Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1551 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2020, (ud. 20/06/2019, dep. 23/01/2020), n.1551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15303-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.P. in proprio e nella qualità di erede di

C.G., D.C. e C.O. nella qualità di eredi

di C.G., M.F., P.A.,

T.B., P.V., V.S., P.S.,

L.D.A., M.F.V., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MASSIMO FERRARO;

– controricorrenti –

contro

F.V.;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato il 17 febbraio 2012 dinanzi alla Corte di appello di Roma, P.V., M.F.V., P.S., T.B., M.F., P.A., L.D.A., V.S., C.P., C.G. e F.V. chiedevano, ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata della procedura fallimentare della (OMISSIS) s.p.a., iniziata in data 29.07.1994, società della quale erano tutti ex dipendenti, ed ancora pendente.

Con decreto del 14 dicembre 2017, la Corte territoriale adita accoglieva la domanda, condannando il Ministero della giustizia al pagamento della somma di Euro 500,00 annui per ciascuno dei ricorrenti a titolo di indennizzo.

Avverso il decreto della Corte di appello di Roma il Ministero propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380 bis c.p.c.

Resistono con controricorso P.V., M.F.V., P.S., T.B., M.F., P.A., L.D.A., V.S., C.P., D.C. e C.O., in qualità di eredi del defunto C.G.. E’ rimasto intimato F.V..

Sono rimasti intimati Lo.Lo.Ma., Ca.An.Pi., Fa.Ch., G.S., Pa.Ma., Pe.Ma. e Z.A.E..

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo l’Amministrazione ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4, nonchè dell’art. 75 c.p.c., per non avere il decreto impugnato preso in considerazione l’eccezione di tardività della domanda indennitaria formulata dalla difesa erariale all’atto della costituzione in giudizio. A detta del Ministero, tale eccezione era stata formulata in quanto i crediti dei ricorrenti erano stati integralmente soddisfatti sin dal 2008, con conseguente perdita della qualità di parte nella procedura in corso e anticipazione a quella data della definizione del procedimento.

Il motivo è infondato.

Premesso che, come chiarito da questa Corte (Cass. n. 21349/2017), anche le procedure fallimentari sono soggette al principio di ragionevole durata del processo non solo nel caso in cui si abbia riguardo alla posizione del fallito, ma anche nel caso in cui venga in rilievo la posizione dei creditori insinuati al passivo, per cui va ribadito il principio, con specifico riferimento alle procedure fallimentari, secondo cui “in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo, la decisione che conclude il procedimento nel cui ambito si assume verificata la violazione, la quale segna il dies a quo del termine semestrale di decadenza per la proponibilità della domanda, può essere considerata “definitiva” se insuscettibile di essere revocata, modificata o riformata dal medesimo giudice o da altro giudice, chiamato a provvedere in grado successivo; pertanto, nelle procedure fallimentari giunte a compimento, il predetto termine semestrale decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non è più reclamabile in appello” (Cass. n. 221 del 2017).

Con la conseguenza che, ai fini della decorrenza del termine, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, deve aversi riguardo al provvedimento conclusivo del giudizio presupposto. Si appalesa, dunque, infondata la pretesa dell’amministrazione ricorrente di considerare esaurita la procedura fallimentare rispetto ai creditori con riferimento alla data di soddisfazione del loro credito, non essendo stato adottato a tale momento alcun provvedimento giudiziario di definizione della procedura nei loro confronti;

– con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in via subordinata, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per omessa o apparente motivazione. A detta del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe determinato un indennizzo annuo pari a Euro 500,00 per ciascun richiedente, non tenendo conto che i ricorrenti avevano ottenuto il pagamento di una parte significativa dei loro crediti già dal 2003.

Il motivo è parimenti infondato.

La determinazione del quantum dell’indennizzo si sottrae al sindacato di questa Corte, laddove essa sia sostenuta da adeguata motivazione (Cass. n. 28268 del 2018).

Nella specie, la Corte di appello ha riconosciuto a ciascuno dei ricorrenti un indennizzo di Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, affermando che detto importo è da ritenersi ragionevole e idoneo ad assicurare un adeguato ristoro alla parte interessata e che la modesta entità residua dei crediti come rilevabili dallo stato passivo comportava un danno da ritardo “estremamente modesto”, tale da giustificare lo scostamento verso il basso dai parametri indennitari fissati dalla Suprema Corte, fino a quel momento.

A ciò si aggiunga che nelle procedure fallimentari l’intervento del fondo di garanzia dell’INPS non ha effetto sul diritto all’indennizzo, ma ne giustifica soltanto l’eventuale decurtazione. Come chiarito da questa Corte, infatti, (Cass. n. 26421 del 2009) in tema di equa riparazione da durata irragionevole di una procedura fallimentare, l’azione esperita nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali di cui alla L. n. 297 del 1982 ed al D.Lgs. n. 80 del 1992 non condiziona l’insorgenza del diritto all’indennizzo, ai fini della quale è sufficiente la prova del fallimento del datore di lavoro e dell’ammissione del credito al passivo, potendo invece rilevare in sede di liquidazione dell’indennizzo, così da giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo indicato dalla CEDU.

Nel caso di specie, la Corte di appello ha considerato l’intervento del fondo di garanzia e ha affermato che di conseguenza si poteva tuttavia riconoscere un indennizzo contenuto in Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo ingiustificato.

Pertanto, considerato che il giudizio è stato instaurato con ricorso depositato il 17.02.2012, la decisione appare conforme ai principi elaborati da questa Corte con riferimento al contesto normativo anteriore all’entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che ha modificato la L. 24 marzo 2001, n. 89, per cui correttamente ha in concreto accordato un indennizzo su base annua di 750,00 per i primi tre anni e di 1.000,00 per i successivi.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, tenendo conto della pluralità delle parti resistenti ai sensi del D.M. n. 37 del 2018, ossia con unico compenso, aumentabile di una data percentuale (fino al 30 % se le cause riunite non superino le dieci, con un ulteriore 10 % per ciascuna causa oltre le dieci), secondo il disposto del D.M. n. 37 del 2018, art. 3, seguono la soccombenza, con distrazione in favore dell’avvocato Alessandro Ferrara, che ne ha fatto richiesta per averle anticipate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. Un. 11915 del 2014), a prescindere dal rilevare che un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, avendo nella specie agito il Ministero (Cass. n. 1778 del 2016).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il Ministero ricorrente alla rifusione delle spese in favore dei controricorrenti che vengono liquidate in complessivi 3.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avvocato Alessandro Ferrara, anticipatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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