Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15551 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/06/2017, (ud. 12/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16393-2016 proposto da:

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROCCO ANTONIO ALFONSO

CASSANDRO;

– ricorrente –

contro

N.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PRATI

FISCALI 255, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO LA MARCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUIDO BRIZZI;

– controricorrente –

nonchè contro

(OMISSIS), E.M.M., G.F., GA.RO.,

B.A., E.R., Z.E.,

E.C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4998/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.O. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in unico motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c.), avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 4998/2015 del 29 dicembre 2015.

Resiste con controricorso N.G.A., mentre rimangono intimati, senza svolgere attività difensiva, il (OMISSIS), E.M.M., G.F., B.A., E.C.M., Ga.Ro., E.R. ed Z.E..

La sentenza impugnata, pronunciando sull’appello proposto dallo stesso C.O., ha dichiarato la validità della deliberazione dell’assemblea 2 ottobre 1985 del (OMISSIS), nella parte in cui regolava l’utilizzo del cortile condominiale a parcheggio di veicoli in modo da lasciare libero uno spazio di sei metri nell’area antistante le unità immobiliari di proprietà C. ed uno spazio di tre metri di larghezza nell’area del cortile di accesso a tali unità.

L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di Milano omesso di pronunciarsi sulla domanda, proposta altresì nei confronti di N.G.A., di condanna alla rimozione delle autovetture e di ogni ostacolo all’accesso, anche con veicoli a motore, ai box di proprietà di C.O., nonchè di inibizione per il futuro da tali condotte.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., comma 2.

Va disattesa l’eccezione del controricorrente N.G. sulla inammissibilità della allegazione delle riproduzioni fotografiche sub B e G effettuata dal ricorrente, in quanto si tratta di documenti già prodotti dal C. nel fascicolo di primo grado sub 2, 18 e 24: il divieto di cui all’art. 372 c.p.c., di produrre nuovi documenti nel giudizio di cassazione – fatta eccezione per quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso – non riguarda, infatti, gli atti e i documenti già facenti parte del fascicolo d’ufficio o di parte di un precedente grado del processo.

Il ricorrente trascrive in ricorso stralci del suo atto d’appello per dimostrare di aver impugnato specificamente il passaggio della sentenza di primo grado che aveva affermato la mancanza di prova della responsabilità del convenuto N.G., sollecitando una rivalutazione dei documenti prodotti e ribadendo la richiesta di condanna di tutte le controparti a rimuovere le autovetture ed ogni altro ostacolo all’accesso ai propri box.

Ora, la Corte d’Appello di Milano, nella sua sentenza, dà atto che la citazione del 12 novembre 2007, formulata da C.O., contenesse, oltre che la domanda sull’invalidità della deliberazione assembleare del 1985 (la quale aveva regolamentato il diritto di parcheggio sull’area antistante le tre autorimesse di proprietà dell’attore), anche la domanda di condanna dei singoli condomini alla rimozione delle autovetture e di ogni altro ostacolo all’accesso a quelle autorimesse, nonchè al risarcimento dei danni. All’esito della sentenza resa in primo grado il 5 marzo 2013 dal Tribunale di Milano, C.O. aveva spiegato appello, chiedendo, come illustra la stessa Corte d’Appello, l'”accoglimento integrale delle domande da lui avanzate”. I giudici del gravame ritenevano nulla la deliberazione assembleare nella sola parte in cui pregiudicava i diritti dominicali esclusivi, e non anche laddove essa disciplinava l’uso delle cose comuni. Nel motivare ulteriormente, la Corte di Milano affermava che l’appello non potesse essere accolto “con riferimento alla domanda di condanna dei condomini succitati al risarcimento dei danni che il C. ha sostenuto siano derivati dalla lesione del proprio diritto di proprietà”, e ciò perchè (pagina 4 della sentenza) “manca del tutto la prova di quegli elementi, vale a dire l’estensione temporale della realizzazione delle condotte asseritamente lesive del diritto dominicale sopra menzionato, e l’individuazione dei relativi responsabili, i quali non potrebbero certo essere condannati in solido con altri per comportamenti da altri posto in essere, indispensabili per addivenire ad una quantificazione del dovuto”; ciò (pagina 5) “anche con riguardo alla posizione del N.G.”.

Va ritenuto che la causa intentata dal C., volta, fra l’altro, all’eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dai condomini convenuti con l’ostacolare l’accesso alle tre autorimesse private di sua proprietà, in quanto non accompagnata da una contestuale richiesta di declaratoria del diritto di proprietà e di accertamento negativo dei diritti vantati dai medesimi convenuti, desse luogo ad un’azione di responsabilità per fatto illecito, consistendo in una domanda del proprietario esclusivo con triplice petitum immediato, in quanto finalizzata a conseguire sia la rimozione della situazione lesiva posta in essere dai terzi convenuti, sia la inibizione degli stessi (ovvero l’ordine di astenersi in futuro dal ripetere tali atti lesivi), sia il risarcimento dei danni subiti alla pienezza e libertà del proprio godimento. Trattasi, pur nel contenuto complesso del provvedimento giudiziale invocato, di un’azione che ha comunque un’unica natura personale, e che va, cioè, proposta nei confronti degli autori dei fatti lesivi lamentati, non rivelando contenuti di realità.

Ciò significa che tanto la domanda risarcitoria, quanto l’ordine di rimozione e l’inibitoria a sostare con automezzi o a recare altri intralci sull’area di accesso ad una proprietà esclusiva, non implicano distinti ed autonomi accertamenti, e suppongono un ordine giudiziale da pronunciarsi comunque nei confronti di colui o di coloro che siano riconosciuti responsabili di dette turbative, sulla base di un comune apprezzamento della persistenza e, comunque, della frequenza delle condotte mantenute in passato, trattandosi di dichiarare pur sempre una responsabilità per fatto proprio (arg. da Cass. Sez. 2, 07/06/2002, n. 8261).

Ne consegue che, avendo la Corte d’Appello di Milano espressamente affermato, sia pure soltanto con riferimento alla domanda di condanna dei condomini convenuti al risarcimento dei danni, che mancasse “del tutto la prova” della “estensione temporale della realizzazione delle condotte asseritamente lesive del diritto dominicale sopra menzionato, e l’individuazione dei relativi responsabili”, “non permettendo gli atti, anche con riguardo alla posizione del N.G…. di attribuire a ciascuna delle controparti del C. delle condotte autonomamente atte ad una lesione del suo diritto dominicale”, essa, stante l’indicata comunanza dei profili, ha così implicitamente rigettato la pretesa dell’appellante anche con riguardo ai capi di domanda inerenti la condanna alla rimozione e l’inibizione.

Ad integrare, infatti, gli estremi del vizio di omessa pronuncia, come denunciato dal ricorrente, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della domanda fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti comunque incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. Nella specie, il difetto di prove di una responsabilità per fatto proprio conclamato dalla Corte d’Appello (per rigettare esplicitamente la pretesa risarcitoria) costituisce il necessario antecedente logico-giuridico che conduce alla infondatezza dei capi di domanda che il ricorrente intende trascurati. Essendo, piuttosto, ravvisabile un provvedimento, anche solo implicito, di rigetto delle domande di rimozione e di inibizione, la sentenza della Corte di Milano poteva essere denunciata sotto il diverso aspetto del vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il quale presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass. Sez. L, 21/07/2006, n. 16788; Cass. Sez. 2, 24/06/2005, n. 13649).

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente N.G.A. le spese del giudizio di cassazione, mentre non occorre provvedere al riguardo per gli altri intimati (OMISSIS), E.M.M., G.F., B.A., E.C.M., Ga.Ro., E.R. ed Z.E., che non hanno svolto difese.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente N.G.A. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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