Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15521 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 30/06/2010), n.15521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 362/2006 proposto da:

CONSORZIO AZIENDA TRASPORTI ATR FORLI’ E CESENA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIACOMO PUCCINI 9, presso lo studio dell’avvocato PERRONE Leonardo,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TARDELLA

GIANMARCO, con procura speciale notarile del Not. Dr. DE SIMONE

MARIO in FORLI’, rep. n. 32.223 del 09/11/2005;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 46/2004 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 03/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/04/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato PERRONE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato DE STEFANO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio Azienda Trasporti (ATR) Forlì Cesena, impugnava nel 2002 con tre ricorsi il silenzio-rifiuto della Amministrazione Finanziaria al rimborso dell’IRAP versato per il 1999 (primo acconto, secondo acconto, saldo), sostenendo che i contributi pubblici ricevuti, finalizzati al conseguimento dell’equilibrio economico della impresa, non potevano essere ricompresi nella base imponibile per il calcolo della imposta, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3 ed art. 11 bis, comma 1.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate, ufficio di Forlì, contestando la fondatezza della pretesa del Consorzio. La Commissione Tributaria Provinciale di Forlì con tre distinte pronunce respingeva i ricorsi, ritenendo che i contributi in questione erano soggetti ad IRAP, sulla base di una diversa lettura delle norme di legge di cui sopra alla luce della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, u.c., nel frattempo entrata in vigore di interpretazione autentica del citato art. 11.

Appellava il Consorzio e la Commissione Tributaria Regionale della Emilia-Romagna con sentenza n. 46/19/04 in data 16-11-2004, depositata il 3-12-2004, riuniva i ricorsi e respingeva i gravami, confermando le decisioni impugnate.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Consorzio con quattro motivi.

Resistono il Ministero della Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, l’ente ricorrente deduce omesso esame, da parte della sentenza impugnata, delle domande proposte dal Consorzio nel secondo grado di giudizio, relative alla non tassabilità dei contributi percepiti a copertura dei disavanzi di gestione, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11 bis, comma 1, e dell’art. 11, comma 3, del citato D.Lgs., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene infatti che la Commissione ha esposto in fatto la posizione assunta in merito dai primi giudici, omettendo poi di motivare sul punto in relazione ai motivi di impugnazione, limitandosi a prendere in considerazione il D.L. n. 209 del 2002, art. 2 quinquies e art. 3 (comma introdotto in sede di conversione del decreto, con L. 22 novembre 2002, n. 95) come modificato dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5.

Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 11 ed 11 bis; della L. n. 289 del 2002, art. 5; della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, artt. 3 e 10; nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Espone in proposito che ai sensi del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, convertito in L. 6 febbraio 1987, n. 833, i contributi di cui si tratta, ora versati dalle Regioni, non sono soggetti alle imposte sui redditi.

Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, determina le modalità di calcolo della base imponibile a fini IRAP; l’art. 11 dello stesso D.Lgs. è stato riformulato dal legislatore con il D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, con l’aggiunta dell’art. 11 bis.

L’art. 11 nella nuova formulazione rilevante “ratione temporis” afferma che “ai fini della determinazione della base imponibile .. concorrono, in ogni caso, i contributi erogati a norma di legge, con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione” L’art. 11 bis recita, per la parte che interessa, “i componenti positivi o negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione così come determinati ai sensi degli artt. 5,6,7, 8 e 11, si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento o diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi.” Ne consegue, ad avviso del Consorzio ricorrente, che l’art. 11 bis deve considerarsi norma speciale rispetto al precedente art. 11; talchè, se ai sensi di tale ultima disposizione i contributi in oggetto dovrebbero fare parte della base imponibile, ai sensi dell’art. 11 bis dette componenti di reddito sono soggette alle stesse variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte dei redditi; poichè i contributi sono esclusi dalle imposte sui redditi ai sensi del citato D.L. n. 833 del 1986, art. 3, i relativi importi devono essere ” sterilizzati” e detratti ai fini della tassazione IRAP. Secondo il ricorrente, la fondatezza della interpretazione di cui sopra è ulteriormente rafforzata dalla modifica legislativa introdotta con il comma 2 quinquies aggiunto al D.L. n. 209 del 2002, art. 3, in sede di conversione dello stesso con L. n. 265 del 2002, il quale imponeva di applicare la disposizione di cui all’art. 11 a decorrere dal 1 gennaio 2003, anche “ai contributi per i quali sia prevista la esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi”; disposizione inutile, ove non fosse dato per ammesso che i contributi in parola erano in precedenza esclusi dalla base imponibile.

In ordine al successivo intervento del legislatore, che pochissimo tempo dopo la introduzione della norma di cui sopra la modificava con la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, inserendovi una disposizione apparentemente di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, secondo la quale detto disposto di legge deve interpretarsi nel senso che devono essere ricompresi nella base imponibile anche i contributi di cui si tratta, sostiene il ricorrente che tale modifica legislativa non ha portata retroattiva.

Afferma infatti che si tratta di una norma pseudo interpretativa, in quanto non ha risolto una questione di diritto in precedenza non chiara, ma ha innovato sul piano sostanziale, pretendendo di estendere anche per il passato la modifica “in peius” in precedenza assunta a decorrere dal 2003.

Detta disposizione di legge, ad avviso del ricorrente, è in contrasto con lo Statuto del contribuente in quanto non rispetta i requisiti ivi richiesti di eccezionalità, nè si qualifica come legge di ” interpretazione autentica” per i cui, avendo portata innovativa, non può avere effetto retroattivo.

Con il terzo motivo sostiene la illegittimità incostituzionale della norma in oggetto, ove ritenuta di interpretazione autentica, per violazione del principio dell’affidamento nella sicurezza giuridica di cui agli artt. 3, 53, 97 Cost. e della L. n. 212 del 2000, art. 10.

Con il quarto motivo, svolto in via subordinata, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, ed insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la disposizione in parola esclude dalla base imponibile IRAP “i contributi, correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”.

Sostiene che non è previsto dalla legge che i contributi in oggetto per fruire della esenzione debbano essere sottoposti previamente a destinazione specifica nel senso di cui sopra, essendo sufficiente che la correlazione con componenti negativi esista in concreto.

Nella specie, tale requisito sussisterebbe almeno con riferimento alle spese per lavoro dipendente, che costituiscono componente negativa di reddito.

La Amministrazione, nel controricorso, contesta la fondatezza delle argomentazioni del Consorzio.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Non sussiste infatti la sostenuta carenza di motivazione, in quanto la Commissione ha risolto la questione sottoposta al suo esame, relativa alla inclusione o meno dei contributi nella base imponibile ai fini IRAP ritenendo valida interpretazione autentica del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, la disposizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 5, secondo cui detti contributi devono essere valutati ai fini della predetta imposta. Diventava quindi superfluo un riesame interpretativo degli artt. 11 ed 11 bis del citato D.Lgs., avendo a ciò provveduto il legislatore con apposita normativa; nè il giudice è tenuto a prendere specificamente in esame ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente valutare quelle necessarie a giustificare la “ratio decidendi” prescelta.

Il secondo motivo è parimenti infondato.

In ordine al punto controverso della inclusione o meno dei contributi in oggetto nella base imponibile a fini IRAP, è già intervenuta questa Corte, dapprima con sentenza n. 4838 del 2007, quindi a Sezioni Unite con la sentenza n. 21749 del 2009, conforme alla precedente, sicchè il principio espresso in materia, che questo Collegio condivide, può ormai dirsi consolidato.

La tesi accolta dalla Corte poggia su un presupposto interpretativo del collegamento sistematico degli artt. 11 ed 11 bis nel testo risultante dalla modifica legislativa operata con il D.Lgs n. 506 del 1999, difforme da quello sostenuto dal Consorzio ricorrente.

Si è infatti osservato che appariva insuperabile il dato desumibile dall’art. 11 nella nuova formulazione, al comma 3, secondo cui “ai fini della determinazione della base imponibile, concorrono, in ogni caso .. i contributi erogati a norma di legge con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”.

Tale indicazione espressa, che non ammette eccezioni, imponeva di considerare in modo diverso la correlazione tra l’art. 11 ed il nuovo (in quanto non esistente prima della modifica legislativa) art. 11 bis, secondo cui ” i componenti positivi o negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione, così come determinati ai sensi degli artt. 5, 6, 7, 8, 11, si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento ed in diminuzione previste ai fini della imposta sui redditi”. In sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’art. 11 costituisce eccezione, in riferimento alla inclusione dei contributi nella base imponibile, rispetto all’art. 11 bis, che costituisce invece disciplina generale circa la correlazione tra la disciplina della determinazione del valore netto di produzione ai fini IRAP e quella regolante le imposte sui redditi.

A tal fine, non appare significativa la collocazione dell’art. 11 bis posteriore rispetto all’art. 11, in quanto la distribuzione delle norme su un testo legislativo non può interferire con la interpretazione dei contenuti delle medesime.

D’atro canto, il punto essenziale delle argomentazioni del ricorrente, ovvero la asserita possibilità di tenere conto, ai sensi dell’art. 11 bis, della esenzione dei contributi dalla imposizione ai fini IRPEG ai sensi del D.L. n. 833 del 1986, art. 3 comma 1, possibilità che si assumeva preclusa prima della riforma, dalla formulazione precedente dell’art. 11, che faceva esclusivo riferimento al D.P.R. n. 917 del 1986 (T.U.I.R.) non è condivisibile.

Infatti, da un lato la espressa citazione del TUIR nel citato D.L. n. 833 del 1986, poteva farlo ritenere astrattamente applicabile anche in precedenza; dall’altro, e soprattutto, la esenzione di cui al D.L. costituisce norma speciale di stretta interpretazione, costituendo esenzione tributaria, per cui non è possibile desumerla in via interpretativa da una altra disposizione che ad essa non faccia specifico riferimento.

Peraltro, può notarsi, a tale proposito, che l’art. 11 bis fa riferimento alle “variazioni in aumento od in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi” e non prende in considerazione la diversa ipotesi in cui una componente del reddito sia esente dalla imposizione.

Di conseguenza, la tesi contraria a quella assunta dal ricorrente si evinceva dal contesto normativo anteriore alle successive riforme legislative.

Tale conclusione va venire meno il fondamento della critiche rivolte dal ricorrente al successivo intervento del legislatore.

Infatti, preso atto della obiettiva difficoltà interpretativa delle disposizioni sopra esaminate, il legislatore ha dapprima inteso eliminare ogni dubbio per il futuro sulla inclusione dei contributi nella base imponibile, con il D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, convertito con L. n. 265 del 2002; successivamente ha inteso ribadire che detta soluzione interpretativa era valida anche per il passato, con la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, comma 3, con la “interpretazione autentica” del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3.

Appare di indubbio significato che la interpretazione abbia avuto ad oggetto il solo art. 11, norma speciale, senza toccare l’art. 11 bis, costituente, come si è detto, norma di carattere generale.

Ciò posto, la legge di interpretazione autentica in oggetto non ha carattere innovativo, confermando una modalità di lettura della norma esperibile anche in precedenza (ed anzi da ritenersi corretta) e pertanto non può essere considerata una “pseudo interpretazione” intesa ad introdurre surrettiziamente una disposizione sostanziale con effetto retroattivo. Del pari, non è contraria ai principi espressi dallo Statuto del contribuente, in quanto non può essere negato un carattere di eccezionalità alla disposizione in parola e la necessità di un intervento chiarificatore sulla reale portata della norma considerata.

Ne consegue la piena applicabilità dell’art. 11 secondo la interpretazione autentica data dal legislatore, con reiezione dei rilievi del ricorrente.

Le considerazioni di cui sopra escludono la fondatezza della eccezione di incostituzionalità della legge di interpretazione autentica, di cui al terzo motivo, fondata su una supposta violazione del principio di affidamento nella sicurezza giuridica, ovvero di ragionevolezza della norma, invero sussistente per quanto già in proposito affermato.

Il quarto motivo è inammissibile, in quanto trattasi di questione non presa in considerazione in sentenza, in ordine alla quale il ricorrente ha omesso di provare di averla ritualmente sollevata nell’atto di appello; ed il tal caso avrebbe dovuto dedurre non già la violazione del D.Lgs n. 446 del 1997, art. 11, bensì il vizio di omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c.. Comunque la argomentazione è in sè infondata, in quanto risulta che i contributi pubblici siano stati erogati per ovviare alle perdite di gestione globalmente considerate, e non in riferimento ad una specifica componente della stesse.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

La situazione di obiettiva incertezza giurisprudenziale all’epoca della proposizione del ricorso giustifica la compensazione tra le parti delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

 

 

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