Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15520 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. II, 14/07/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CORRADINI AUTOGRU’ s.r.l. (già CORRADINI s.p.a.), in persona del

legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Gardella Maria

Cristina ed elettivamente domiciliata in Roma, viale Regina

Margherita, n. 37, presso io studio dell’Avv. Alessandro Barretta;

– ricorrente –

contro

PIAZZOLA PREFABBRICATI s.a.s. di PIAZZOLA MARCO & C, in persona

del

legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli

Avv.ti Moreschi Italo e Francesco Storace in virtù di mandato in

calce al controricorso ed elettivamente domiciliata presso lo studio

del secondo, in Roma, v. Crescenzio, n. 20;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 525/2005,

depositata il 5 maggio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 25

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrate;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con convenzione del 17 maggio 1991 la ditta Piazzola s.a.s.

incaricava la ditta Corradini s.p.a., con sede in (OMISSIS), di effettuare alcune riparazioni su un’autogrù di sua proprietà, consistenti, essenzialmente, nella sostituzione della torretta nonchè nello smontaggio e nel successivo rimontaggio degli organi accessori per il prezzo di L. 22.000.000, oltre iva. A seguito della consegna dell’autogrù una volta ultimati i menzionati lavori, la ditta committente, avendo riscontrato, dopo alcuni giorni, alcune anomalie nel funzionamento dell’apparecchio, che si erano anche ripetute più volte, richiese l’intervento dei tecnici della Corradini s.p.a. per apportare i necessari interventi sulla stessa autogrù, che fu riportata presso la sede dell’appaltatrice;

senonchè, in virtù di contestazioni sopravvenute tra le parti e in esecuzione di un decreto cautelare adottato ex art. 700 c.p.c., dal Pretore di Piacenza, la stessa autogrù venne restituita, non assemblata, alla ditta Piazzola, previo versamento, da parte di quest’ultima, dell’importo concordato di L. 22.000.000 per le riparazioni e le sostituzioni. Dopo l’avvenuta contestazione scritta effettuata dalla ditta committente dei vizi e dei difetti riscontrati sull’apparecchio, che aveva anche richiesto accertamento tecnico preventivo al Pretore di Piacenza, la ditta Piazzola Prefabbricati s.a.s. introdusse il giudizio di merito dinanzi al Tribunale di Piacenza conseguente all’adottato provvedimento d’urgenza, con la cui citazione chiese la dichiarazione di risoluzione del contratto del 17 maggio 1991 in relazione all’inadempimento della ditta appaltatrice e la condanna al risarcimento dei danni, comprensivi anche di tutte le spese resesi necessarie per il ripristino dell’autogrù e per il mancato guadagno nel periodo in cui essa era rimasta inutilmente presso la sede della Corradini s.p.a.. Nella costituzione della convenuta, la Sezione stralcio del Tribunale adito, con sentenza n. 1037 del 2001, accoglieva parzialmente la proposta domanda, condannando la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di L. 33.543.000, a titolo di danno emergente e lucro cessante, oltre interessi e alla rifusione delle spese legali.

Interposto appello da parte della Corradini s.p.a., nella resistenza dell’appellata Piazzola Prefabbricati s.a.s., la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 525/2005 (depositata il 5 maggio 2005), rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale, rilevando la sopravvenuta rinuncia alla domanda di risoluzione, confermava che era rimasto provato – anche per effetto delle conclusioni dell’espletata c.t.u. – l’inesatto ed erroneo adempimento, da parte della società appellante, delle obbligazioni assunte con il contratto del 17 maggio 1991 e che era risultata corretta la determinazione del danno come quantificato dal giudice di primo grado. Nei confronti della indicata sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la Corradini Autogrù s.r.l.

(subentrata alla Corradini s.p.a.), basato su otto motivi, in ordine al quale ha resistito con controricorso l’intimata Piazzola Prefabbricati s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 276, 189, 352 e 158 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sull’assunto presupposto che, a seguito del mutamento dei componenti del collegio che aveva deciso la causa in appello, rispetto ai componenti dello stesso dinanzi ai quali erano state precisate le conclusioni nell’udienza del 21 maggio 2003, si sarebbe dovuto ritenere che era venuta a vendicarsi la nullità della sentenza per violazione del principio dell’immutabilità del giudice.

1.1. la doglianza è infondata e deve, perciò, essere rigettata.

Invero, per quanto evincibile dagli atti del giudizio di appello (esaminabili anche in questa sede in virtù della natura processuale del vizio dedotto), nel caso di specie, non si è venuta configurare alcuna violazione delle norme dedotte, poichè, a seguito di una prima rimessione della causa a collegio per la discussione, la stessa era stata temporaneamente “congelata” per effetto del trasferimento ad altro ufficio giudiziario del consigliere relatore dott.ssa V. (v. decreto del Presidente della Corte di appello del 17 settembre 2004). Conseguentemente, in virtù di ulteriore decreto del Presidente dell’apposita Sezione del 1 febbraio 2005, si era proceduto alla rimessione sul ruolo della causa provvedendosi alla nomina di un nuovo relatore e alla fissazione della nuova udienza di discussione per il giorno 8 aprile 2005, nella quale – come rilevasi dall’inerente – verbale in atti – la causa, in seguito alla riprecisazione delle conclusioni da parte dei rispettivi procuratori delle parti, veniva assegnata in decisione da parte del collegio così come ricomposto in dipendenza dei provvedimenti autorizzativi presidenziali, coincidente effettivamente con quello risultante dall’intestazione della sentenza impugnata in questa sede. Appare, quindi, evidente come, nella fattispecie in questione, a seguito della ricostituzione della composizione del collegio (dovuta a circostanze di forza maggiore) e della rinnovazione della precisazione delle conclusioni e della discussione dinanzi al nuovo collegio, non si sia venuta a configurare alcuna violazione delle norme processuali indicate dalla ricorrente, essendo riscontrabile – in relazione all’art. 276 c.p.c. – la perfetta coincidenza tra il collegio che aveva partecipato alla discussione e quello che aveva poi deliberato, in camera di consiglio, la sentenza.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 1668 c.c. nonchè degli artt. 112 e 163 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), oltre che il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. In particolare, con tale doglianza, la Corradini Autogrù s.r.l. ha assunto che, a fronte del mancato accoglimento della domanda di risoluzione, avrebbe dovuto essere respinta la domanda di risarcimento dei danni, difettando questa di “causa petendi”, non essendo state proposte le domande di riduzione del prezzo o di eliminazione diretta dei vizi, le quali avrebbero potuto legittimare la proposizione della domanda risarcitoria.

2.1. Al di là della circostanza che con la formulata doglianza ia ricorrente ha inteso introdurre in questa sede una contestazione attinente ad una questione sostanzialmente nuova (siccome non dedotta con l’appello), la stessa è, in ogni caso, destituita di fondamento.

Infatti, dopo aver inquadrato la fattispecie contrattuale dedotta in giudizio nella figura dell’appalto ed aver dato atto del mancato accoglimento della domanda di risoluzione in primo grado, la Corte territoriale ha accertato, sulla scorta delle domande effettivamente dedotte in giudizio, la sussistenza dell’inesatto ed erroneo adempimento, da parte della società appellante, delle obbligazioni assunte con la convenzione del 17 maggio 1991, così provvedendo alla conseguente richiesta liquidazione dei danni a titolo risarcitorio. A questo riguardo deve ritenersi errata la prospettazione della ricorrente secondo la quale, non avendo la committente formulato le domande di riduzione del prezzo o di eliminazione dei vizi, non avrebbe potuto invocare il risarcimento dei danni nel caso in cui fossero stati riscontrati dei vizi dell’opera oggetto dell’appalto.

In proposito si ricorda che la tutela apprestata al committente dall’art. 1668 c.c. si incasella nell’ambito dell’ordinaria responsabilità contrattuale per inadempimento (v. Cass. 15 marzo 2004, n. 5250) e, pertanto, qualora l’appaltatore non provveda direttamente all’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, il committente, ove non intenda ottenere l’affermazione giudiziale dell’inadempimento con la relativa condanna dell’appaltatore e l’attuazione dei suoi diritti nelle forme dell’esecuzione specifica, può sempre chiedere il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla spesa necessaria all’eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del preventivo esperimento dell’azione di condanna all’esecuzione specifica (cfr. Cass. 10 gennaio 1996, n. 169; Cass. 2 agosto 2002, n. 11602, e Cass. 19 aprile 2006, n. 9033). In altri termini, il committente, che lamenti difformità e difetti dell’opera, può richiedere che le difformità o i vizi dell’opera siano eliminati a spese dell’appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 c.c., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi (come verificatosi nella specie).

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1668 c.c., oltre che degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., congiuntamente all’omessa motivazione su di un punto essenziale della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, rispettivamente nn. 3 e 5). A sostegno di tale motivo la ricorrente allega la supposta erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui, anche in base alle risultanze della c.t.u., essa era stata condannata al pagamento occorrente per l’eliminazione completa dei vizi riconducibile al totale rifacimento della torretta e non alla sua semplice sistemazione.

3.1. Anche questa doglianza non è meritevole di accoglimento.

La Corte territoriale, con motivazione logica ed adeguata (e, perciò, incensurabile nella presente sede di legittimità), dopo aver congruamente ricostruito la volontà contrattuale manifestata dalle parti nella convenzione di appalto (con la quale la società Corradini si era impegnata a sostituire nell’autogrù della società Piazzola la torretta lesionata unitamente alla valvole blocco cilindro di sollevamento, delle quali era stato riscontrato un funzionamento irregolare, garantendo espressamente l’esecuzione a regola d’arte delle parti di nuovo impiego, nonchè il corretto ripristino delle parti oggetto di smontaggio e successivo rimontaggio), ha accertato, sulla scorta della c.t.u., che il difetto di cinematismo era conseguenza di un errore di interasse tra il perno di articolazione del braccio ed il perno di articolazione del cilindro della torretta nelle operazioni di rimontaggio delle parti smontate per la sostituzione della torretta (e non, quindi, per la sua semplice sistemazione).

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha censurato la sentenza della Corte bolognese per violazione e falsa applicazione dell’art. 1668 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., oltre che per difetto di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Al riguardo la stessa ricorrente adduce che i chiarimenti resi all’udienza del 23 settembre 1996 dal c.t.u. si erano risolti in generiche affermazioni inidonee a confutare le conclusioni raggiunte dallo stesso nelle relazione del 16 agosto 1995 e del 25 settembre 1996.

4.1. Il motivo è inammissibile perchè non risulta rispettoso del necessario principio di autosufficienza nella parte in cui, ai fini dell’osservanza dell’indispensabile requisito di completezza della prospettata doglianza, non è corredato del richiamo alle precedenti conclusioni rassegnate dal c.t.u. nelle pregresse relazioni da correlare ai chiarimenti successivamente richiesti nell’interesse della ricorrente. Ad ogni modo la Corte felsinea, con motivazione sufficiente ed esente da vizi logici, ha attestato in proposito che l’evidente sommarietà della relativa verbalizzazione delle risposte in ordine ai chiarimenti richiesti non conteneva certamente una valida smentita delle conclusioni riferite al cinematismo a cui lo stesso ausiliario era pervenuto nelle relazioni del 16 agosto 1995 e del 25 settembre 1996.

5. Con il quinto motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1223 e 1227 c.c., unitamente al vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa un punto essenziale della decisione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), in relazione alla prospettata allegazione che la sentenza aveva posto a suo carico, sulla base della c.t.u., voci di danno improprie, non quantificate negli elementi, alla luce della discordanza fra preventivi esaminati e fatture non oggetto di valutazione, benchè depositate in atti.

5.1. Anche questo motivo appare inammissibile per difetto di autosufficienza laddove non riporta specificamente le supposte voci di danno improprie che sarebbero state addebitate alla ricorrente in base alla documentazione contabile in atti (il cui contenuto, peraltro, non risulta altrettanto dettagliatamente richiamato). In ogni caso, deve rilevarsi che, anche con riferimento a questa doglianza, la Corte territoriale ha adottato una motivazione sufficientemente adeguata, essendo pervenuta alla individuazione del danno ed alla correlata quantificazione sulla scorta delle congrua ricostruzione effettuata dal c.t.u. in base agli accertamenti eseguiti sull’opera e alla documentazione relativa agli interventi complessivi realizzati.

6. Con il sesto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 1375, 1223 e 1227 c.c., nonchè del D.P.R. n. 547 del 1955, congiuntamente alla contraddittoria motivazione su un punto essenziale della causa (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), ovvero in relazione all’argomentazione della sentenza impugnata con la quale, pur dandosi atto che la macchina non era a norma (e, perciò, non in grado di potere essere impiegata per il lavoro se non violando le prescrizioni ISPELS), si era ritenuto equo addebitare ugualmente il danno per il fermo macchina ad essa C. sia per il tempo necessario alla sostituzione della torretta che per il tempo successivo, allorquando la macchina era rimasta in attesa dell’eliminazione dei difetti dell’opera.

7. Con il settimo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2697 c.c., congiuntamente ai vizio di omessa motivazione su un punto essenziale (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), ovvero intorno alla questione che il risarcimento per lucro cessante avrebbe dovuto costituire oggetto di una prova rigorosa e, peraltro, era stata correlata alle risultanze di una c.t.u., in ordine alla quale era stata sollevata tempestivamente eccezione di nullità.

7.1. I riportati due motivi (dedotti come sesto e settimo) – che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi – sono anch’essi privi di pregio.

Anche su tali punti si rileva che la Corte territoriale ha adottato una motivazione del tutto congrua ed ispirata a criteri certamente logici. In primo luogo, il giudice di appello ha evidenziato come, dalla analitica descrizione dei lavori eseguiti dalla società ricorrente (contenuta nella prima relazione del c.t.u.), era risultato che la nuova torretta montata fu (diversamente da quanto asserito dalla C. autogrù s.r.l.) non già sostituita bensì meramente adattata per l’eliminazione del riscontrato disassamento, con la conseguenza che l’appellante (odierna ricorrente) non avrebbe potuto dedurre che, in sede di accertamento e di determinazione del danno, le fosse stato nuovamente ed indebitamente accollato anche il costo della torretta stessa che aveva già corrisposto alla società Piazzola in esecuzione del provvedimento giudiziale emesso ai sensi dell’art. 700 c.p.c..

Inoltre, la stessa Corte territoriale ha risposto adeguatamente anche alla censura sulla supposta illegittimità del danno da lucro cessante riconosciuto alla società Piazzola, essendo rimasto accertato che il mancato guadagno era derivato dall’impossibilità per la ditta committente di utilizzare l’autogrù per il periodo di sei mesi corrispondente al tempo complessivo in cui la stessa era rimasta presso la società Corradini (dapprima per la sostituzione della torretta e, quindi, per l’eliminazione, rimasta inadempiuta, dei difetti conseguenti all’accertato “disassamento”). Peraltro, la stessa Corte bolognese, con argomentazioni altrettanto logiche ed adeguate, ha sostenuto che, indipendentemente dalla potenziale inutilizzabilità del mezzo meccanico in quanto non conforme alle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, non avrebbe potuto essere escluso il riconoscimento dei danno da lucro cessante risultando non solo possibile ma anche opportuno (come, dei resto, attestato dal c.t.u.) che l’esecuzione delle ulteriori opere (non costituenti oggetto della convenzione di appalto) necessarie per la regolarizzazione del mezzo venisse differita fino alla constatazione del buon esito delle operazioni relative al ripristino dei cinematismo della torretta, da eseguirsi da parte della società appaltatrice a cui era, quindi, addebitabile l’ulteriore ritardo al fine di rendere pienamente e legittimamente idoneo all’uso il mezzo meccanico da riparare, come tale comportante l’emergenza di un pregiudizio economicamente valutabile a titolo di lucro cessante.

8. Con l’ottavo ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto la supposta violazione delle tariffe professionali di cui al D.M. del 1994 e dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che le spese liquidate in primo grado avevano superato i massimi tariffar degli onorari e dei diritti, avuto riguardo alla compensazione di un terzo delle stesse disposta dal giudice e al valore della controversia.

8.1. Quest’ultima doglianza è inammissibile perchè del tutto generica e priva de requisito di autosufficienza, dal momento che la ricorrente si lamenta dell’attribuzione alla controparte delle spese di lite in misura asseritamente maggiore di quella che le sarebbe spettata in relazione ai criteri tariffari effettivamente applicabili, senza, tuttavia, indicare quali diritti e quali onorari sarebbero stati liquidati in misura eccessiva o, almeno, quale avrebbe dovuto essere, in modo analitico, la somma da riconoscersi per gli uni per gli altri nel limite massimo tariffario, onde consentire un concreto controllo nella presente sede di legittimità dell’eventuale violazione dedotta.

9. In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della soccombente società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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