichiarato del contribuente e quello venale determinato per zone territoriali omogenee sulla scorta di una relazione dell’Ufficio tecnico, redatta all’esito di adeguata istruttoria, sicchè spettava semmai al contribuente dimostrare che l’incongruità dei criteri di valutazione utilizzati dall’Amministrazione.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata invero non smentisce l’assunto del Comune che il terreno tassato era inserito nel Piano regolatore generale tra le aree edificabili, ma assume, al riguardo, che non è stata fornita alcuna prova della effettiva edificabilità dello stesso, nella implicita premessa che il terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, a mente del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), sia soltanto l’area in cui sia possibile costruire immediatamente in forza degli strumenti urbanistici particolari e di attuazione.

Tanto precisato, la soluzione accolta dalla Commissione tributaria regionale si pone in evidente discordanza con l’orientamento di questa Corte ribadito dalla sentenza a Sezioni unite n. 25506 del 2006, che, risolvendo un contrasto interno alla Sezione, ha disatteso la tesi secondo cui ai fini della sussistenza del requisito di edificabilità siano necessari anche gli strumenti urbanistici attuativi, in grado di consentire la possibilità concreta ed effettiva di costruire.

In particolare, la menzionata decisione, che il Collegio pienamente condivide, ha affermato il principio secondo cui in tema di ici, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi; l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius aedificandi o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione.

L’affermazione sul punto fatta propria dalla Commissione regionale non può, pertanto, essere condivisa.

Il motivo proposto dal Comune è altresì fondato anche per la parte che investe l’argomentazione della decisione di secondo grado che ha ritenuto fondale le ragioni della società contribuente sulla base del rilievo che l’Amministrazione non avesse fornito la prova che l’immobile aveva l’effettivo valore da essa attribuitogli, diverso da quello indicato dalla controparte. Questa conclusione si impone, in particolare, sia laddove tale soluzione svenga fatta discendere, come conseguenza diretta, dalla precedente affermazione circa la natura non edificatoria del terreno – nel qual caso trova confutazione ne mancato accoglimento della premessa maggiore – che nel caso in cui essa venga intesa, come in effetti sembra dalla lettura della sentenza, come argomentazione ulteriore ed indipendente da essa.

L’affermazione del giudice territoriale non può essere condivisa nella sua assolutezza, una volta considerato che, come dedotto dalla difesa del Comune, gli avvisi di accertamento impugnati indicavano l’aliquota di imposta, la destinazione urbanistica dell’area, il valore dichiarato del contribuente e quello venale determinato per zone territoriali omogenee sulla scorta di una relazione dell’Ufficio tecnico comunale, e che il Comune stesso aveva chiesto nel corso del giudizio che fosse disposta una consulenza tecnica d’ufficio ai fini della stima del terreno. La motivazione degli atti impositivi, diversamente da quanto anche questa volta ritenuto dal giudice a qua, appariva pertanto sostanzialmente in linea con la prescrizione del D.Lgs. n. 504 del 1092, art. 5, comma 5, laddove essa prevede che per le aree fabbricabili il valore è costituito da quello in comune commercio, avendo riguardo, tra l’altro, alla zona di ubicazione, all’indice di edificabilità e alla destinazione d’uso consentita, nonchè ai prezzi medi rilevati sul mercato aventi analoghe caratteristiche.

Tanto precisato, la conclusione fatta propria dal giudice territoriale non appare rispondente alle regole ed ai principi che debbono sovrintendere la valutazione dell’onere della prova nei casi di specie, apprezzamento che avrebbe dovuto essere condotto tenendo conio, da un lato, della serietà e concretezza delle indicazioni che il Comune aveva indicato a sostegno della propria pretesa e, dall’altro, delle contestazioni svolte dalla contribuente al fine di evidenziare l’erroneità della stima, da valutarsi, a loro volta, in termini di specificità e concretezza, ricorrendo, nei casi di incertezza, ai poteri di indagine officiosi rimessi al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Anche per queste ragioni il motivo va pertanto accolto.

Il secondo motivo di ricorso, che denunzia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, e/o insufficiente èo contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia concernente il diniego di nomina di CTU”, si dichiara assorbito dalle precedenti considerazioni.

In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto, che si atterrà, nel decidere, ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

 

 

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