Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15510 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. II, 14/07/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 14/07/2011), n.15510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ANDREA BAFILE 13, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA

MICHELE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIANCHINI SALVATORE;

– ricorrente –

contro

P.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato BOGGIA

MASSIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato FERLITO FULVIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 844/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Edoardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 17.4.2001 T.G. conveniva avanti il tribunale di Firenze, P.S., premettendo che quest’ultima, tramite il mediatore Z., gli aveva proposto l’acquisto di un immobile, sito in (OMISSIS), denominato Villa (OMISSIS), per il prezzo di L. 3.600.000.000, come indicato nella lettera datata 10.1.2001 e nella pianta alla stessa allegata del bene compravenduto; che tale proposta di vendita veniva confermata dalla successiva lettera del 5.2.01; che in data 14.2.2001 l’attore a sua volta riceveva da parte della soc. Abitat 95, una proposta d’acquisto, irrevocabile fino al 30.7.01, per il prezzo di L. 6.000.000.000, avente ad oggetto sempre lo stesso immobile a lui promesso in vendita dalla P.; quest’ultima, con lettera in data 15.2.2001 prorogava la propria proposta fino al 25.2.2001 e dichiarava per la prima volta di essere solo comproprietaria dell’immobile in questione, unitamente alla propria madre ed al propria fratello; che dopo ulteriore proroga del termine di validità della proposta, l’attore, con telegramma del proprio procuratore avv. Po., chiedeva all’attrice la consegna della documentazione necessaria per la stipula del rogito; che la P. con una nuova lettera in data 14.3.2001 comunicava ad esso attore che i propri familiari non erano orientanti favorevolmente per la vendita dell’immobile e che comunque un’eventuale vendita, in considerazione dei prezzi di mercato della zona, non poteva avere luogo per un prezzo inferiore a L. 4.500.000; tutto ciò premesso e rilevato altresì che la lettera in data 10.1.2001 costituiva una proposta di vendita ai sensi dell’art. 1329 c.c., mentre le successive lettere della convenuta avevano esteso la validità della proposta in parola, chiedeva l’attore all’adito tribunale di condannare la medesima P. a rendersi acquirente della nominata Villa (OMISSIS), con l’ordine di trasferirne la proprietà ad esso attore per il prezzo convenuto di L. 3.600.000.000, ovvero in caso contrario, di condannarla al risarcimento dei danni subiti e subendi, nella misura di L. 2.400.000.000.

In giudizio si costituiva la P. contestando l’avversa domanda, di cui sollecitava il rigetto.

L’adito tribunale di Firenze, con la decisione n. 3847/2002, rigettava tutte le domande attrici, condannando il T. al pagamento delle spese processuali. Secondo i primo giudice non era configurabile una proposta irrevocabile di vendita, trattandosi solo di semplici trattative; mentre non era configurabile una domanda ex art. 1337 c.c. con riferimento all’istanza risarcitoria da lui avanzata.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il T., e l’adita corte d’appello di Firenze con la decisione n. 844/05 , rigettava l’impugnazioni confermando la tesi della sentenza appella: ribadiva che non esisteva prova della proposta irrevocabile di vendita, atteso che la lettera della P. del 10.1.2001 siccome indirizzata al solo mediatore Z. e non anche ad un acquirente dell’immobile, non costituiva proposta di vendita ma unicamente la fissazione dei termini dell’incarico conferito al mediatore stesso; quanto alla lettera della P. al T. del 5.2.2001, essa non rappresentava che un ” riepilogo informativo delle condizioni principali della vendita” e non voleva costituire da parte della proprietà un impegno a vendere l’immobile in questione. Quanto alla domanda risarcitoria, osservava la Corte fiorentina che non era stata proposta una domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, e che comunque la stessa sarebbe infondata nel merito non essendo riscontrabile un comportamento del contraente contrario alla buona fede.

Avverso la predetta sentenza T.G. propone ricorso per cassazione fondato su 3 mezzi; l’intimata resiste con controricorso ed ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 e 1329 c.c..

L’esponente contesta l’assunto del giudice a quo secondo il quale la lettera del 10.1.01 era diretta solo al mediatore e non anche ad un possibile acquirente del cespite immobiliare. Assume che la proposta negoziale presupponeva la sola volontà del venditore d’impegnarsi contrattualmente e poteva pervenire al destinatario anche tramite l’interposizione di una terza persona (in questo caso il mediatore T.) che era stato il referente di tutte le comunicazioni successive; da tutto ciò doveva evincersi – secondo l’esponente – che la lettera de qua integrava una proposta ferma e irrevocabile e costituiva un negozio unilaterale che, analogamente all’opzione, attribuiva all’oblato il diritto potestativo di concludere un contratto.

Ad avviso del Collegio, la doglianza è infondata, non essendo ravvisabili i denunciati vizi di legge.

Occorre premettere che secondo questa S.C., deve configurarsi una vera e propria proposta contrattuale e non una semplice dichiarazione generica di disponibilità, “solo quando una parte rivolga all’altra un’offerta precisa e particolareggiata di conclusione di un determinato contratto, completa di tutti gli elementi essenziali, in modo tale che l’altra parte possa esprimere la sua accettazione con il semplice consenso senza bisogno di ulteriori trattative” (Cass. n. 7094 del 24/05/2001). Ciò posto, appare corretta l’interpretazione della lettera in questione da parte dei giudici di merito che l’hanno ritenuta non alla stregua di una proposta negoziale (di cui non aveva i contenuti di completezza del futuro contratto), ma di un mero atto di fissazione dei termini dell’incarico conferito al mediatore.

Si osserva al riguardo che , secondo questa Corte regolatrice ” …, affinchè sia configurabile una proposta – idonea a determinare, nel concorso dell’adesione del destinatario, la conclusione di un valido contratto – occorre che la dichiarazione del proponente sia completa, nel senso di contenere tutti gli elementi del futuro contratto, e che, inoltre, non sia accompagnata da riserve sul suo carattere attualmente impegnativo, perchè la dichiarazione che non manifesti una decisione, ma sia rivolta al destinatario solo per impostare una trattativa o per esprimere una disponibilità dell’autore senza la volontà di esporsi al vincolo contrattuale se non dopo ulteriori passaggi valutativi, non conferisce al destinatario stesso il potere di determinare, con l’accettazione, l’effetto conclusivo del contratto. (Cass. n. 15964 del 07/07/2009).

In riferimento poi all’ipotesi in cui, come nella fattispecie, la proposta sarebbe stata fatta tramite un terzo (il mediatore) , ha precisato questa S.C. che …”la proposta di concludere un contratto, costituendo un atto giuridico di natura negoziale diretto a provocarne l’accettazione da parte del destinatario, presuppone la volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente; detta volontà – che vale a distinguere la proposta dalla semplice manifestazione della disponibilità a trattare – mentre è di norma implicitamente desumibile dal fatto che il proponente abbia indirizzato al destinatario un atto che abbia un contenuto idoneo ad essere assunto come contenuto del contratto, deve, invece, essere concretamente accertata ove la proposta sia pervenuta al destinatario tramite un terzo, in particolare dovendosi verificare se la trasmissione dell’atto sia avvenuta ad iniziativa di chi ha formato il documento ovvero del terzo, all’insaputa di quello. (Cass. n. 6788 del 03/07/1990).

Con il 2^ motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. e deduce l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento per comportamento contrario a buona fede, come peraltro era stato specificato nel giudizio di primo grado nella memoria ex art. 183 c.p.c..

Anche tale censura non ha pregio, perchè non vi è stata alcuna violazione della norma processuale citata. La Corte distrettuale ha precisato in proposito che non era stata proposta una domanda di risarcimento danno da responsabilità precontrattuale e, in ogni caso tale domanda, ove fosse stata proposta, sarebbe stata infondata nel merito, non essendo configurabile alcun comportamento contrario a buona fede nell’atteggiamento della P., proprio perchè a medesima in realtà non aveva espresso alcuna proposta dì vendita del suo cespite (mancando, tra te altre cose, un accordo sul prezzo dell’immobile). Si osserva inoltre che nel regime processuale vigente all’epoca in cui era stata promossa la domanda , l’art. 183 c.p.c., consentiva di precisare o modificare le domande già proposte ma non pure di avanzare domande nuove. Secondo questa S.C. ” nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 c.p.c., introdotto dalla L. n. 353 del 1990, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo l’intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano – in quanto espressione di un interesse pubblico – l’ampliamento successivo del “thema decidendi” anche se su di esso si venga a registrare il consenso de convenuto” (Cass. n. 26691 del 13/12/2006).

Con il 3^ mezzo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,105,117 c.p.c.; art. 2697 c.c. in relazione alle richieste istruttorie non ammesse dal 1 giudice.

l motivo è inammissibile, in quanto è privo di autosufficienza non essendo state riprodotte le prove della cui mancata ammissione si duole il ricorrente.

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per onorario, oltre spese ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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