Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15509 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 22/06/2017, (ud. 10/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2526-2013 proposto da:

M.G. (OMISSIS), MA.GA., elettivamente

domiciliati in ROMA, L. DI TORRE ARGENTI.11 ST RINALDI, presso lo

studio dell’avvocato BARTOLO DATTOLA, rappresentati e difesi

dall’avvocato FORTUNATO DATTOLA;

– ricorrenti –

contro

S.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPONIO

2, presso lo studio dell’avvocato ALBINA SERRA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO IATI’;

MU.MA.CA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPONIO

2, presso lo studio dell’avvocato ALBINA SERRA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO IATI’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 237/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 15/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con atto di citazione notificato in data 11.3.2011 M.G. e Ga. convennero innanzi alla Corte d’Appello di Reggio Calabria S.G.L., Mu.Ma.Ca., M.A. quale erede di M.G., Me.Gi. quale erede di M.A., F.B., B.L., Me.Ci. e Me.Cl. per la revocazione ex art. 395 n.3) cpc della sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria n.178/07, depositata in data 16.6.2007, divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n.647/2010, che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso la stessa.

Con tale pronuncia la Corte d’Appello aveva rigettato sia l’appello principale che gli appelli incidentali proposti avverso la sentenza emessa in data 23.12.2003 dal Tribunale di Reggio Calabria (a seguito di quella non definitiva, intervenuta in data 23.3.1963) pronunciata sulla domanda di riduzione di donazione per lesione di legittima, in relazione all’eredità del padre Ma.Ga., proposta in data 7.11.1955 da M.A. nei confronti dei fratelli M.F. (e poi gli eredi di costui, M.G. e Ga.) M.G. ed M.A. (e poi gli eredi di costei, Me.Gi. e Ga.), nonchè Mu.Gi., quale genitore esercente la potestà su Mu.Ma.Ca..

Il Tribunale di Reggio Calabria, determinato l’asse ereditario, costituito dalla metà – lato monte – del c.d. “(OMISSIS)”, ubicato in (OMISSIS) (mentre quella lato mare veniva attribuita all’altro fratello, M.G.), aveva assegnato il suddetto immobile a M.G. e Ga., prevedendo che gli stessi corrispondessero a S.G.L. (figlia dell’originaria attrice M.A.) ed a Mu.Ma.Ca., a titolo di reintegrazione della legittima lesa a causa delle donazioni effettuate dal de arius al figlio F. ante mortem, gli importi di Euro 24.211,14 e di Euro 29.412,52.

In data 17.02.2011 M.G. aveva peraltro scoperto nel fascicolo relativo al procedimento iniziato nel 1955 e formato dal defunto avv. Paolo Latella, difensore di M.F., e consegnatole pochi giorni prima dalla figlia dell’ avvocato medesimo, due contratti di transazione manoscritti;

con il primo di tali contratti, datato 01.12.1967, F. e M.A. definivano la lite giudiziale pendente tra loro mediante l’assegnazione ad M.A. di una porzione (di mq 1216) del (OMISSIS), con immediato effetto traslativo;

– con il secondo contratto, in data 12.02.1968, F. e M.G. confermavano la precedente transazione.

Il rinvenimento di tali contratti giustificava la revocazione della sentenza della Corte d’Appello n.178/07, in quanto emessa senza la cognizione di detti documenti, decisivi per il giudizio.

Gli attori indicavano altresì le ragioni che ne avevano reso impossibile la tempestiva produzione in giudizio:

– dopo la sentenza non definitiva del Tribunale, emessa il 23.3.1963, la causa aveva subito una sospensione quasi trentennale, in attesa della definizione del giudizio di appello, conclusosi il 5 marzo 1992, e per tale ragione la transazione conclusa il 1 dicembre 1967 tra i germani M.F. e A. non aveva potuto determinare l’estinzione della controversia.

Durante il suddetto periodo di sospensione era deceduto M.F., il quale nulla aveva comunicato in ordine alla transazione suddetta ai figli, che non avevano mai avuto conoscenza della stessa, ed a seguito della riassunzione del giudizio di primo grado erano rimasti contumaci, ritenendo di non avere più interesse alla causa poichè era già stato assegnato ad M.A. il “(OMISSIS)”, che la stessa già possedeva.

Sussisteva dunque la causa di forza maggiore ex art. 395 c.p.c., n. 3), non essendosi essi costituiti nel giudizio di primo grado, definito con sentenza pronunciata nella loro contumacia il 23 dicembre 2003, e tutto ciò rendeva ad essi non addebitabile la responsabilità della mancata produzione della transazione, mentre M.A. non aveva fatto alcuna menzione della stessa. S.G.L., erede di M.A., avrebbe dunque ottenuto una doppia reintegra, e cioè l’assegnazione della quota immobiliare, attribuita convenzionalmente alla sua dante causa e dalla stessa posseduta da lungo tempo, ed il suo valore, cioè la quota di conguaglio alla cui corresponsione in suo favore gli altri coeredi erano stati condannati.

Il rinvenimento fortuito di tali contratti integrava gli estremi di una causa di forza maggiore e legittimava la revocazione della sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Tanto premesso, M.G. e Ga. chiedevano la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, la revocazione di tale sentenza n. 178/2007 emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria e la declaratoria, nel merito, di cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese processuali, relative al procedimento iniziato nel 1955.

S.G.L., nel costituirsi, affermava di non aver mai avuto notizia delle transazioni in questione e di non essere a conoscenza della circostanza che la sua dante causa, M.A., aveva avuto il possesso del (OMISSIS).

Rilevava, in ogni caso, che la transazione in oggetto era nella disponibilità di M.F. e dei suoi difensori ed avrebbe pertanto potuto essere prodotta in giudizio nell’arco temporale intercorrente tra la sua stipulazione, avvenuta nel 1967, ed il decesso di quest’ultimo, nel 1972.

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda.

In via riconvenzionale, chiedeva dichiararsi l’inefficacia e la nullità e la risoluzione per inadempimento del contratto di transazione, non avendo M.F. effettuato la traditio della res e non potendone disporre, senza il consenso degli altri condividenti.

A seguito dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti del giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la revocazione, si costituiva Mu.Ma.Ca., la quale dichiarava che, per quanto a sua conoscenza, M.A. non aveva mai posseduto il (OMISSIS).

Anche lei chiedeva pertanto il rigetto della domanda.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria, dopo aver ricostruito le vicende processuali, confermava la sentenza impugnata, affermando che, seppure era verosimile che M.G. e Ga. non avessero avuto conoscenza del contratto di transazione, tale documento era noto al loro dante causa per averlo lui stesso sottoscritto. Esso poteva pertanto essere da lui prodotto sia nel giudizio d’appello (RG. 119/1963), proposto avverso la sentenza non definitiva del giudice di prime cure, che si era articolato in ben noie udienze nel periodo tra la stipula della transazione (dicembre 1967) e la morte di M.F. (febbraio 1972), sia nel procedimento RG. 1293/1955, in cui si erano svolte ben sette udienze, tra la data della transazione e quella in cui il fascicolo di primo grado era stato trasmesso alla Corte d’Appello per il procedimento R.G.119/1963 e la causa era stata cancellata dal ruolo (aprile 1970).

Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso, con tre motivi, M.G. e Ga.. Mu.Ma.Ca. e S.G.L. resistono con controricorso.

S.G.L., in prossimità dell’udienza collegiale ha altresì depositato memoria ex art. 378 codice di rito.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 deducendo che la Corte ha erroneamente ritenuto che la sussistenza dei requisiti di ammissibilità della revocazione sia valutabile in astratto ed, in particolare, che la parte onerata coincida con il soggetto fisico che aveva proposto la domanda e che il momento in cui opera la preclusione coincida con quello in cui il soggetto che ha proposto la domanda e che è a conoscenza del documento ne può apprezzare la positiva decisività per la sua posizione.

Secondo la prospettazione dei ricorrenti, al contrario, la Corte avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità dell’impugnazione straordinaria, in concreto, ed in particolare in relazione alla parte che ha proposto l’impugnazione straordinaria, se questa sia un soggetto diverso dalla parte originaria, che era a conoscenza del documento ma che, per causa di forza maggiore a lui non imputabile, non abbia potuto depositare tale documento prima dell’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, momento in cui secondo le norme ratione temporis applicabili operava la preclusione.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e la contraddittorietà della motivazione, deducendo che la Corte ha erroneamente rigettato la domanda di revocazione, pur avendo ritenuto sussistente il requisito della forza maggiore e cioè riconoscendo che gli odierni ricorrenti verosimilmente non avevano avuto conoscenza dei documenti in questione e di conseguenza non potevano produrli nel giudizio di appello a cui avevano partecipato.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, in subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte erroneamente ritenuto che si fosse verificata a carico di M.F. la preclusione della facoltà di deposito dei documenti, coincidente, secondo il rito vigente ratione temporis, con l’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, ed omettendo altresì di considerare che tali documenti erano divenuti decisivi dopo la riassunzione del procedimento di primo grado, riassunzione effettuata da M.A. solo in data 12.12.1994.

M.F., peraltro, era deceduto ben ventidue anni prima della riassunzione, e dunque prima che maturasse la preclusione processuale alla produzione di detti documenti e che gli stessi divenissero decisivi.

I tre motivi, in quanto intimamente connessi, meritano di essere esaminati congiuntamente e sono infondati.

Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’ipotesi di revocazione di cui all’art. 395 cod. proc. civ., n. 3) presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata (Cass. Civ. SS.UU. Sent. del 25/07/2007 n. 16402), che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, atteso l’uso dell’espressione “sono stati trovati” contenuta nel citato n. 3), alla quale fa riscontro il termine “recupero” adottato nei successivi artt. 396 e 398 cod. proc. civ. (Cass. Civ. Sez. 3 sent. del 20/02/2015 n. 3362). La mancata produzione in giudizio di un documento decisivo, pertanto, per dar luogo a revocazione, deve essere dipesa da forza maggiore, e cioè un avvenimento straordinario non riconducibile a un comportamento negligente della parte o a una strategia difensiva (Cass. Civ. Sez. 2 sent. del 28/05/2014 n. 12000). Deve trattarsi, quindi, di una circostanza straordinaria, che determina l’ignoranza assoluta ed incolpevole del documento decisivo, idonea a determinare, conseguentemente, la mancata produzione dello stesso in giudizio.

Nel caso in esame, gli odierni ricorrenti hanno proposto domanda di revocazione avverso la sentenza della Corte d’Appello n. 178/2007 sull’assunto che il rinvenimento fortuito dei due contratti di transazione integrasse gli estremi di una causa di forza maggiore, tenuto conto che vi era stata “ignoranza incolpevole” in capo agli stessi ricorrenti dell’esistenza dei predetti contratti, ignoranza che aveva determinato la mancata produzione in giudizio di tali atti decisivi.

Correttamente la Corte territoriale ha invece escluso il requisito della “forza maggiore”.

Il giudice di appello, pur rilevando che verosimilmente M.G. e Ga. non avevano avuto conoscenza dei documenti in questione, ha escluso che la mancata produzione in giudizio dei predetti documenti fosse dipesa da ignoranza assoluta e incolpevole dell’esistenza di tali atti in capo al soggetto che avrebbe potuto produrli, e cioè M.F., dante causa degli odierni ricorrenti. Infatti, quest’ultimo era evidentemente ben a conoscenza dell’esistenza dei contratti di transazione in questione, avendoli egli stesso sottoscritti e consegnati al proprio difensore, e ben avrebbe potuto depositarli sia nel giudizio R.G. 119/1963 che in quello RG. 1293/1955 atteso che, come ben evidenziato dalla Corte territoriale, in entrambi i procedimenti si erano svolte numerose udienze dalla data di stipula della transazione, in cui il M.F. avrebbe potuto produrre i documenti predetti.

La mancata produzione in giudizio dei contratti di transazione da parte di M.F., non è dunque dipesa da forza maggiore, ma da negligenza o da strategia difensiva, con conseguente mancanza del requisito di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3), apparendo al riguardo irrilevante che in relazione alla produzione dei documenti medesimi fosse o meno maturata la preclusione processuale, costituita dall’udienza di precisazione delle conclusioni, posto che la decisività dei documenti e la loro idoneità a definire il contenzioso pendente tra le parti risultava evidente.

In assenza di prova che il dante causa degli odierni ricorrenti, il quale era consapevole dell’esistenza della transazione per averla personalmente conclusa, non abbia provveduto alla produzione in giudizio della stessa (rinvenuta nel fascicolo processuale del proprio legale, vale a dire esattamente nel luogo deputato alla conservazione degli atti e documenti di parte) per circostanze straordinarie, estranee al proprio controllo, non può ritenersi che la mancata acquisizione dei documenti sia dipesa da causa di forza maggiore.

E poichè gli eredi sono subentrati nella stessa posizione del loro dante causa, non possono invocare quella forza maggiore, esclusa dalla consapevolezza che il proprio dante causa aveva dell’esistenza dei documenti in oggetto e dalla mancanza di eventi ostativi alla produzione dei medesimi.

Il ricorso va dunque respinto ed i ricorrenti vanno condannati in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione delle spese di lite in favore di S.G.L. e Mu.Ma.Ca. che liquida in 4.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge, in favore di ciascuna parte.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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