Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15501 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. II, 14/07/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 14/07/2011), n.15501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.E. (C.F.: (OMISSIS)) e M.R.

(C.F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in Roma, via

Albenga n. 45 presso lo studio dell’Avvocato Rita Brandi,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avvocato Sciacca Antonio;

– ricorrenti –

contro

B.L. (C.F.: (OMISSIS) e S.G. (C.F.:

(OMISSIS) elettivamente domiciliati in Roma, Via Pacuvio n.

34, presso lo studio dell’Avvocato Romanelli Guido, dal quale sono

rappresentati e difesi, unitamente all’Avvocato Franco Bertagna, per

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e

B.L. (C.F.: (OMISSIS));

– intimata –

e sul ricorso R.G. n. 25038/05 proposto da:

B.L. (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, via Albenga n. 45 presso lo studio dell’Avvocato

Luigi Ciccarelli, rappresentata e difesa dall’Avvocato Enrico

Brogneri per procura speciale a margine del ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

B.L. e S.G., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Pacuvio n. 34, presso lo studio dell’Avvocato Guido

Romanelli, dal quale sono rappresentati e difesi, unitamente

all’Avvocato Franco Bertagna, per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e

B.E. (C.F.: (OMISSIS)) e M.R.

(C.F.: (OMISSIS));

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 584 del 2004,

depositata il 2 agosto 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per i ricorrenti principali, l’Avvocato Antonio Sciacca;

sentito, per i controricorrenti, l’Avvocato Guido Romanelli ;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e l’accoglimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 5 novembre 1987, S.U. e B. L. convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di La Spezia, B.A., lamentando, per quanto ancora rileva, che quest’ultimo aveva modificato lo scarico delle acque, con incanalamento delle stesse nella loro proprietà, con creazione di servitù e causazione di danni; aveva realizzato una condotta di raccolta delle acque con scarico nel tombino di loro proprietà;

aveva edificato un box a distanza non regolamentare.

Il B. si costituì contestando la fondatezza delle domande e chiedendo, in via riconvenzionale, che venisse accertato l’illegittimo posizionamento della rete metallica di recinzione da parte degli attori.

L’adito Tribunale, con sentenza depositata il 17 novembre 2001, respinse le domande degli attori, tranne quella relativa all’arretramento del box, e accolse la domanda riconvenzionale di arretramento della rete metallica.

Avverso questa sentenza proposero appello principale il S. e la B., dolendosi della erroneità della statuizione in punto linea di confine tra i fondi, dovendo questa essere individuata nel bordo esterno del canale di scolo, nonchè della statuizione di rigetto della loro domanda di condanna del B. al ripristino della precedente regimentazione delle acque, alterata per effetto di opere realizzate sul fondo di proprietà del B., il quale quindi ne doveva rispondere. Il B., a sua volta, propose appello incidentale, dolendosi della condanna emessa nei suoi confronti ad arretrare il box.

Il processo venne interrotto per il decesso di B.A..

Riassunta la causa, si costituirono B.E. e M. R., riportandosi agli atti del proprio dante causa; si costituì altresì B.L., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, sul rilievo che il terreno oggetto di causa era divenuto per successione testamentaria di esclusiva proprietà di B.E.; e in subordine chiedendo il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento di quello incidentale.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 2 agosto 2004, rigettata la preliminare eccezione di difetto di legittimazione passiva di B.L., ha dichiarato che il confine tra i fondi di proprietà delle parti in causa era rappresentato dal bordo esterno, rispetto alla proprietà S. – B., del canale o del fosso di scolo; ha respinto la domanda riconvenzionale del B. volta ad ottenere l’arretramento della rete metallica; ha condannato B.E. e M.R., attuali proprietari del fondo già appartenuto a B.A., ad eliminare l’occlusione del tombino al fine di ripristinare il regolare deflusso delle acque portate dal canale di scolo.

La Corte ha rilevato che dall’atto notarile del 1913 emergeva con chiarezza che il canale di scolo posto al confine tra le proprietà delle parti doveva ritenersi incluso nella proprietà degli appellanti principali, e per l’effetto ha accolto anche il motivo di impugnazione con il quale i medesimi appellanti avevano censurato la sentenza di primo grado per avere loro ordinato di arretrare la rete metallica sul presupposto che il confine tra i fondi corresse lungo la linea di mezzeria del canale di scolo. Ha accolto altresì il motivo di gravame concernente il deflusso delle acque, ritenendo provato che il tombino ostruito era sito nel terreno B.. Ha infine rigettato l’appello incidentale, rilevando che dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio emergeva la violazione delle norme sulle distanze, essendo il box posizionato a circa 3,50 mt. dal confine, non rilevando la presenza di un muro in vicinanza del confine.

Per la cassazione di questa sentenza, hanno proposto ricorso B. E. e M.R. sulla base di quattro motivi; ha altresì proposto ricorso incidentale B.L.; hanno resistito ad entrambi i ricorsi, con distinti controricorsi, B. L. e S.G..

In prossimità dell’udienza, hanno depositato memoria e i controricorrenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi in quanto rivolti avverso la medesima pronuncia (art. 335 cod. proc. civ.).

2. Con il primo motivo del ricorso principale – denunciando violazione dell’art. 897 cod. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5,; difetto di motivazione, contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, – B.E. e M.R. censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di poter individuare il confine tra i fondi includendo il canale di scolo nel fondo di proprietà degli originari attori. L’atto notarile del 1913, sostengono i ricorrenti principali, non consentiva l’interpretazione affermata dalla Corte d’appello, la quale avrebbe dovuto, invece, fare applicazione dell’art. 897 cod. civ., in base al quale ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune.

2.1. Il motivo è infondato.

Occorre premettere che nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio secondo cui “in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità” (Cass. n. 13242 del 2010; Cass. n. 15381 del 2004;

Cass. n. 13839 del 2004). Nel giudizio di legittimità – invero – “le censure relative all’interpretazione del contratto collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata” (v., da ultimo, Cass. n. 23635 del 2010).

Nel caso di specie, nel mentre la sentenza della Corte d’appello risulta adeguatamente e logicamente motivata con riferimento alla portata dell’atto notarile del 1913, i ricorrenti sostengono, ma senza evidenziare la violazione di specifici canoni ermeneutici o specifici vizi della motivazione, una interpretazione diversa del medesimo atto. In sostanza, mentre la Corte d’appello ha ritenuto che il menzionato atto notarile dovesse essere inteso nel senso che l’intero canale posto al confine tra la proprietà dei ricorrenti e quella del B. fosse incluso nella proprietà degli appellanti – corroborando altresì tale interpretazione con alcuni riscontri desunti dallo stato dei luoghi -, gli odierni ricorrenti sostengono, invece, che il detto canale, in quanto posto a confine tra i due fondi, dovesse essere considerato di proprietà comune, sicchè il confine tra i due fondi doveva essere individuato nella linea di mezzeria del canale stesso. Ma simili deduzioni si risolvono, a ben vedere, in una inammissibile richiesta di diversa valutazione dell’atto notarile alla luce della situazione di fatto, già congruamente e adeguatamente apprezzata dal giudice del merito.

Il primo motivo di ricorso deve, quindi, essere rigettato.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti principali – lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4; nullità della sentenza – deducono che il contraddittorio in ordine alla domanda relativa alle opere eseguite e da eseguire sul tombino non fosse integro. La Corte d’appello, avendo ritenuto che il B. dovesse rispondere in quanto proprietario del fondo, non avrebbe potuto non rilevare la non integrità del contraddittorio, atteso che il fondo in questione era di proprietà di altri soggetti oltre al B..

3.1. Il secondo motivo è inammissibile.

Dalla sentenza impugnata emerge che la questione della non integrità del contraddittorio era stata effettivamente dedotta dal B. all’atto della costituzione in giudizio. L’adito Tribunale non si è pronunciato sul punto, avendo rigettato la domanda degli attori rispetto alla quale la questione della titolarità del diritto di proprietà sul fondo ove erano state eseguite le opere fonte di pregiudizio per gli attori veniva in rilievo.

Emerge altresì che, nel costituirsi nel giudizio di appello, gli eredi del B. ebbero a proporre appello incidentale su questioni diverse da quella della omessa decisione sulla preliminare eccezione di difetto di integrità del contraddittorio. Dall’esame dell’atto di costituzione nel giudizio di appello degli appellati e appellanti incidentali -esame al quale il Collegio può procedere in considerazione della natura processuale del vizio dedotto – si rileva, però, che la questione della integrità del contraddittorio non è stata riproposta dagli appellati, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ..

Orbene, se può convenirsi sul fatto che sulla questione della omessa integrazione del contraddittorio gli appellati non fossero tenuti a proporre appello incidentale, tuttavia, essi avrebbero certamente dovuto riproporre la questione ai sensi del citato art. 346 cod. proc. civ.. Dalla mancata riproposizione della eccezione in appello discende, quindi, la preclusione alla possibilità di far valere in sede di legittimità la non integrità del contraddittorio. Il principio secondo cui l’art. 346 cod. proc. civ. (decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte in appello) non si applica con riferimento alle questioni rilevabili d’ufficio deve coordinarsi con il sistema delle preclusioni e con l’art. 342 cod. proc. civ. (circa la specificità dei motivi d’impugnazione), in virtù dei quali la libera iniziativa del giudice con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio trova, infatti, un limite nel caso in cui una di tali questioni sia stata espressamente decisa nel precedente grado di giudizio ed il relativo punto non abbia formato oggetto d’impugnazione ovvero, nel caso di parte praticamente vittoriosa, non sia stato comunque riproposto al giudice di appello (Cass. n. 4009 del 2001; Cass. n. 21506 del 2004).

Del resto, anche la rilevabilità d’ufficio del difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di litisconsorti necessari è subordinata, nei giudizi di impugnazione, alla condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito e che sulla questione non si sia formato il giudicato (Cass. n. 26388 del 2008).

La questione della omessa integrazione del contraddittorio deve, dunque, ritenersi preclusa, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso che detta violazione faccia valere.

4. Con il terzo motivo – rubricato violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, – i ricorrenti principali sostengono che la sentenza impugnata avrebbe affermato la loro responsabilità pur rilevando che non era stata offerta nessuna prova in ordine a chi avesse eseguito le opere dalle quali era derivato l’inconveniente lamentato dagli attori e sul solo presupposto che il tombino si trovava su un fondo di loro proprietà, senza tenere conto che essi erano proprietari per soli 9/36 del fondo stesso.

4.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha correttamente fondato la propria decisione di condanna alla eliminazione della occlusione del tombino sul rilievo che questo era collocato sul terreno di proprietà B., ritenendo non rilevante, sotto il profilo dell’obbligo di ripristinare la funzionalità del tombino stesso, accertare se l’occlusione fosse stata provocata da lavori eseguiti dal B. o da terzi sul terreno di sua proprietà, spettando in ogni caso al proprietario del terreno sul quale insiste il tombino provvedere al disintasamento dello stesso e ristabilire il normale deflusso delle acque provenienti dal canale di scolo.

Le censure dei ricorrenti si appuntano, invece, sulla mancanza di prova in ordine alla provenienza delle opere che avevano mutato il regime di scarico delle acque, ma omettono di considerare che la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sul rilievo, accertato dal consulente tecnico d’ufficio, che il tombino si trovava sul terreno di proprietà degli appellati e che lo stesso era occluso, facendo poi discendere da tale rilievo l’obbligo per il proprietario di rimuovere la causa dell’occlusione.

5. Con il quarto motivo – del pari rubricato violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, – i ricorrenti principali censurano il capo della sentenza relativo alla reiezione dell’appello incidentale. In proposito, i ricorrenti osservano che il consulente tecnico d’ufficio non aveva rilevato l’edificazione del box a distanza non regolamentare anche perchè il muro interno del box era collocato all’interno del muro preesistente, confinante con la strada.

5.1. Il motivo è inammissibile, involgendo apprezzamenti di fatto sui quali la Corte d’appello ha motivatamente espresso il proprio convincimento. I ricorrenti, inoltre, non deducono neanche specifiche ragioni per sostenere la inadeguatezza o la erroneità della motivazione della sentenza impugnata. Si deve solo aggiungere che, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, la questione della presenza di un muro in prossimità del confine è stata valutata dalla Corte d’appello, che ne ha escluso la rilevanza.

6. Con il primo motivo del ricorso incidentale, B.L. deduce violazione dell’art. 734 cod. civ. e degli artt. 81 e 100 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine alla ritenuta sussistenza della sua legittimazione passiva. I beni relitti dal de cuius erano stati dal medesimo divisi e attribuiti agli eredi. In particolare, il terreno oggetto di causa era stato attribuito a B.E. e R. M., sicchè essa ricorrente incidentale doveva ritenersi priva di legittimazione passiva rispetto alle domande proposte dagli attori, atteso che il terreno stesso non era mai entrato nel suo patrimonio. Del resto, la stessa Corte d’appello si era avveduta di ciò, tanto da specificare che la condanna alla eliminazione della occlusione del tombino doveva intendersi riferita ai proprietari del fondo B.E. e M.R..

6.1. Con il secondo motivo, B.L. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 897 e dell’art. 1362 cod. civ., nonchè vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria, censurando l’interpretazione data dalla Corte d’appello all’atto del 1913, dal quale mai si sarebbe potuto desumere l’appartenenza del canale ai confinanti.

6.2. Con il terzo motivo, rubricato violazione dell’art. 102 cod. proc. civ., la ricorrente incidentale sostiene che il contraddittorio sulla domanda relativa alla eliminazione della occlusione del tombino, che aveva dato luogo ad una condanna ad un facere, avrebbe dovuto essere proposta nei confronti di tutti i proprietari del fondo.

6.3. Con il quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 916 cod. civ. e vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria, sostenendo che la Corte d’appello, avendo escluso che si potesse ritenere provato che l’intasamento e la deviazione delle acque fossero imputabili al B., avrebbe dovuto applicare l’art. 916 cod. civ., a norma del quale il proprietario incolpevole non è tenuto a togliere l’ingombro, potendo i vicini, in caso di inerzia, solo chiedere di poter provvedere personalmente.

6.4. Con il quinto motivo, B.L., lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 878 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, si duole del fatto che la Corte d’appello, pur avendo affermato che il box era stato costruito in adesione ad un muro preesistente ab immemorabile lungo la strada di proprietà B., abbia tuttavia ritenuto irrilevante la circostanza sull’errato presupposto che il muro in questione fosse da qualificarsi di cinta e fosse quindi ininfluente ai fini dell’applicazione della normativa sulle distanze. In ogni caso, la Corte d’appello avrebbe omesso di motivare sulle condizioni di applicabilità dell’art. 878 cod. civ..

7. Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato e merita accoglimento.

E’ incontestato nel presente giudizio che B.A. ebbe a distribuire i propri beni al proprio coniuge e ai figli, e in particolare non è controverso che del terreno al quale si riferiva la controversia egli avesse previsto l’attribuzione alla moglie M.R. e al figlio B.E.. La previsione della diretta attribuzione dei beni da parte del de cuius impedisce lo stesso costituirsi della comunione ereditaria tra i soggetti chiamati alla successione che abbiano accettato l’eredità.

Opera, infatti, il principio per cui quando il testatore provvede alla ripartizione in quote tra gli eredi del suo patrimonio immobiliare, individuando i beni destinati a far parte di ciascuna di esse, non si configura l’ipotesi della cosiddetta divisione regolata (art. 733 cod. civ.), che ricorre se il de cuius si limita a dettare norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di tale status per effetto dell’apertura della successione, bensì si verte in tema di cosiddetta divisio inter liberos (art. 734 cod. civ.), ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la specificazione dei beni destinati a far parte dì ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell’apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali (Cass. n. 6110 del 1981).

Ne consegue che, incontestato il principio invocato dai contro ricorrenti, secondo cui “per il disposto dell’art. 110 cod. proc. civ. gli eredi della parte deceduta nel corso del processo debbono tutti partecipare al giudizio, quali litisconsorti necessari, essendo irrilevante la trasmissione all’uno o all’altro di essi per effetto di disposizioni testamentarie o di divisione, della titolarità del bene cui attiene la controversia, con la conseguenza che l’atto di prosecuzione volontaria, ancorchè compiuto da alcuni soltanto degli eredi, è sufficiente a ricostituire il rapporto processuale, salvo l’obbligo del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo e nei cui confronti non sia avvenuta la riassunzione” (Cass. n. 8452 del 1995), deve ritenersi che l’erede escluso dall’assegnazione del cespite al quale si riferisce la controversia nel corso della quale si sia verificato il decesso del dante causa, una volta che si costituisca e che intenda far valere il proprio difetto di legittimazione passiva per estraneità alla situazione sostanziale oggetto del giudizio, versi effettivamente in una situazione di carenza di legittimazione passiva, che deve essere dichiarata dal giudice dinnanzi al quale detta eccezione sia stata proposta. Del resto, che nella specie sussistesse il dedotto difetto di legittimazione passiva emerge chiaramente dalla sentenza impugnata, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto di dover specificare che “la condanna in punto scarico delle acque deve in questo grado essere pronunciata solo nei confronti degli attuali proprietari del terreno già appartenente a B.A.”.

Il primo motivo del ricorso incidentale deve quindi essere accolto, con conseguente assorbimento degli altri motivi.

8. Per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ., comma 3, nei confronti di B.L. per difetto di legittimazione passiva.

In considerazione dell’esito del presente giudizio, i ricorrenti B.E. e M.R. devono essere condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo, in favore dei controricorrenti S.U.e L. B.; questi ultimi, invece, in applicazione del principio della soccombenza, devono essere condannati alla rifusione delle spese, nella misura di cui in dispositivo, a favore della ricorrente incidentale.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto per difetto di legittimazione passiva di B.L.; condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti S. e B., che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge; condanna B. e S. al pagamento delle spese in favore della ricorrente incidentale B.L., liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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