Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15527 del 21/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 21/07/2020), n.15527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9992/2018 R.G. proposto da

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L.

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche, sezione n. 3, n. 70/03/17, pronunciata il 14/02/2017,

depositata il 21/02/2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 febbraio

2020 dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Immacolata Zeno che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso;

udito l’avv. Giulio Bacosi per l’Avvocatura generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) S.r.l. impugnò una cartella di pagamento IRES, IRAP, IVA, emessa a seguito di un controllo automatizzato, ex art. 36-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, della dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta 2005.

Il giudice di primo grado rigettò il ricorso, con decisione che, sull’appello della società, è stata parzialmente riformata dalla Commissione regionale, la quale ha annullato la cartella limitatamente all’IRES, rilevando, in termini generali, che, in base all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, il contribuente può opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, e, ancora, che, nella fattispecie concreta, era provato e, anzi, non era contestato che, da un lato, il credito indicato nel bilancio della società contribuente non era mai stato incassato, e, dall’altro, che l’inesistenza del detto credito comportava che nulla fosse dovuto, a titolo di IRES, per l’annualità 2005.

L’Agenzia ricorre per la cassazione, con due motivi, e ha depositato una memoria; la contribuente, nel frattempo fallita, non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso (“1) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), poggia sulla premessa (di cui alla “Esposizione sommaria dei fatti di causa” del ricorso per cassazione dell’Agenzia) che, secondo la tesi difensiva della contribuente (esposta nel ricorso introduttivo del giudizio), la liquidazione automatizzata dell’IRES dovuta in base alla dichiarazione presentata per il 2005, fosse viziata dall’erronea registrazione, tra i redditi dichiarati per il periodo d’imposta 2004, del ricavo di Euro 232.910,00, documentato dalla fattura n. 792 del 23/12/2004, emessa nei confronti di A.G. Erre Soc. Coop. a.r.l., che non era mai stata pagata, non essendo stato il credito ammesso allo stato passivo della società debitrice, assoggettata a liquidazione coatta amministrativa, con la conseguenza che, detratto tale ricavo, la dichiarazione per il 2004 avrebbe evidenziato una perdita che, riportata nell’anno successivo, avrebbe completamente eliso il reddito prodotto ed azzerato l’IRES dovuta nel 2005.

L’Agenzia ascrive alla C.T.R. la distorta applicazione del principio dell’emendabilità della dichiarazione sul rilievo che, trattandosi d’imposta autoliquidata e non versata, al contribuente è concessa la facoltà di correggere la dichiarazione, nella quale erano state erroneamente esposte attività non conseguite, mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa, o, in alternativa, nel rispetto di stringenti termini di decadenza, quella di chiedere il rimborso dell’indebito, ma senz’altro non gli è consentito di non pagare le imposte sui redditi utilizzando il mezzo della contestazione del ruolo scaturito dalla verifica formale delle inadempienze fiscali.

2. Con il secondo motivo (“2) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, ‘art. 19 u.c., in relazione agli artt. 101 e 109 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”), l’Agenzia allega che il comportamento della contribuente, condiviso dalla sentenza di appello, contravviene anche al principio di competenza, ai fini delle imposte dirette, ed aggiunge che la società, dopo avere pagato le imposte per il 2005, avrebbe dovuto annotare la sopravvenienza passiva nell’annualità (il 2008) nella quale – secondo la prospettazione della contribuente, per altro priva di riscontro probatorio – la perdita su credito era divenuta definitiva, per effetto della mancata ammissione del credito allo stato passivo della procedura fallimentare della committente A.G. Erre.

2.1. Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati.

2.1.1. Le sezioni unite (Cass. sez. un. 30/06/2016, n. 13378), hanno affermato il principio di diritto, per il quale: “In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.”.

Nella scia dell’insegnamento delle sezioni unite, questa Sezione tributaria, anche di recente (Cass. 30/07/2018, n. 20119), ha ribadito il solido orientamento in base al quale:

(a) la dichiarazione, in linea generale, salvo casi particolari o parti specifiche di essa, è un atto di scienza e quindi sempre emendabile, con la conseguenza che il contribuente può fare valere eventuali vizi commessi nella redazione della stessa, che attengano al merito della pretesa tributaria, anche in sede contenziosa, indipendentemente dal rispetto dei termini per la presentazione dell’emenda (ex plurimis: Cass. 30/01/2018, n. 2220);

(b) in materia di IVA e di imposte dirette sono applicabili i medesimi principi, compreso quello secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'”iter” procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria;

(c) i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l’inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilità non può ritenersi sottoposta al limite temporale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37, commi 5 e 6, il quale riguarda la rimozione di omissioni o l’eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l’erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell’erario (Cass. n. 3904/04).

2.1.2. Detto che identico principio di diritto è stato espresso da questo Collegio nella causa con r.g. n. 24868/2012, trattata in questa stessa adunanza camerale (con la precisazione che l’Agenzia, in questo ricorso per cassazione, ha chiesto la trattazione congiunta delle due cause), nella fattispecie concreta, conformandosi alle regole giuridiche sopra sintetizzate, la C.T.R., senza incorrere in alcun errore di diritto, ha ritenuto legittima l’opposizione alla cartella di pagamento da parte della contribuente, la quale aveva contestato l’esistenza, o, meglio, dimostrato l’insussistenza del debito IRES sulla scorta della (definitiva) perdita del credito, documentato da una fattura, emessa nel 2004 e registrata in contabilità, mai pagata dall’obbligata, trattandosi di credito non ammesso allo stato passivo della committente/debitrice; perdita del credito non contestata dall’A.F. (Cass. sez. un. 13378/2016, cit.).

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

4. Nulla si deve statuire in punto di spese del giudizio di legittimità, nel quale la contribuente non ha articolato difese.

5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2020

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