Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15549 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/06/2017, (ud. 12/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11011-2016 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FUCINO 6,

presso lo studio dell’avvocato FRANCA MONTIROLI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO CARLO GOLDONI,

47, presso lo studio dell’avvocato ASCANIO PENSI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 438/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 26/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2017 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.L. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n. 438/2015 del 26 marzo 2015. La sentenza impugnata ha rigettato l’appello avverso la sentenza n. 586/2014 del Tribunale di Avezzano, che aveva respinto l’opposizione proposta dallo stesso M. avverso decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 8.521,27 relativo al contributo per spese di manutenzione straordinaria di rifacimento della facciata e del tetto, richiesto dal (OMISSIS) di (OMISSIS). Tanto il Tribunale che la Corte d’Appello hanno negato che l’opponente avesse fornito prova dell’eccepito pagamento, escludendo che valesse a tal fine la deliberazione assembleare del 18 marzo 2006 o la ricevuta di saldo del 6 giugno 2006. Trattasi, come spiega la Corte di L’Aquila, di documenti formati dallo stesso M., il quale, proprio per l’attività svolta come amministratore del Condominio (OMISSIS), era stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 640 c.p., in relazione ad attività fraudolente che gli avrebbero procurato un vantaggio economico non inferiore ad Euro 200.000,00, con riferimento alle modalità di tenuta della contabilità ed ai rapporti con le imprese esecutrici dei lavori di manutenzione. Dall’acquisita relazione della Guardia di Finanza e dalle dichiarazioni dell’ingegnere B.F. e di P.P., padre dell’amministratore dell’appaltatice Edil Maper, la Corte d’Appello ha ricavato la prova presuntiva che il M. non abbia mai versato le somme dovute al Condominio. Egualmente prive di rilevanza probatoria dell’avvenuto pagamento del credito intimato al M. sono state reputate dalla Corte di L’Aquila le delibere di approvazione dei bilanci.

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 1135 c.c., mentre il secondo motivo di ricorso censura l'”omesso esame circa un fatto deciso del giudizio”. Si fa presente che il M. sia stato assolto per prescrizione nel procedimento penale cui fa riferimento la Corte d’Appello nella sentenza impugnata e quindi si nega ogni significatività delle emergenze di quel giudizio. Si obietta che il Condominio non abbia mai dedotto la simulazione dei documenti esibiti per dimostrare il pagamento e si denuncia che non si sia tenuto conto della “mancata prova contraria di situazione debitoria del condominio, omessi pagamenti e reclami dei condomini, bilanci contestati ed impugnati o condanna di responsabilità all’amministratore in sede civile o penale”.

Resiste con controricorso il (OMISSIS)Lotto 75(OMISSIS) di (OMISSIS).

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., comma 2.

E’ infondata l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità per tardività del ricorso, formulata dal controricorrente: trova qui applicazione, ai fini del cosiddetto termine lungo di impugnazione, l’art. 327 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile antecedente alla riduzione del termine da un anno a sei mesi, introdotta dalla L. n. 69 del 2009 per i giudizi instaurati a decorrere dal 4 luglio 2009. La sentenza impugnata è stata pubblicata il 26 marzo 2015, e perciò il termine ex art. 327 c.p.c., scadeva il 26 aprile 2016, data in cui è stato consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario e che perciò costituisce il momento di perfezionamento per il notificante ai fini della tempestività dell’impugnazione.

I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione.

Le censure difettano dei necessari caratteri di tassatività e specificità, ed infatti i vizi che denunciano neppure rientrano nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., risolvendosi in una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati.

E’ comunque inammissibile, innanzitutto, la censura che andrebbe riferita al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto questo, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, art. 54, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, le considerazioni svolte nel secondo motivo di ricorso, che si limitano a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza delle risultanze documentali, invitando la Corte di legittimità a svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa.

E’ in ogni caso da ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonchè dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione, ma solo questioni riguardanti l’efficacia di quest’ultima. Per quanto detto, tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629). Quando il condominio abbia così provato il proprio credito, spetto al singolo condomino, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’effettivo pagamento del proprio contributo. A tal fine, la deliberazione dell’assemblea di condominio che procede all’approvazione del rendiconto consuntivo emesso dall’amministratore non ha valore automatico di riconoscimento dell’avvenuto pagamento in relazione alle poste creditorie verso i singoli partecipanti che non siano specificamente riportate, poichè la quietanza postula un atto di volizione unilaterale e recettizio. In ogni caso, la valutazione delle risultanze documentali ai fini della dimostrazione dell’avvenuto pagamento del debito per cui è lite è rimessa all’accertamento compiuto dal giudice di merito che, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si sottrae al sindacato di legittimità.

Nè rileva la dedotta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione nel giudizio che vedeva imputata l’attuale ricorrente, in quanto la Corte d’Appello, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, ha autonomamente rivalutato i fatti oggetto della presente causa. Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 – quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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