Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15532 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/06/2017, (ud. 04/04/2017, dep.22/06/2017),  n. 15532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23251 – 2015 R.G. proposto da:

M.S. – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtù

di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Antonio Simone

ed elettivamente domiciliata in Roma, alla piazza Fante, n. 2,

presso lo studio dell’avvocato Costanza Acciai.

– ricorrente –

contro

C.V. (titolare dell’omonima impresa edile) –

c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma, alla

via Alberico II, n. 4, presso lo studio dell’avvocato Massimo

Argirò che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Gabriele

Bano lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 181 dei 13.1/17.3.2015 della corte d’appello

di Trieste;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2017

dal consigliere dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al tribunale di Tolmezzo C.V., titolare dell’omonima impresa edile, chiedeva ingiungersi a M.S. il pagamento della somma di Euro 36.525,40, oltre accessori.

Esponeva che aveva con la controparte siglato contratto d’appalto per l’esecuzione dei lavori di recupero strutturale e di adeguamento antisismico dell’unità immobiliare in (OMISSIS), di proprietà della medesima M.; che il saldo di Euro 36.525,40, relativo a lavori non ricompresi nell’originario computo metrico, era rimasto insoluto.

Con decreto n. 213/2011 il giudice adito pronunciava l’ingiunzione siccome domandata.

Con atto di citazione regolarmente notificato M.S. proponeva opposizione.

Chiedeva la revoca del decreto opposto.

Resisteva C.V..

Con sentenza n. 243/2013 il tribunale di Tolmezzo rigettava l’opposizione.

Interponeva appello M.S..

Resisteva C.V..

Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 181 dei 13.1/17.3.2015 la corte d’appello di Trieste accoglieva parzialmente il gravame, revocava il decreto ingiunto, condannava l’appellante a pagare all’appellato la somma di Euro 23.719,34, oltre interessi, compensava per 1/3 le spese del doppio grado e condannava l’appellante ai residui 2/3.

Evidenziava la corte di merito che l’officiato ausiliario aveva accertato che l’impresa appaltatrice aveva eseguito lavori extra di valore pari ad Euro 23.719,34; che l’accettazione delle opere ulteriori doveva reputarsi provata, giacchè la committente aveva delegato il figlio affinchè presenziasse ai lavori e collaborasse con l’impresa; che del resto il pagamento da parte dell’appellante di un importo superiore a quello originariamente concordato faceva presumere che vi fosse stato accordo tra le parti “sulle variazioni intervenute in corso d’opera e sui relativi compensi aggiuntivi” (così sentenza d’appello, pag. 9).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.S.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con vittoria di spese.

C.V. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.

Con l’unico motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “incongruità ed inadeguatezza della motivazione” (così ricorso, pag. 4).

Deduce che la corte distrettuale ha violato i principi in tema di prova logica, segnatamente il divieto di praesumptio de praesumpto; che “dalla deposizione del teste G., che dichiara di aver visto il F. (figlio della signora M.), dare ordini all’impresa in assenza del C., non può inferirsi che la ricorrente avesse accettato i nuovi costi” (così ricorso, pag. 4).

Deduce altresì che la corte territoriale non ha considerato che le parti ebbero a concordare il secondo computo metrico ed a consacrarlo in un documento scritto debitamente sottoscritto; che siffatta circostanza induce a ritenere che se le parti avessero concordato pur le opere aggiuntive di cui al ricorso per decreto ingiuntivo, “avrebbero consacrato anche tale ulteriore accordo per iscritto” (così ricorso, pag. 5).

Il ricorso è destituito di fondamento.

Il vizio motivazionale veicolato dal motivo di ricorso rileva nei limiti della formulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 quale introdotta dal D.Lgs. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (è il caso de quo: la sentenza della corte d’appello è stata depositata il 17.3.2015).

Conseguentemente riveste valenza l’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Dall’altro, che la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa.

D’altronde, la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“il teste G., infatti, non indica quando ha visto e udito il F. dare ordine all’impresa subappaltatrice (…)”: così ricorso, pagg. 4 – 5; “la presunzione operata dalla Corte d’Appello di Trieste viene neutralizzata da altri ragionamenti presuntivi di segno contrario”: così ricorso, pag. 5).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo sul piano logico – formale.

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Il ricorso è stato notificato in data 28.9.2015.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, M.S., a rimborsare al controricorrente, C.V., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, M.S., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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