Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15547 del 21/07/2020

Cassazione civile sez. I, 21/07/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 21/07/2020), n.15547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2225/2019 proposto da:

I.O., elettivamente domiciliato in Roma presso la

Corte di cassazione, difeso dall’avvocato Denti Roberto;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 29/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/03/2020 da Dott. DI MARZIO MAURO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – I.O., cittadino (OMISSIS), ricorre per due mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 29 novembre 2018 con cui il Tribunale di Milano ha respinto la sua impugnazione del diniego, da parte della competente Commissione territoriale, della domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, censurando il decreto impugnato sotto due distinti profili, sia per aver ritenuto non credibile la narrazione del richiedente, sia per aver ritenuto non sussistente, nella sua zona di provenienza, una situazione riconducibile alla lett. c) della richiamata disposizione.

Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, censurando il decreto impugnato per aver negato al richiedente la protezione umanitaria.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – E’ inammissibile il primo motivo.

2.1.1 – Nel suo primo profilo, quello concernente il giudizio di credibilità del richiedente, la censura, lungi dal lamentare la violazione di individuati parametri normativi tra quelli previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, esula dall’ambito della denuncia del giudizio di violazione di legge ed è invece diretta ad attaccare la tenuta motivazionale del ragionamento svolto dal giudice di merito, per di più attraverso una segmentazione dei vari aspetti da quest’ultimo considerati.

Il Tribunale ha infatti affermato che: “Nel caso di specie, il racconto del ricorrente, vagliato secondo i canoni della credibilità intrinseca poichè è rimasto del tutto sfornito di prove (egli è arrivato in Italia senza passaporto e pertanto non sono certe le sue generalità, e nemmeno la sua esatta provenienza), non raggiunge un sufficiente grado di attendibilità in quanto generico, poco circostanziato, a tratti confuso e implausibile. Il ricorrente ha dichiarato alla Commissione di aver lasciato il suo paese perchè era ricercato dai familiari del conducente dell’alto che era finita sul camion a bordo del quale si trovava il ricorrente, conducente che poco dopo essere giunto in ospedale era deceduto a causa delle lesioni riportate. Ebbene la descrizione del sinistro risulta generica ed anche implausibile in quanto il ricorrente non ha spiegato perchè il camion fosse stato parcheggiato in prossimità di un incrocio, che fine avesse fatto il suo collega di lavoro effettivo conducente del mezzo, sulla base di quali elementi fosse stato ritenuto esso ricorrente il conducente del mezzo pesante da parte dei familiari della vittima, se ci fossero state delle indagini da parte della polizia e che esito avessero avuto, se avesse dichiarato alla polizia il nome del conducente del camion, se fosse stato coinvolto anche il datore di lavoro del ricorrente, titolare della ditta a cui apparteneva il camion. Si tratta di aspetti essenziali, certamente idonei a conferire carattere di veridicità al racconto. Alla richiesta dell’esaminatore di spiegare come mai non avesse ritenuto di avvisare “il capo”, il ricorrente ha risposto in maniera evasiva: “si ho provato a chiamarlo quando ero in ospedale, però i familiari dell’uomo avevano sequestrato il mio cellulare quindi quando mio fratello era venuto nel posto dove ero ho provato di nuovo a chiamare con il cellulare di mio fratello ma in quel punto la linea era irraggiungibile”. Ma altresì sottolineato che il ricorrente, senza giustificato motivo, non ha ritenuto di chiedere tutela alle autorità del suo paese contro le minacce ingiuste e le azioni vessatorie dei familiari della vittima”.

A fronte della motivazione che precede, evidentemente eccedente la soglia del minimo costituzionale, il ricorrente ha ritenuto di offrire una propria spiegazione a ciascuno dei dubbi espressi dal Tribunale, a partire dall’ubicazione del veicolo in prossimità di un incrocio, sull’assunto che sarebbe “poco plausibile” (non è dato peraltro comprendere il perchè) desumere la valutazione di credibilità di una narrazione attraverso la giustificazione di siffatta manovra di parcheggio.

Si tratta dunque di una censura preclusa dai limiti al controllo motivazionale derivanti dall’applicazione dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

2.1.2. – Quanto al secondo profilo, è anzitutto agevole osservare che, una volta espressamente ritenuta incerta l’area di provenienza del richiedente, neppure ha senso, da parte sua, dolersi del fatto che il giudice non abbia riscontrato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in una zona neppure esattamente identificata. Ma, a parte questa considerazione, sta di fatto che il Tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza nell’Edo State, da cui il ricorrente ha dichiarato di provenire, e ciò ha fatto richiamando fonti espressamente citate aggiornate all’8 marzo 2018, in piena osservanza del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Sicchè ancora una volta la censura è volta inammissibilmente a ribaltare il giudizio di fatto effettuato dal giudice di merito.

2. – E’ inammissibile il secondo motivo.

Riassunto un passaggio della motivazione posta a sostegno del decreto impugnato, il ricorrente ha affermato che esso porrebbe “almeno due ulteriori questioni, che attengono alla logicità della decisione del Tribunale”, senza avvedersi, nuovamente, che il controllo di logicità è oggi interdetto alla Corte di cassazione, e per meglio dire è ormai ricondotto a quello di violazione di legge, riguardando l’inesistenza della motivazione in sè, che risulti dal testo della sentenza impugnata, esaurentesi nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Ipotesi che nel caso di specie non ricorrono, avendo il Tribunale osservato che il richiedente non è in sè persona particolarmente fragile (ha dimostrato buone doti di autonomia, capacità di apprendimento, non ha denunciato patologie rilevanti), non ha raggiunto un sufficiente livello di integrazione sociale o indipendenza economica in Italia, e non incontra insormontabili difficoltà di reinserimento sociale nel proprio paese.

E non ha ovviamente alcun senso dire, tenuto conto di quanto in precedenza osservato, che il richiedente “è scappato dalla Nigeria temendo per la propria vita. Se egli fosse costretto a rientrare in Nigeria, la sua vita sarebbe nuovamente in pericolo” (così il ricorso): si tratta infatti di un’affermazione che dà per certa la credibilità della narrazione offerta dal richiedente, credibilità che, come si è visto, il giudice di merito ha invece insindacabilmente escluso.

Neppure coglie nel segno l’assunto secondo cui il Tribunale non avrebbe tenuto conto di copiosa documentazione attestante la frequenza di corsi di formazione, oltre a un una dichiarazione concernente la sua attività nella ricerca di un’occupazione: ed infatti, anche senza considerare che il Tribunale avrebbe, secondo la prospettazione del ricorso, semplicemente omesso di considerare elementi istruttori, il che non vizia il provvedimento, tanto più tardandosi di decreto, è di tutta evidenza che la ricerca di un’occupazione testimonia semmai in modo incontrovertibile la condizione di disoccupato del richiedente, e dunque l’assenza di integrazione economica in Italia.

3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il

ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2020

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