Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15514 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 30/06/2010), n.15514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI CITTA’ DI CASTELLO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NISI

FABIO con studio in CITTA’ DI CASTELLO CORSO VITTORIO EMANUELE N. 38

(avviso postale), giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

CONAGIT SCARL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 87/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 22/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Città di Castello ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale dell’Umbria dep. il 22/09/2005 che aveva respinto l’appello del medesimo avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia che aveva accolto il ricorso della Con. Ag. It. soc. coop. a r.l. in ordine agli avvisi di accertamento per ICI per l’anno 1998 e 1999 ;

la CTR,in particolare, confermando la sentenza gravata,aveva ritenuto la natura agricola degli immobili del consorzio destinati rispettivamente ad abitazione del custode e alla lavorazione dei prodotti conferiti dalle cooperative socie del consorzio , ritenendo irrilevante la circostanza che i terreni fossero di proprietà del Consorzio di cooperative e che, anzichè essere coltivati da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale, erano coltivati da cooperative di coltivatori,e ciò per l’intero anno 1998 per l’abitazione del custode, anche se accatastato come immobile urbano, e per i primi cinque mesi del 1998, e cioè fino all’entrata in vigore del D.P.R. n. 139 del 1998, che introduceva il D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, per quanto concerneva gli altri immobili. Il Comune ricorrente affida il ricorso a due motivi fondati su violazione di legge e vizio motivazionale.

La società contribuente non ha resistito.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti deducono violazione del aggiunto D.L. n. 557 del 1993, comma 3 bis, dalla L. n. 139 del 1998 e vizio motivazionale assumendo che tale disposizione non poteva ritenersi meramente interpretativa con la conseguenza che non poteva darsi applicazione retroattiva della disposizione in argomento.

Col secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1, 2 e 3 e del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 e 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994, assumendo che il consorzio in questione svolgeva attività industriale trasformando i prodotti agricoli anche provenienti da soggetti diversi dalle cooperative e li commercializzava.

I motivi per la stretta connessione devono essere trattati congiuntamente.

Gli stessi devono essere decisi in relazione alla recente pronunzia delle SS.UU. di questa Corte (n. 18565/2009) che hanno ricostruito il corretto approccio metodico alla problematica della natura rurale di un fabbricato insistente su area rurale, in relazione al principio base della normativa sull’ICI che assegna al classamento catastale(e alla rendita catastale) la natura di “presupposto” su cui si fonda il tributo.

Le SS.UU. prendono le mosse dal recente D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, che recita: “Ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni” ha fornito una chiave di lettura particolare del rapporto tra terreno e costruzione che vi insiste.

La norma che fa richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, e, pertanto, è dichiarata espressamente disposizione di interpretazione autentica ed è quindi applicabile retroattivamente (SS.UU. 18565/2009) convince che il fabbricato ha natura autonoma rispetto al terreno su cui insiste e non ne mutua sic et simpliciter la natura, potendovi essere fabbricato insistente su terreno agricolo di natura rurale e, pertanto secondo l’ultima disposizione citata, per radicale scelta legislativa non considerato fabbricato, ovvero non rurale e pertanto soggetto a imposta.

Le SS.UU. evidenziano “la decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere (o per affermare) l’assoggettabilita ad ICI di un fabbricato” e affermano il seguente principio di diritto che, per la sua esaustività,si trascrive: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria ((OMISSIS) o (OMISSIS)), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale (OMISSIS) o (OMISSIS) al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta. Per i fabbricati non iscritti in catasto l’assoggettamento all’imposta è condizionato all’accertamento positivamente concluso della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della ruralità del fabbricato previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, e successive modificazioni che può essere condotto dal giudice tributario investito dalla impugnazione dell’avviso di accertamento o di liquidazione proposta dal contribuente, sul quale grava l’onere di dare prova della sussistenza dei predetti requisiti in base alla normativa vigente ratione temporis.

Facendo questa Corte proprio l’insegnamento espresso dalla superiore sentenza delle SS.UU. circa il rapporto tra l’iscrizione in catasto quali rurali di tali fabbricati con l’esclusione ipso jure dall’ambito di applicabilità dell’ICI, salva la possibilità per il Comune di impugnare il classamento – e la diversa ipotesi in cui non sia classato in cui spetta al giudice del merito accertare la ruralità dell’immobile in relazione alla normativa vigente ratione temporis, nel caso in esame dal ricorso non risulta se l’immobile sia stato o meno accatastato, e pertanto quale sia la opzione interpretativa consentita al giudice.

Invero una valutazione positiva di ammissibilità dei motivi di ricorso fondati sulla dedotta , presupporebbe l’ipotesi dell’immobile non accatastato, in cui il giudice – secondo l’insegnamento delle SS.UU. – ha il potere incidentale di verificare la ruralità del fabbricato secondo la normativa ratione temporis applicabile, laddove un accatastamento “sfavorevole” per il contribuente o per il Comune, imporrebbe la previa impugnativa dello stesso.

Orbene nel caso in esame, in ordine all’abitazione del custode è indiscusso e risulta dalla stessa sentenza che l’immobile è accatastato quale immobile urbano.

Occorreva, pertanto, in base al superiore orientamento la preventiva impugnazione dell’accatastamento per rimuovere la qualificazione pregiudizievole al contribuente. Il giudice del merito non avrebbe pertanto potuto delibare incidenter tantum la natura agricola dell’immobile onde il relativo motivo è inammissibile.

Per quanto concerne gli altri immobili, il ricorso non fornisce tali elementi necessari, e cioè non indica se gli immobili fossero o meno accatastati e, in caso positivo, con quale categoria, per una corretta scelta della linea interpretativa,non potendo questa Corte adottare decisioni aventi il carattere della ipoteticità o della alternatività, che sarebbero necessariamente consequenziali alla genericità sul punto del ricorso.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese non essendosi il contribuente difeso.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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