Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15515 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 22/06/2017, (ud. 17/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14477-2012 proposto da:

T.B.V. (OMISSIS), T.L. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, V.NIZZA 59, presso lo studio

dell’avvocato ROSA BONOMO, rappresentati e difesi dall’avvocato

ROCCO VIGGIANO;

– ricorrenti –

contro

I.R., ((OMISSIS)) M.D.M. ((OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI, 27, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA MELUCCO, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

e contro

T.N., T.R., TE.NI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 93/2011 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 22/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Fatto

RITENUTO

che:

T.N., R., L., B.V. e Mu.Lu. citavano in giudizio dinanzi al pretore di Potenza I.R. e M.D.M. chiedendo l’eliminazione di una servitù di veduta ex art. 905 cod. civ. e la regolarizzazione di una luce;

gli attori a fondamento della domanda deducevano, in primo luogo, di essere i proprietari dell’immobile sito alla (OMISSIS), in catasto (OMISSIS), confinante con un immobile di proprietà dei convenuti e, in secondo luogo, che i convenuti avevano realizzato al secondo piano del loro fabbricato, sulla facciata confinante due vedute illegittime e al piano superiore una luce non conforme a legge;

i convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande e il Tribunale di Potenza rigettava le domande in quanto gli attori non avevano dimostrato la titolarità del diritto di proprietà dell’immobile a tutela del quale agivano;

avverso tale sentenza proponevano appello i soli T.B.V. e T.L.;

la Corte d’Appello, con ordinanza del 16 ottobre 2009, ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli attori non appellanti;

secondo i giudici del gravame in primo grado avevano agito, quali comproprietari dell’immobile gravato da servitù, T.N., R., L. B.V. e Mu.Lu. mentre l’appello era stato proposto dai soli T.B.V. e L. i quali, tuttavia, avevano affermato di avere acquistato dai fratelli le quote del fabbricato a tutela del quale era stata esercitata l’azione;

secondo la Corte d’Appello nel caso di specie si era realizzata una successione a titolo particolare, per atto tra vivi, nel diritto controverso, successione che imponeva la prosecuzione del processo tra le parti originarie e, dunque, per questo motivo, andava disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli attori originari, con termine di 30 giorni per la notifica;

gli appellanti integravano il contraddittorio solo nei confronti di R. e N., mentre a causa del decesso di Mu.Lu., tentavano di notificare l’atto di integrazione del contraddittorio anche a TE.NI., in qualità di erede di quest’ultima, ma la notifica non andava a buon fine per un errore di indirizzo. Per questo motivo gli appellanti chiedevano nuovo termine perchè il plico indirizzato a TE.NI. era stato restituito al mittente;

su invito del giudice istruttore, l’appellante aveva documentato tale circostanza depositando il plico dal quale era emerso che la notifica non era stata effettuata per un errore relativo al numero civico che era il (OMISSIS) e non il (OMISSIS) come indicato all’ufficio giudiziario. Veniva pertanto concesso nuovo termine, nulla opponendo la parte avversa e TE.NI. si costituiva in giudizio;

successivamente gli appellati chiedevano la revoca dell’ordinanza di rinnovazione del contraddittorio e l’inammissibilità dell’impugnazione, precisate le conclusioni veniva rinviata la causa per la decisione;

la Corte d’Appello dichiarava l’inammissibilità dell’appello previa revoca dell’ordinanza di rinnovazione del termine per l’integrazione del contraddittorio e compensava le spese;

la motivazione della Corte d’Appello si fonda su due presupposti: il primo riprende la sentenza delle sezioni unite n.7607 del 2010 secondo cui: “la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della consegna del medesimo all’ufficiale giudiziario la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione esige che la consegna della copia del ricorso per la spedizione a mezzo posta venga effettuata nel termine perentorio di legge e che l’eventuale tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non a responsabilità del notificante; pertanto, la data di consegna all’ufficiale giudiziario non può assumere rilievo ove l’atto in questione sia “ab origine” viziato da errore nell’indicazione dell’esatto indirizzo del destinatario, poichè tale indicazione è formalità che non sfugge alla disponibilità del notificante”;

il secondo evidenzia che l’ordinanza integrazione del contraddittorio era stata comunicata il giorno del suo deposito, in data 16 ottobre 2009, con termine di trenta giorni da tale comunicazione per effettuare l’adempimento processuale. L’appellante aveva consegnato gli atti di citazione all’ufficiale giudiziario in data 27 ottobre 2009 e la restituzione del plico con l’attestazione dell’errore nell’indicazione del numero civico era avvenuta il 6 novembre 2009. Residuava, dunque, un congruo termine entro il quale l’appellante avrebbe potuto attivarsi per rinnovare la notificazione nel rispetto del termine fissato dal giudice, pertanto la non ottemperanza all’ordine integrazione del contraddittorio entro il termine assegnato che ha natura perentoria, determina l’inammissibilità dell’impugnazione;

avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione T.B.V. e T.L. sulla base di un unico motivo;

si sono costituiti con controricorso I.R. e M.D.M., chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

L’unico motivo di ricorso attiene alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 101, 102, 103, 331 e 332 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

secondo i ricorrenti la sentenza si basa sull’erroneo presupposto della sussistenza di una causa inscindibile per la quale, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., è necessaria l’integrazione del contraddittorio, invece, trattandosi di un’azione a tutela della proprietà, nella specie negatoria servitutis, ogni comproprietario è legittimato ad agire anche autonomamente ed indipendentemente dagli altri contitolari;

pertanto non ricorrerebbe un’ipotesi di litisconsorzio necessario, ben potendo agire il singolo comproprietario a tutela della proprietà o del godimento della cosa comune;

sostengono i ricorrenti che, in ogni caso, sarebbe errata la revoca dell’ordinanza di integrazione del contraddittorio in quanto non vi era nessun obbligo degli appellanti di notificare l’atto di integrazione anche a TE.NI., vertendosi in causa scindibile ed essendosi il contraddittorio in appello validamente instaurato con la notificazione agli appellati;

neanche nell’ipotesi di litisconsorzio processuale potrebbe giustificarsi la sentenza della Corte d’Appello in quanto TE.NI. non aveva partecipato al giudizio di primo grado e non era, dunque, parte necessaria del giudizio d’appello (anche perchè l’usufrutto di Mu.Lu. si era estinto con la sua morte e, quindi, l’erede non doveva partecipare al giudizio);

secondo i ricorrenti nella specie TE.NI. non era parte necessaria del giudizio e dunque al massimo si potrebbe ipotizzare un’estinzione parziale;

il motivo di ricorso non è fondato;

il presupposto da cui muove il ricorrente, secondo cui si tratta di cause scindibili nelle quali non sussiste litisconsorzio necessario, non coglie la ratio decidendi della Corte d’Appello;

nella premessa della sentenza impugnata, infatti, si afferma espressamente che l’azione non doveva necessariamente essere esercitata da tutti i comproprietari del fabbricato posto che oggetto della causa non era il mutamento dello stato di fatto della proprietà degli attori bensì di quella dei convenuti;

la Corte d’Appello ha ritenuto, invece, sussistere la necessità dell’integrazione del contraddittorio perchè vi era stata una successione a titolo particolare nel diritto controverso;

la sentenza della Corte d’appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “Il trasferimento “inter vivos” del diritto controverso determina, agli effetti dell’art. 111 cod. proc. civ., la prosecuzione del processo tra le parti originarie, non venendo meno la legittimatio ad causam della parte cedente, sicchè, in caso di decesso di quest’ultima, il rapporto processuale non subisce alterazioni, ma solo vicende interruttive, trasmettendosi la legittimazione ad agire o a resistere in giudizio, in base all’art. 110 cod. proc. civ., dal “de cuius” agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta la durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario, senza che abbia rilievo che il diritto controverso non fosse più nel patrimonio del “de cuius” al momento dell’apertura della successione” (Sez. 2, n. 15107 del 2014);

si è ritenuto, inoltre, che in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegua fra le parti originarie, mantenendo il successore interventore tale veste processuale, salvo il caso di espressa estromissione dell’alienante. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso per cassazione che sia notificato unicamente al successore interventore e non alla controparte originaria (Sez. 2, n. 6471 del 2012);

Infatti, nell’ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e prima della scadenza del termine per la impugnazione, il dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che la impugnazione della sentenza spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti essa è stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore a titolo particolare (Sez. 2, n. 6038 del 2000);

nel caso di specie gli appellanti sono, allo stesso tempo, parti originarie del giudizio di primo grado, in qualità di comproprietari del bene a tutela del quale hanno agito, e successori a titolo particolare nel diritto controverso, avendo acquistato la restante quota del bene in comproprietà con gli altri fratelli e con Mu.Lu.;

pertanto, giustamente la Corte d’Appello ha ritenuto che l’appello dovesse essere notificato anche agli altri originari comproprietari in quanto, trattandosi di una causa inscindibile, si era determinata l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio in fase di impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio;

tale esigenza, infatti, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso di cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipi al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra di loro da un rapporto litisconsortile necessario, semprechè si tratti di cause inscindibili o tra di loro dipendenti (art. 331 cod. proc. civ.), nel qual ultimo caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 8636 del 1987);

questo collegio non ignora che, talvolta, in casi simili a quello in esame, questa Corte ha ritenuto non necessario procedere all’integrazione del contraddittorio;

si pensi alla pronuncia secondo la quale: “In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, la mancata notificazione dell’appello al dante causa nei confronti del quale sia stata pronunciata la sentenza di primo grado non comporta l’invalidità del giudizio di impugnazione promosso dal successore, qualora tale giudizio, consapevolmente disertato dall’alienante, si sia svolto senza che alcuna delle parti presenti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, e la relativa sentenza sia stata pronunciata soltanto nei confronti dell’avente causa: sebbene, infatti, il dante causa che non sia stato precedentemente estromesso dal giudizio assuma la posizione di litisconsorte necessario, ed in tale veste debba essere chiamato, in linea di principio, nella fase di gravame, gli indicati elementi integrano i presupposti per la sua estromissione, con la conseguente perdita della posizione di litisconsorte necessario (Sez. 5, n. 10955 del 2007);

nella specie, tuttavia, le condizioni per ritenere estromessa Mu.Lu. dal giudizio non si erano verificate;

in primo luogo perchè vi era stata formale eccezione della difesa degli appellati di integrazione del contraddittorio, quindi, la circostanza era controversa ed, in secondo luogo, perchè TE.NI., in qualità di erede della Mu., non ha disertato consapevolmente il giudizio ed anzi, quando, tardivamente, gli è stato notificato l’appello si è anche costituito mostrando di avere ancora interesse al giudizio;

la circostanza che la Mu. fosse solo usufruttuaria del bene non è mai stata dedotta nel corso dei vari gradi del giudizio e non può essere proposta oggi in sede di ricorso per cassazione, senza peraltro indicare alcun elemento a sostegno;

deve rilevarsi, infine, che tutte le censure sono rivolte alla decisione del giudice d’appello, circa la necessità di ordinare l’integrazione del contraddittorio, mentre non viene messo in discussione il fatto che una volta disposto con ordinanza di notificare l’appello anche alle parti originarie, tale ordine sia rimasto inadempiuto nei confronti di TE.NI.;

in conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento di questo giudizio, liquidate in Euro 2700,00 (duemilasettecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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