Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15513 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 30/06/2010), n.15513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22943/2006 proposto da:

F.L., F.M., F.R., F.

V., G.R., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

DANDOLO 19 presso lo studio dell’ AVVOCATO MORO, rappresentati e

difesi dall’avvocato GAMBULI Michele, giusta delega a argine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CITTA’ DI CASTELLO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 53/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 09/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.L., F.M., F.R., F. V. e G.R. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale dell’Umbria dep. il 07/04/2005 che aveva accolto l’appello del Comune di Città di Castello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia; quest’ultima aveva accolto il ricorso dei contribuenti in ordine agli avvisi di accertamento per ICI per l’anno 1995, 1996 e 1997; la CTR, in particolare, riformando la sentenza gravata, aveva escluso la matura agricola degli immobili in quanto erano stati concessi in affitto e non risultava che fossero utilizzati da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale.

I ricorrenti affidano il ricorso a due motivi fondati su violazione di legge e vizio motivazionale.

Il Comune non ha resistito.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti deducono violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. h), in relazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, commi 3 e 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994, come mod. dalla L. n. 139 del 1998, assumendo, sotto un primo profilo, che era rilevante la circostanza che i fabbricati insistessero su aree considerate montane, dal cui regime derivava l’intassabilità.

Sotto altro profilo,deducono che era rilevante solo il profilo oggettivo, riconosciuto peraltro anche dalla CTR, della strumentalità dei fabbricati in questione, essendo invece irrilevante, oltre che non previsto dalla legge, il requisito soggettivo della utilizzazione da parte di un coltivatore diretto, del tutto inventato dalla CTR. Col secondo motivo deducono vizio motivazionale essendo incontestato che i fabbricati in questione erano stati concessi in affitto con contratto del 30/10/1994 unitamente ai terreni agricoli annessi a F.S. e M.E. a seguito di divisione ereditaria.

I motivi per la stretta connessione devono essere esaminati congiuntamente.

Il primo rilievo e cioè che i fabbricati godessero della esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. H, per il fatto di insistere su aree delimitate quali montane o di collina, non è fondato in quanto la disposizione in esame si riferisce ai” terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi della L. 27 dicembre 1977, n. 984, art. 15″.

Il legislatore ha avuto chiara la distinzione tra terreni e fabbricati come emerge dal dato testuale della lettura dell’art. 7 medesimo in cui si distinguono i fabbricati (lett. b, c, d, e, f, g) i terreni (lett. h) e gli immobili di cui alle lettere a) e i).

Di poi tutta la elaborazione normativa di siffatta materia ha portato dalla originaria confusione o immedesimazione del terreno agricolo con la costruzione – che il D.Lgs. n. 504 del 1992, istitutivo dell’ICI., non assoggetta ad autonoma tassazione, in quanto la redditività facente capo a tali costruzioni è compresa nel reddito dei terreni agricoli, ossia dei terreni adibiti all’esercizio delle attività agricole indicate nell’art. 2135 cod. civ. (Cass. n. 2005/18853, n. 13334/2006, n. 16701/2007) – all’autonomia dei due concetti, con la necessità imposta dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133, di iscrivere al N.C.U. anche i fabbricati rurali. Pertanto, non è possibile individuare un principio in base al quale il fabbricato mutui il regime fiscale dal suolo. Passando all’esame delle rimanenti censure che, per motivi di stretta connessione possono essere trattate congiuntamente, le stesse devono essere decise in relazione alla recente pronunzia delle SS.UU. di questa Corte (n. 18565/2009) che hanno ricostruito il corretto approccio metodico alla problematica della natura rurale di un fabbricato insistente su area rurale, in relazione al principio base della normativa sull’ICI che assegna al classamento catastale (e alla rendita catastale)la natura di “presupposto” su cui si fonda il tributo.

Le SS.UU. prendono le mosse dal recente D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, che recita: “Ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni” e che fornisce una chiave di lettura particolare del rapporto tra terreno e costruzione che vi insiste.

La norma che fa richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, e, pertanto, è dichiarata espressamente disposizione di interpretazione autentica ed è quindi applicabile retroattivamente (SS.UU. citate) convince che il fabbricato ha natura autonoma rispetto al terreno su cui insiste e non ne mutua sic et simpliciter la natura, potendovi essere fabbricato insistente su terreno agricolo di natura rurale e, pertanto secondo l’ultima disposizione citata, per radicale scelta legislativa non considerato fabbricato, ovvero non rurale e pertanto soggetto a imposta.

Le SS.UU. evidenziano “la decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere (o per affermare) l’assoggettabilità ad ICI di un fabbricato” e affermano il seguente principio di diritto che, per la sua esaustività, si trascrive: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria ((OMISSIS)), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale (OMISSIS) al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta. Per i fabbricati non iscritti in catasto l’assoggettamento all’imposta è condizionato all’accertamento positivamente concluso della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della ruralità del fabbricato previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, e successive modificazioni che può essere condotto dal giudice tributario investito dalla impugnazione dell’avviso di accertamento o di liquidazione proposta dal contribuente, sul quale grava l’onere di dare prova della sussistenza dei predetti requisiti in base alla normativa vigente ratione temporis.

Facendo questa Corte proprio l’insegnamento espresso dalla superiore sentenza delle SS.UU. circa il rapporto tra l’iscrizione in catasto quali rurali di tali fabbricati, con l’esclusione ipso jure dall’ambito di applicabilità dell’ICI, salva la possibilità per il Comune di impugnare il classamento-e la diversa ipotesi in cui non sia classato, in cui spetta al giudice del merito accertare la ruralità dell’immobile in relazione alla normativa vigente ratione temporis, nel caso in esame, dal ricorso non risulta se l’immobile sia stato o meno accatastato, e pertanto quale sia la opzione interpretativa consentita al giudice.

Invero una valutazione positiva di ammissibilità dei motivi di ricorso fondati sulla dedotta strumentalità, presupporebbe l’ipotesi dell’immobile non accatastato, in cui il giudice – secondo l’insegnamento delle SS.UU. – ha il potere incidentale di verificare la ruralità del fabbricato secondo la normativa ratione temporis applicabile, laddove un accatastamento “sfavorevole” per il contribuente; o per il Comune, imporrebbe la previa impugnativa dello stesso.

Ma il ricorso non fornisce tali elementi necessari per una corretta scelta della linea interpretativa,non potendo questa Corte adottare decisioni aventi il carattere della ipoteticità o della alternatività, che sarebbero necessariamente consequenziali alla genericità sul punto del ricorso.

Il ricorso,pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Non si provvede sulle spese non essendosi il Comune difeso.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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