Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15518 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. II, 22/06/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 22/06/2010), n.15118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.G., in qualità di moglie ed erede di L.C.,

L.L., L.P., L.R., nella qualità di

figli e coeredi di L.C., elettivamente domiciliati in

Roma, Circonvallazione Clodia n. 19, presso lo studio dell’avvocato

Gian Antonio Minghelli, rappresentati e difesi dall’Avvocato BRUMANA

FRANCO per procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.F., CE.GI., F.D.,

M.M., MU.SE., MU.AN., P.R., TO.AN.,

R.M., MI.SI., elettivamente domiciliati in Roma,

via Cosseria n. 5, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO

FRANCESCO, dal quale sono rappresentati e difesi, unitamente

all’Avv. Grella Umberto, per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

IMMOBILIARE GRAZIA di Trulli Marco & C. s.a.s., in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di cassazione n. 1274 depositata il

24 gennaio 2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LECCISI Giuseppe, che ha chiesto, previa integrazione

del contraddittorio nei confronti della Immobiliare Grazia di

Tedesco Assunta Stefania e di N.V.A. in proprio,

la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso;

sentito, per i ricorrenti, l’Avvocato Franco Caroleo con delega.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con atto di citazione notificato il 18 ottobre 1991, L.C. e T.G., proprietari del suolo e della casa ivi edificata in (OMISSIS), convenivano davanti al Tribunale di Milano C.F., CE.GI., F.D., M.M., MU.SE., MU.AN., P.R., TO.AN., R.M., MI.SI., quali proprietari delle cinque villette confinanti con la loro proprietà, perchè fossero condannati alla rimozione delle opere costruite in violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni, stabilite dal regolamento edilizio del Comune di Legnano e dal codice civile, oltre al risarcimento danni;

che, costituitisi, i convenuti contestavano la domanda e chiedevano ed ottenevano di chiamare in causa la Immobiliare Grazia S.a.s., ed il socio accomandatario della stessa N.V.A., che avevano loro venduto le villette, chiedendo nei confronti degli attori il rigetto della domanda e nei confronti dei terzi chiamati di essere garantiti e manlevati da tutte le conseguenze pregiudizievoli che potessero a loro danno verificarsi dall’accoglimento delle domande attoree, chiedendo, altresì, in tal caso la riduzione del prezzo di vendita delle villette, oltre al risarcimento danni;

che i terzi chiamati, nel costituirsi in giudizio, contestavano le domande contro di loro proposte;

che, espletata C.T.U., il Tribunale di Milano, con sentenza del 26 ottobre 1998, accoglieva la domanda attrice condannando i convenuti a rimuovere la costruzione eretta sul confine con la proprietà degli attori, nella parte che si eleva oltre il piano di campagna originario della loro proprietà, fino a ristabilire la distanza stabilita dal regolamento comunale di Legnano, oltre al risarcimento danni in favore degli attori liquidati equitativamente in L. 30.000.000; accoglieva la domanda di garanzia dei convenuti nei confronti dei terzi chiamati, ponendo a carico di questi ultimi le spese sostenute dagli attori e dai convenuti;

che, sulla impugnazione principale dei convenuti e su quella incidentale degli attori, la Corte di Appello di Milano, con sentenza 20 marzo 2001, rigettava l’appello principale nei confronti degli attori, accoglieva parzialmente l’impugnazione svolta dai convenuti nei confronti dei terzi chiamati, stabilendo in L. 211.200.000, oltre interessi, il deprezzamento del valore delle ville; accoglieva l’appello incidentale ponendo a carico degli appellanti le spese giudiziali sostenute in primo grado dai coniugi L.- T.; confermava nel resto la sentenza del Tribunale, condannando gli appellanti a rifondere agli stessi coniugi anche le spese del secondo grado di giudizio;

che avverso tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione P.R., To.An., F.D., C.F., Ce.Gi., R.M., Mi.Si., Mu.Se., Mu.An.;

che, con sentenza n. 1274, depositata il 24 gennaio 2006, la Corte di cassazione ha accolto il primo e il terzo motivo del ricorso, assorbito il secondo;

che la Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse errato quando, nell’individuare quale fosse la normativa applicabile alla fattispecie, si era limitata a rilevare che, dettando le N.T.A. del regolamento edilizio del Comune di Legnano una norma generale che fissa in m. 4 il distacco minimo delle costruzioni dal confine, e, consentendo l’art. 44 dello stesso regolamento di costruire lungo i confini i boxes che non superano in altezza m. 2.40 ed in superficie mq. 50, ciò avrebbe comportato, per i boxes seminterrati, per i quali nessuna disciplina specifica sarebbe stata prevista nel regolamento edilizio, che essi avrebbero dovuto rientrare nella regola dettata dalla norma generale, comportante la necessità di rispettare il distacco di m. 4 dal confine relativamente alla parte fuori terra dei suddetti boxes;

che, in proposito, la Corte ha osservato che, disciplinando l’art. 44, u.c., del regolamento edilizio i boxes interamente costruiti fuori terra, per i quali era prevista la facoltà di costruzione sul confine con i limiti di superficie ed altezza sopra riportati, l’interpretazione della Corte d’Appello sarebbe stata contraria alla ratio posta a fondamento delle norme sui distacchi (che è quella di evitare intercapedini dannose), perchè avrebbe comportato, contraddittoriamente, l’obbligo di applicare una disciplina meno restrittiva per le costruzioni fuori terra più alte (m. 2,40 dal piano terra) e, quindi, più dannose ai fini della costituzione delle intercapedini; e, viceversa, una disciplina più restrittiva per quelle costruzioni che essendo interrate per due terzi della loro altezza, avrebbero, a parità di altezza complessiva, una sporgenza fuori terra minore delle precedenti e, perciò, meno dannose agli stessi fini;

che, inoltre, ha rilevato la Corte, l’applicazione delle norme fatta dalla Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della disciplina normativa sopravvenuta ed in particolare dell’art. 22, comma 2, n. 3, delle N.T.A., nella nuova formulazione di cui alla deliberazione consiliare n. 74 del 13 luglio 1999, che non subordinava ad alcun distacco dal confine la realizzazione di boxes con altezza massima di m. 2, 40, altezza che, in mancanza di limitazioni non poteva che riguardare le costruzioni fuori terra e, quindi, oltre quelle specificamente indicate nella norma, anche i boxes seminterrati oggetto di causa, per la parte sporgente fuori terra;

che, ha concluso la Corte di cassazione, se prima della norma novellata la disciplina espressamente dettata soltanto per la costruzione sul confine dei boxes fuori terra (con determinati requisiti di superficie e di altezza) lasciava implicitamente intendere, relativamente ai boxes seminterrati (le cui modalità di costruzione erano previste in via generale dal R.E.C.), l’inapplicabilità della norma sul distacco di m. 4 delle costruzioni dal confine, perchè, in caso contrario si sarebbe irragionevolmente disciplinato in maniera più severa una fattispecie di minore gravità, l’entrata in vigore del novellato art. 22, comma 2, n. 3 delle N.T.A., con l’avvenuta liberalizzazione della costruzione di boxes sul confine nel solo rispetto dei limiti di altezza, comportava, da un lato l’abrogazione implicita di quelle norme che avendo contenuto contrario erano diventate incompatibili con il nuovo dettato normativo; e dall’altro lato, comunque l’obbligo di applicare la norma sopravvenuta più favorevole, anche ai processi in corso, non essendosi sul punto formato il giudicato;

che la Corte accoglieva anche il terzo motivo, in quanto la contumacia della T. nel giudizio di appello e la richiesta, in sede di conclusioni, del solo L. di riformare, in punto spese, la sentenza di primo grado, non consentivano di estendere alla T. la pronuncia resa dalla Corte d’Appello a favore del marito, essendo la sentenza del Tribunale, relativamente alle spese di primo grado, ormai passata in giudicato nei suoi confronti;

che, avverso questa sentenza, T.G., e L.P., L. e R., nella qualità, rispettivamente, di moglie e figli eredi di L.C. hanno proposto ricorso per revocazione;

che hanno resistito, con controricorso, C.F., CE.GI., F.D., M.M., MU.SE., MU.AN., P.R., TO.AN., R.M., MI.SI.;

che, all’esito dell’udienza camerale del 2 ottobre 2008, in prossimità della quale i controricorrenti hanno depositato memoria, la Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della IMMOBILIARE GRAZIA DI TEDESCO ASSUNTA STEFANIA s.a.s. (già di Novella Vincenzo Alessio & C.) e di N.V.A. in proprio;

che, rifissata la trattazione del ricorso, con ordinanza emessa all’esito dell’udienza del 5 maggio 2009, questa Corte disponeva la rinnovazione della notificazione alla Immobiliare Grazia di Tedesco Assunta Stefania s.a.s.;

che, avendo i ricorrenti proceduto alla integrazione del contraddittorio nei confronti della IMMOBILIARE GRAZIA di Trulli Marco & C. s.a.s. (già di Novella Vincenzo Alessio & C. e già di Tedesco Assunta Stefania & C.), è stata fissata la trattazione nell’udienza camerale del 18 marzo 2010.

Considerato che, con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti sostengono che la Corte di cassazione avrebbe omesso di considerare che l’area ove era situata la costruzione, oggetto della sentenza cassata, era considerata dal PRG zona di completamento e che l’art. 22, comma 2, delle NTA del PRG vigente all’epoca della costruzione, stabiliva la distanza minima di quattro metri dal confine;

che pertanto, posto che era pacifico, in quanto ammesso dagli stessi ricorrenti nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, che l’area ove era situata l’opera in contestazione era indicata quale zona di completamento del PRG, i ricorrenti in revocazione rilevano che a seguito della variazione delle NTA era stata introdotta una norma di carattere generale che consentiva la costruzione a confine solamente dei box auto che avessero un’altezza non superiore a mt. 2,40;

che, osservano tuttavia i ricorrenti, il nuovo art. 22, comma 3, n. 2, lett. b), prevedeva una disciplina speciale per le zone di completamento, che stabiliva quale condizione ulteriore e necessaria il fatto che la superficie dei boxes fosse inferiore a 50 mq.;

che, nel decidere il ricorso, la sentenza impugnata ha invece supposto che l’area in questione non fosse collocata nella zona di completamento e quindi non ha considerato le limitazioni previste per tale zona sia dalle NTA vigenti all’epoca della costruzione, sia da quelle modificate e ha concluso affermando la regolarità delle distanze con riferimento alla sola regola generale;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti sostengono che la Corte avrebbe erroneamente supposto che il manufatto oggetto della rimozione fosse costituito dai boxes e non dal solettone di copertura del corsello comune e ha quindi ritenuto erroneamente applicabili alla fattispecie le norme vigenti all’epoca della costruzione e quelle successive che consentivano la realizzazione dei boxes a confine;

che il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni;

che, innanzitutto, il ricorso difetta della esposizione sommaria dei fatti di causa richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 3, applicabile anche al ricorso per revocazione (Cass., S.U., 17631 del 2003; Cass., S.U., 24170 del 2004);

che, invero, i ricorrenti nulla deducono su quale fosse l’originario oggetto della controversia, su quale fosse stato lo svolgimento del processo in primo grado, in grado di appello e nel giudizio di cassazione e di quali posizioni abbiano assunto nei detti giudizi le parti, con specifico riferimento alle sentenze intervenute nel corso del giudizio;

che, da altro punto di vista, quello che viene dedotto con il primo motivo di ricorso non integra un errore revocatorio;

che, infatti, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ricorre errore di fatto quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi;

che, all’evidenza, come si desume dal testo della sentenza impugnata per revocazione che prima si è riportato, il fatto che l’area sulla quale erano stati realizzati i boxes da parte degli allora ricorrenti ricadesse nella zona di completamento, è circostanza della quale la Corte ha tenuto conto nella formulazione della propria decisione, sia allorchè ha dato atto della formulazione dei motivi di ricorso, nei quali si specificava la detta circostanza (v. pag. 10 della sentenza impugnata), sia allorchè ha applicato ed esaminato la normativa edilizia del Comune di Legnano, sia prima che dopo le modifiche apportate con la delibera consiliare del 1979, affermando espressamente che la conoscenza della normativa stessa spettava d’ufficio al giudice di legittimità;

che, pertanto, deve escludersi che, nella specie, possa essersi verificato il denunciato errore di fatto;

che peraltro, a ben vedere, i ricorrenti, con il motivo in esame, sembrano dolersi dell’interpretazione data dalla sentenza impugnata alla normativa edilizia applicabile;

che anche da questo punto di vista il motivo risulta inammissibile, in quanto “l’istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione può essere basata esclusivamente sull’errore di fatto in cui la Corte possa essere incorsa nella lettura degli atti del processo a quo ovvero degli atti propri del giudizio di legittimità; l’errore revocatorio, che consiste in un errore di percezione che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, non è configurabile nell’ipotesi in cui riguardi norme giuridiche, essendo la loro violazione o falsa applicazione un errore di diritto” (Cass., n. 13367 del 2009; Cass., n. 26074 del 2005);

che anche il secondo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza delle censure proposte essendosi i ricorrenti limitati ad enunciare che oggetto della domanda non sarebbero state le costruzioni edificate dai resistenti ma il “corsello comune che conduceva al piano interrato delle villette ove erano situati i loro box, le cantine e altri locali delle controparti”;

che, peraltro, dalla sentenza impugnata emerge che il Tribunale di Milano ha accolto la domanda dei ricorrenti, che era quella di demolizione delle costruzioni per la parte che si elevava oltre il piano di campagna originario della proprietà dei convenuti;

che, pertanto, era onere dei ricorrenti esplicitare nel ricorso che il fatto oggetto del secondo motivo era stato dedotto sia nell’atto introduttivo, sia, eventualmente, in sede di appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale che al “corsello” non aveva fatto alcun riferimento, laddove dalla sentenza impugnata emerge che i ricorrenti hanno proposto appello incidentale per ragioni del tutto diverse;

che, in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti, in solido tra loro, devono essere condannati al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

 

 

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