Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1552 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2021, (ud. 27/01/2020, dep. 26/01/2021), n.1552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 19780-2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.G., Rappresentata e difesa dall’avv. Domenico D’Arrigo,

elettivamente con domicilio presso lo studio dell’avv. Paola

Ramadori, in Roma via M. Prestinari 13;

– Controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 42/67/13 depositata il 25/01/2013;

Udita la relazione svolt3 nella Camera di consiglio del 27.01.2020

dal Consigliere Dott. Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 42/67/13 depositata il 28 gennaio 2013.

La vicenda trae origine dalla notifica a P.G. dell’avviso di accertamento con cui l’Ufficio ha inteso recuperare a tassazione, per l’anno di 2002, la maggior imposta IRPEF per Euro 16.036,00 e l’addizionale regionale per Euro 776,00. La pretesa discendeva dall’accertamento di un maggior reddito di Euro 46.640,00 quale plusvalenza a seguito della cessione di due terreni edificabili.

Il contribuente opponeva l’atto innanzi alla CTP di Brescia che rigettava il ricorso. Il successivo appello del P. veniva, invece, accolto.

Il ricorso dell’Amministrazione è basato su di un unico motivo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, e del T.U. n. 917 del 1986, artt. 67 e 68.

Ha resistito il contribuente con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate è stato notificato il 28 gennaio 2013 ed era basato sulla giurisprudenza di questa Corte, allora consolidata, secondo cui “In tema di accertamento, ai fini IRPEF, delle plusvalenze patrimoniali realizzate a seguito di cessione di azienda, il valore….(del bene), determinato in via definitiva ai fini dell’imposta di registro, assume carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria. Ne consegue che può legittimamente presumersi la corrispondenza di tale valore con il prezzo reale, spettando, invece, al contribuente la prova del diverso valore in applicazione di un minor coefficiente legale di calcolo, sempre che si tratti di dati rigorosamente dimostrativi e fondati su riscontri obiettivi.” (Sez. 5, 01/10/2015, n. 19622).

Malgrado la giurisprudenza di questa Corte fosse quella testè richiamata, già la CTR aveva ritenuto di disattenderla, con riferimento al caso di specie, anche in considerazione del contenuto scarto tra il valore accertato ai fini dell’imposta di registro ed il valore dichiarato, per cui – argomentava – quanto accertato per detta imposta non poteva giustificare, di per sè, la presunzione di un maggior corrispettivo incassato dal contribuente.

Impugnata dall’Ufficio detta decisione, al fine di riaffermare il principio innanzi richiamato, nel corso del giudizio di legittimità, è sopravvenuto il D.Lgs. n. 147 del 2015, che, con l’art. 5, comma 3, ha disposto che “Gli artt. 58,68,85 e 86 T.U.I.R., approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre, n. 347”.

Il nuovo assetto normativo non poteva che riflettersi sulla evoluzione giurisprudenziale, orientandola nel senso che “In tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria” (Sez. 5, del 08/05/2019, n. 12131).

E’, così, venuta meno, ai fini della determinazione della imposte sul reddito, la presunzione della corrispondenza tra il corrispettivo della cessione d’immobili e il valore accertato ai fini dell’imposta di registro. Presunzione che era onere del contribuente superare.

Ne consegue che il ricorso dell’Ufficio basato, esclusivamente, sulla ritenuta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, e del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 67 e 68, per aver il giudice regionale disapplicato il ricordato vincolante parametro, deve ritenersi infondato alla stregua, appunto, della sopravvenuta disposizione normativa e va rigettato.

Alla soccombenza segue la condanna alle spese.

Non sussistono i presupposti per la condanna dell’Amministrazione al versamento del c.d. doppio contributo in forza della giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che “Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo” (Sez. 6 – L, 29/01/2016, n. 1778).

La decisione richiamata riflette il “principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte e tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di sè stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge” (SS.UU., 8/5/2014, n. 9938).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 oltre spese e oneri di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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