Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15542 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 06/05/2010, dep. 30/06/2010), n.15542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1952/2006 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato D’AMBRA Giovanni, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 493/2004 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 18/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/05/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Regionale della Campania con sentenza dep. il 18/10/2004 ha, rigettando l’appello di R.A., confermato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva rigettato il ricorso di R.A. in ordine all’avviso di liquidazione per maggiori imposte sull’atto di donazione not.

Arturo di Ischia del 7/05/1993, registrato il successivo 27, relative ad immobili non accatastati e per cui era stata chiesta l’attribuzione del classamento all’atto della voltura.

Per la cassazione di detta sentenza la contribuente ha proposto ricorso affidandolo a quattro motivi fondati su violazione di legge e vizio motivazionale.

L’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze non hanno resistito.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza dalla camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la contribuente deduce omessa pronunzia in ordine alla eccezione di decadenza dal potere di accertamento effettuato “dopo anni” e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 27 e 34.

Il motivo pecca di autosufficienza, in quanto non vengono trascritti gli esatti termini dell’eccezione, ove proposta in primo grado, dal momento che il ricorrente appare dolersi di un accertamento effettuato “dopo anni” o “dopo tanti anni” senza eccepire espressamente la decadenza dal potere impositivo.

Questa Corte (Cass. n. 18019/07) ha osservato che in materia tributaria, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio di un potere nei confronti del contribuente, in quanto stabilita in favore e nell’interesse esclusivo di quest’ultimo in materia di diritti da esso disponibili, configura infatti un’eccezione in senso proprio che, in sede giudiziale, deve essere dedotta dal contribuente, non potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice (Cass. 26361/06).

Tanto più che la CTR parlando della decadenza la ricollega alla questione di cui al successivo motivo e, cioè al fatto che l’Ufficio avrebbe effettuato il classamento dopo il termine di dieci mesi di legge.

Nè vale che la ricorrente faccia richiamo al principio che, prospettato un fatto spetta al giudice individuare la norma giuridica applicabile, in quanto nel caso in esame non si pone il problema di individuare la norma giuridica in relazione ad una eccezione di decadenza proposta, bensì di verificare se la eccezione sia stata proposta.

Col secondo motivo la R. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 154 del 1988, art. 12 e del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 27 e 34, per avere ritenuto validamente emesso il classamento oltre i dieci mesi previsti dalla legge.

Il motivo è infondato.

Il criterio di “valutazione automatica” per gli immobili – originariamente introdotto dalla L. 17 dicembre 1986, n. 880, art. 8, per le imposte di successione e donazione, disposizioni poi trasfuse nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 34 comma 6 – è stato esteso anche ai fabbricati dichiarati ma non iscritti in catasto con attribuzione di rendita per effetto del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12, comma 10, convertito nella L. 13 maggio 1988, n. 154. L’art. 12, comma 1, da ultimo richiamato, prevede che l’Ufficio Tecnico Erariale debba inviare un certificato catastale, attestante l’avvenuta iscrizione con attribuzione di rendita, all’Ufficio del Registro, presso il quale è avvenuta la registrazione dell’atto, entro il termine di quindici mesi dalla data in cui è stata presentata la domanda di voltura e il richiamato art. 34, comma 6 prevede testualmente che “l’Ufficio del registro, nel termine di decadenza di cui al comma 3 dell’art. 27, liquida la maggiore imposta”.

Quest’ultima norma prescrive che: “La rettifica deve essere notificata, mediante avviso, entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta”.

Come si è innanzi esposto, la censura della società ricorrente è circoscritta all’intervenuta decadenza dell’azione accertatrice dell’Ufficio per omessa assegnazione della rendita, e non per decadenza del potere di accertamento, come osservato in relazione al precedente motivo.

Nessuna sanzione ricollega la legge al decorso del superiore termine, che pertanto s’atteggia a termine ordinatorio.

Nell’analogo caso della attribuzione della rendita nella procedura DOCFA, questa Corte (Cass. n. 16824/069) ha osservato che la decadenza non può ricavarsi dalla disciplina legislativa della materia, con la quale è assolutamente incompatibile un limite temporale alla modificazione o all’aggiornamento delle rendite catastali…

Il termine massimo di dodici mesi posto dalla norma regolamentare per tale determinazione ha, pertanto, natura “meramente ordinatoria, non potendosi ammettere un regime decadenziale dell’esercizio di un potere amministrativo del tutto privo di base legislativa.

Infatti, alla luce dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell’Amministrazione finanziaria, questa rimane “sempre vincolata all’osservanza delle regole, delle procedure e dei termini stabiliti dalla legge, anche indipendentemente dagli effetti di decadenza che possano essere collegati alla inosservanza dei termini medesimi” (Corte Cost., ord. n. 415 del 2001). Ma se è la legge a stabilire le cadenze dell’azione amministrativa e se, in forza del principio di legalità, le fonti normative che da esse traggono ispirazione e fondamento, provvedono ad integrare tale disciplina, a renderla più dettagliata e maggiormente aderente alla realtà concreta, non per questo l’Amministrazione può sovrapporre, alla disciplina legislativa, previsioni normative che non hanno alcun fondamento e che non solo e non tanto comportino restrizioni alle facoltà delle parti (nella specie, solo quelli dell’Amministrazione), ma riducano, immotivatamente e irrazionalmente, gli stessi poteri fisiologici dell’Amministrazione”.

Conclude la Corte che sarebbe irrazionale dedurre, dalla scadenza del termine, la sopravvenuta carenza di potere dell’ufficio di determinare la rendita.

La ratio suddetta è presente nel caso in ispecie, onde non può non riconoscersi natura ordinatoria al superiore termine, salvaguardandosi così sia il potere dell’ufficio di determinare la rendita sia i legittimi diritti del contribuente il contribuente a non essere esposto sine die all’azione accertatrice dell’Ufficio, con la legislativamente riconosciuta decadenza, nel caso in ispecie, come sopra visto, non ritualmente eccepita.

Col terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 154 del 1988, art. 12 e L. n. 24 del 1990, art. 3 per avere la CTR ritenuto validamente notificato l’avviso di liquidazione senza indicazione del classamento, così vulnerandole il diritto alla relativa impugnativa.

Il motivo non è autosufficiente in quanto la ricorrente, non trascrivendo il contenuto dell’avviso di liquidazione, non consente di verificare se e in quali limiti potesse esistere pregiudizio per il suo diritto ad impugnare il classamento.

Col quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e omessa e insufficiente motivazione sulla subordinata richiesta di rettifica degli importi richiesta sugli estimi aggiornati con il D.L. n. 253 del 1994.

Il motivo è inammissibile,oltre che per la genericità, in quanto attiene a questione relativa al classamento e avrebbe dovuto essere proposto nella impugnativa relativa, in causa avente un diverso legittimato passivo (l’Agenzia del Territorio).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Non provvede sulle spese non essendosi gli intimati difesi.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 6 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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