Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15517 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 22/06/2017, (ud. 17/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15517

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14749-2013 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA (OMISSIS), in persona dell’institore

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI SANT’ANDREA

DELLA VALLE 6, presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

B.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

APPIA NUOVA 478, presso lo studio dell’avvocato LUIGI BUGLIOSI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

M.V., M.G., M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2077/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza numero 346 del 1994 il pretore di Roma, Sezione distaccata di Tivoli, in accoglimento della domanda di spoglio proposta da M.V., M.L., C. e G. confermò l’ordinanza di reintegra nel possesso della servitù di passaggio attraverso la linea ferroviaria Roma Sulmona emessa nel corso della fase cautelare nei confronti delle Ferrovie dello Stato – Società di trasporti e servizi per azioni F.S. s.p.a. e rimise le parti innanzi al Tribunale di Roma per la decisione in ordine alla domanda risarcitoria, disponendo la compensazione delle spese di lite;

avverso la citata sentenza, le Ferrovie dello Stato proposero appello chiedendo il rigetto della domanda di reintegra del possesso;

all’esito del relativo giudizio d’appello nel corso del quale, per la parte appellata si era costituita la sola M.M.L., il Tribunale di Roma con sentenza numero 17577 del 2001 riformò la pronuncia, rigettando la domanda possessoria e condannando i M. in solido alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio;

M.M.L. ricorse per cassazione avverso la predetta sentenza;

la Corte di Cassazione, con sentenza numero 17272 del 2005, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, relativo alla carenza di motivazione, cassava la pronuncia con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma;

M.M.L. riassumeva il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendo il rigetto dell’appello proposto dalle Ferrovie dello Stato, con condanna alle spese;

si costituiva la Rete ferroviaria italiana s.p.a., insistendo per la riforma della sentenza a suo tempo emessa dal Tribunale con vittoria delle spese.

A seguito dell’interruzione del giudizio per il dichiarato decesso di M.M.L. il procedimento veniva riassunto da B.A. nella qualità di unica erede;

la Corte d’Appello, all’esito del giudizio di rinvio, riteneva non fondato l’appello proposto dalla Rete Ferroviaria Italiana avverso la sentenza numero 346 del 1994;

secondo i giudici del gravame non risultava contestato il passaggio attraverso il varco al livello da parte dei ricorrenti così come l’interclusione del fondo di loro proprietà determinatasi per effetto della soppressione del servizio di guardiania, che in precedenza consentiva l’innalzamento manuale della sbarra ad opera di un dipendente dell’ente ferrovie;

a tal proposito la Corte d’Appello rilevava che il Pretore di Tivoli non aveva ordinato il ripristino del servizio di guardiania ma aveva disposto la reintegra nel possesso della servitù, prescrivendo l’adozione dei provvedimenti a tal fine occorrenti;

osservava ancora la Corte d’Appello che i M. non avevano richiesto che il rispetto della servitù avvenisse necessariamente attraverso la fornitura del servizio di guardiania ma si erano limitati ad invocare il rigetto dell’appello proposto alle Ferrovie dello Stato e la conferma della pronuncia resa dal Pretore di Tivoli che aveva imposto l’adozione di ogni comportamento idonea allo scopo;

l’esercizio del possesso poteva essere assicurato anche tramite una modalità diversa dall’organizzazione di un servizio di guardiania, tanto che sarebbe stata sufficiente la consegna al M. di una chiave in modo da consentire ai M. di aprire di volta in volta la sbarra per uscire dal terreno intercluso;

del tutto irrilevante era la circostanza dedotta che i M. non avessero mai chiesto la consegna della chiave di apertura in quanto, come aveva sottolineato la Corte di Cassazione, alla luce del principio che regola la distribuzione dell’onere della prova, era a carico della rete ferroviaria italiana l’onere di dimostrare di aver messo gli appellati nelle condizioni di esercitare il possesso della servitù;

d’altra parte nel corso dell’istruttoria di primo grado era emerso che il pulsante di chiamata non era risultato idoneo, pertanto, in assenza di qualsiasi elemento di prova fornito dalla parte appellante in ordine alla asserita possibilità offerta alla M. di passare attraverso la linea ferroviaria anche dopo la soppressione del servizio di guardiania, doveva ritenersi che i M. erano stati effettivamente privati della concreta possibilità di oltrepassare la ferrovia e che gli stessi, pertanto, avessero legittimamente agito in via possessoria;

sulla base di tale motivazione l’appello proposto dalla rete ferroviaria italiana veniva respinto;

avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione Rete Ferroviaria Italiana SpA sulla base di un unico motivo;

si è costituita con controricorso B.A., chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il motivo di ricorso attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5;

la sentenza impugnata sarebbe viziata a causa dell’errata applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 116 cod. proc. civ. in tema di onere della prova;

la Corte d’Appello si sarebbe limitata a recepire acriticamente le deduzioni della controparte sulle censure svolte dalla Suprema Corte in occasione della precedente pronuncia;

deduce la ricorrente che la Suprema Corte, nel cassare la precedente sentenza d’appello, non aveva fornito alcuna indicazione da cui dedurre la fondatezza della domanda dei Signori M.;

l’esito del giudizio di appello avrebbe dovuto essere nel senso che non era esperibile la tutela possessoria perchè il petitum dei Signori M. era relativo ad una presunta obbligazione accessoria alle servitù avendo questi sempre avuto la possibilità di accedere al Fondo con modalità alternativa alla guardiania;

sarebbe errata, quindi, la sentenza d’appello rispetto all’affermazione che il pulsante a chiamata non era idoneo ad assicurare il passaggio;

secondo i ricorrenti i M. avrebbero dovuto rendersi disponibili a modalità alternative come quella di ricevere delle chiavi o un passaggio automatico di sblocco mediante meccanismo a distanza mentre non avevano mai fornito alcuna prova che il pulsante a chiamata non funzionasse e che nessuno delle ferrovie fosse venuto ad aprire il passaggio a livello;

in conclusione non vi sarebbe stata alcuna azione di spoglio da parte delle ferrovie che avrebbero continuato a garantire l’accesso al fondo;

il motivo è in parte inammissibile in parte infondato;

in primo luogo deve evidenziarsi che secondo la giurisprudenza di legittimità: “In tema di ricorso per cassazione, la deduzione della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 (Sez. 3, n. 11892 del 2016 Rv. 640193 e Sez. L, n. 13960 del 2014 Rv. 631646);

per questa parte, pertanto, il motivo è inammissibile.

per la restante parte relativa all’omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5;

il motivo è del tutto infondato;

in tema di tutela possessoria, non ogni modifica apportata alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce, spoglio o turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso (Sez. 6 – 2, n. 8275 del 2011 e Sez. 2, n. 10819 del 2001), infatti, la molestia o turbativa si configura solo attraverso un comportamento dell’autore che abbia un congruo ed apprezzabile contenuto di disturbo del possesso altrui e che renda in tal modo più gravoso e notevolmente difficoltoso l’estrinsecarsi della posizione del possessore (Sez. 2, n. 11036 del 2003);

in materia di tutela possessoria delle servitù di passaggio, diretta al ripristino dello stato di fatto arbitrariamente mutato contro la volontà del possessore del fondo dominante, è irrilevante accertare se, nonostante la modifica dello stato dei luoghi, sia ancora possibile un diverso modo di esercizio della servitù, in quanto nel giudizio possessorio deve soltanto accertarsi se vi è stata o meno una modifica nella situazione dei luoghi produttiva di apprezzabile riduzione delle modalità di esercizio della servitù caratterizzanti il possesso precedente (Sez. 2, n. 3534 del 1983);

in altri termini, le modifiche della situazione di fatto del fondo servente gravato da servitù di passaggio, apportate da parte del proprietario, non possono in nessun caso comportare limitazioni al contenuto della servitù di passaggio e, comunque, devono essere in grado di assicurare al titolare di essa la libera e comoda esplicazione, salvo un minimo e trascurabile disagio, del suo diritto;

spetta al giudice di merito stabilire quali misure, in concreto, risultino più idonee a contemperare l’esercizio dei due diritti, quello di apportare modifiche al fondo servente e quello di libero e comodo esercizio della servitù da parte del proprietario del fondo dominante, avuto riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità del suo esercizio, allo stato e configurazione dei luoghi;

l’apprezzamento in concreto in ordine alla idoneità o meno della modifica a comportare una menomazione rispetto alla situazione precedente, costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se adeguatamente e correttamente motivato (Sez. 2, n. 15977 del 2001);

anche la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Sez. 6 – 5, n. 1414 del 2015);

la motivazione della sentenza impugnata è ineccepibile, risultando evidente che in presenza di un passaggio a livello che interclude il fondo dominante, la soppressione da parte delle ferrovie dello Stato del servizio di guardiania e la sua sostituzione con un pulsante a chiamata costituisce una forte limitazione della possibilità di esercitare il passaggio che risulta, certamente, più gravoso e difficoltoso per il titolare del fondo dominante;

in conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 3.200,00 (tremiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge;

dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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