Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15538 del 27/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 27/07/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 27/07/2016), n.15538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16690-2014 proposto da:

SORRISOLANDIA SOCIETA’ COOPERATIVA ARL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato SCUDERI Matteo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei PORTOGHESI 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 381/18/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CATANIA DEL 4/07/2013,

depositata Il 12/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Palermo ha disatteso l’appello della “Sorrisolandia soc. coop. a r.l.”-appello proposto contro la sentenza n. 701/03/2008 della CTP di Catania che aveva già rigettato il ricorso proposto dalla medesima contribuente – ed ha così confermato l’avviso di recupero del credito di imposta L. n. 388 del 2000, ex art. 7 che l’Agenzia riteneva indebitamente utilizzato negli anni 2001-2004.

La predetta CTR – dopo avere dato atto che la contribuente sin dal primo grado aveva lamentato erronea valutazione del fatto controverso e illegittimità del provvedimento di recupero per non avere fatto l’Agenzia “riferimento agli effettivi periodi di occupazione dei singoli lavoratori” anzicchè alle semplici risultanze del libro matricola che era risultato incompleto al momento della verifica- ha motivato la decisione (per quel che qui ancora rileva) ritenendo che “non si ravvisano…elementi tali da modificare il giudizio al riguardo già espresso dai primi giudici che, fondatamente, hanno ritenuto non meritevole di censure il comportamento dell’Ufficio che, sulla base di dettagliato PVC” aveva contestato l’indebita compensazione, in ragione di quanto emergeva dal suddetto PVC. La parte contribuente aveva insistito “sulla presunta situazione di fatto, rilevabile dalla documentazione prodotta, ma difforme dalla risultanze del libro matricola, riconosciuto incompleto dalla stessa società”.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.

L’Agenzia si è difesa con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 112 c.p.c.) la parte ricorrente – dopo avere evidenziato di avere proposto in appello due distinte “causae petendi” a sostegno delle domande di appello (e cioè la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7) e la infondatezza delle circostanze di fatto sulle quali l’atto impositivo si fondava – prospetta che il giudice di appello abbia del tutto omesso di pronunciarsi sulla seconda delle domande identificate dalle due distinte causae petendi, e cioè sulla richiesta subordinata di annullamento dell’avviso di recupero per infondatezza delle circostanze di fatto: a riguardo il giudicante si era limitato esclusivamente a riportare il contenuto della domanda ma non si era in alcun modo pronunciato su di essa.

Il motivo appare infondato e da disattendersi.

Sia pure con accenti non peculiarmente perspicui, il giudice di appello si è espresso sulla questione qui sottoposta all’esame, formulando il suo apprezzamento a riguardo ed esprimendosi in termini del tutto coerenti con quanto ritenuto dal giudice di primo grado. In altri termini, il giudicante – come pure si evince dalla trascrizione di brani estratti dalla pronuncia qui impugnata – ha ritenuto corretto che sia stata valorizzato quanto emerge dal libro matricola, rilevando che la stessa parte contribuente ne aveva ammesso l’incompletezza e considerando non significativo l’assunto (insistito dalla appellante) secondo cui si sarebbe dovuto fare riferimento alla “presunta situazione di fatto, rilevabile dalla documentazione prodotta”.

Orbene, la pretermessa valorizzazione delle fonti documentali di prova indicate dalla parte contribuente non integra vizio di omessa pronuncia ma costituisce espressione della potestà del giudice del merito di fare la selezione delle prove che costituiscono il supporto del proprio convincimento, esercizio delle cui incompletezza la parte può semmai dolersi a mezzo del vizio previsto nell’art. 360, comma 1, n. 5 (nella nuova formula qui applicabile ratione temporis), vizio che nel ricorso introduttivo del presente giudizio non risulta essere stato formulato dalla parte ricorrente, che neppure si è doluta dell’eventuale errore di diritto nel quale può essere incorso il giudice del merito nel dare prevalenza alle risultanze dei libri obbligatori anzicchè a quelle di altri documenti (che peraltro la parte ricorrente non ha specificamente indicato, dettagliandone i contenuti).

Non resta che concludere che il ricorso appare manifestamente infondato, sicchè se ne propone l’esame con decisione camerale.

Roma, 20 dicembre 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa il cui contenuto non induce la Corte a rimeditare gli argomenti su cui è fondata la proposta del relatore;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate oltre che inammissibile nei confronti del MEF, CARENZA DI leggittimazione;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in Euro 2.500,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Dichiara inammissibili il ricorso contro il Mef.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2016

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