Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1550 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.20/01/2017),  n. 1550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11739-2011 proposto da:

CALZIFICIO SANTAGOSTINO S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio

dell’avvocato MARIA TERESA LOIACONO ROMAGNOLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato CLAUDIO LA GIOIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato GIAN LUCA

MARUCCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNA MORSO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 122/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/02/2011 R.G.N. 1967/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato ROMAGNOLI ILARIA per delega Avvocato LA GIOIA

CLAUDIO;

udito l’Avvocato MARUCCHI GIAN LUCA per delega orale Avvocato MORSO

GIOVANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 23 febbraio 2011, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il Calzificio Santagostino Spa a corrispondere a Stefano M. la complessiva somma di Euro 137.922,46, oltre accessori e spe5e, in relazione ad un rapporto di agenzia intercorso tra le parti a decorrere dal 1 luglio 1998.

La Corte territoriale, in ordine alle differenze provvigionali rivendicate dal M., ha considerato non concluso un accordo riduttivo delle provvigioni risalente all’ottobre del 2000 – come sostenuto dalla società – per cui ha riconosciuto come dovuti gli importi quantificati a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio.

Quanto all’estinzione del rapporto la Corte ha considerato sussistente una giusta causa di recesso in favore del M., per inadempimento al pagamento di crediti vantati dall’agente, per sottrazione di un cliente e per la pretesa della preponente di modificare il rapporto in modo difforme e peggiorativo rispetto al passato, con conseguente condanna della società al pagamento delle indennità legate alla risoluzione del contratto.

Circa le contestazioni riguardo la produzione da parte dell’agente di documenti in fase di appello, la Corte territoriale ha osservato che “quelli acquisiti nel precedente grado appaiono sufficienti a dimostrare i tratti salienti della contesa”.

2.- Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Calzificio Santagostino Spa con tredici motivi. Ha resistito con controricorso Stefano M.. Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo si denuncia omessa o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in quanto la CTU disposta ed esperita durante il giudizio di appello avrebbe calcolato le differenze provvigionali nella misura dell’1% per tutto il periodo dall’ottobre 2000 al marzo 2004 mentre da gennaio 2003 a marzo 2004 non potevano esserci differenze provvigionali in quanto il contratto del 1° gennaio 2003 prevedeva che le provvigioni per Esselunga venissero corrisposte al 2% e quelle per Coop al 4%, quindi senza che fosse ipotizzabile alcuna differenza.

Come noto, dal punto di vista processuale il vizio di difetto di motivazione per criticata adesione alle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio non può prescindere dall’osservanza degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, secondo cui il ricorso per cassazione tra l’altro deve contenere, “a pena di inammissibilità”, “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Per assolvere al requisito di ammissibilità di natura contenutistica (v. Cass. SS. UU. n. 28547 del 2008) occorre sia che il documento venga specificamente indicato nel ricorso, con la riproduzione quanto meno del contenuto rilevante (Cass. n. 17168 del 2012), sia che si dettagli in quale sede processuale risulti prodotto, “poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile” (cfr. Cass. SS. UU. n. 7161 del 2010).

In particolare, nel caso in cui il motivo del ricorso per cassazione si fondi sulle contestazioni delle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio, per rispettare il canone dell’autosufficienza è necessario che il contenuto della stessa, quanto meno nelle sue parti rilevanti, sia riportato in ricorso (Cass. n. 16368 del 2014; Cass. n. 20131 del 2013; Cass. n. 1652 del 2012), oltre a precisare dove la stessa sia reperibile e dove sia stata prodotta. Inoltre, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi, trova anche applicazione in riferimento alle contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio – e, per esse, alla sentenza che le abbia recepite nella motivazione – le quali sono ammissibili in sede di ricorso per cassazione sempre che ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e che la tempestività di tale proposizione risulti, a sua volta, dalla sentenza impugnata o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso, con specifica indicazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione prima di esaminare nel merito la questione sottopostale (crf., ex plurimis, Cass. n. 795 del 2014; n. 12532 del 2012; n. 7696 del 2006; n. 2707 del 2004).

Pertanto il motivo in esame è inammissibile perchè riporta solo ridotti stralci sia della relazione di CTU che del suo supplemento, nè indica nel corpo del motivo dove tali documenti siano reperibili ai fini del giudizio di legittimità; inoltre neanche vi è chiara indicazione di quando ed in quali esatti termini le stesse contestazioni alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio siano state proposte, onde verificarne sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione la tempestività e la rilevanza.

4.- Con il secondo motivo si denuncia omessa o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio rappresentato dall’esistenza o meno di un accordo riduttivo delle provvigioni che la Corte territoriale avrebbe qualificato come “tacito”, senza che ciò fosse stato dedotto da alcuna delle parti.

Con il terzo motivo si denuncia omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione circa il medesimo fatto controverso e decisivo del giudizio perchè la Corte milanese avrebbe sostenuto che l’agente aveva contestato il contenuto di taluni estratti conto prima della loro redazione e del loro invio, oltre che prima dell’accordo del 27 ottobre 2000 in base al quale tali estratti sarebbero stati redatti ed inviati; la Corte inoltre avrebbe trascurato le fatture redatte a saldo dal M. e la lettera fax del 6 novembre 2000 che costituivano ricognizione scritta dell’avvenuto accordo di riduzione delle provvigioni; poi la Corte di Appello avrebbe contraddittoriamente e incongruamente assunto la pretesa tardività dell’inoltro degli estratti conto all’agente ed il fax di asserita contestazione inviato dal medesimo il 25 ottobre 2000 prima della stipula dell’accordo stesso.

Tali motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi tendono ad una inammissibile rivalutazione della quaestio facti – rappresentata dall’esistenza o meno di un accordo di riduzione delle provvigioni – invece affidata al sovrano apprezzamento del giudice del merito.

Come noto, per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa, contraddittoria o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, tra le tante, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).

Invero il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche nella sua formulazione vigente nel caso che ci occupa, non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonchè scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. SS.UU. n. 5802 del 1998 nonchè Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006, n. 18119 del 2008).

Invece parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di un “fatto controverso e decisivo” che, ove valutato, avrebbe condotto, con criterio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, si è limitata, con i motivi in esame, a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sicchè dette censure si traducono nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

5.- Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza e violazione di legge perchè la Corte di Milano avrebbe omesso di prendere posizione e comunque di motivare sull’eccezione del Calzificio già proposta in primo grado e reiterata in appello riguardante l’inutilizzabilità di tutti i documenti prodotti in primo grado dall’agente, perchè quelli prodotti con il ricorso introduttivo difettavano della specifica indicazione ed elencazione prevista dall’art. 414 c.p.c., n. 5, art. 415 c.p.c., comma 1 e art. 74 disp. att. c.p.c., comma 4 mentre quelli prodotti con la memoria di replica alla riconvenzionale dovevano ritenersi tardivamente prodotti.

Il gravame non può trovare accoglimento in quanto denuncia impropriamente come vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, unitamente al vizio di cui al n. 3, cit. art., l’utilizzazione a fini probatori di documenti acquisiti al giudizio che è invece sussumibile nell’ambito del vizio di motivazione, di cui deve avere forma e sostanza, anche sotto il profilo già richiamato della decisività (Cass. n. 16997 del 2002; Cass. n. 15633 del 2003). Invero secondo questa Corte la nullità di un atto di acquisizione probatoria non comporta automaticamente la nullità (derivata) della sentenza, atteso che i rapporti tra atto di acquisizione probatoria nullo e sentenza non possono definirsi in termini di eventuale nullità derivata di quest’ultima, quanto, piuttosto, in termini di giustificatezza o meno delle statuizioni in fatto della sentenza stessa, la quale, cioè, in quanto fondata sulla prova nulla, è priva di (valida) motivazione, non già nulla a sua volta: infatti l’atto di acquisizione probatoria, puramente eventuale, non fa parte della indefettibile serie procedimentale che conduce alla sentenza e il cui vizio determina la nullità, ma incide soltanto sul merito delle valutazioni in fatto compiute dal giudice, le quali, peraltro, possono essere sindacate in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. n. 18857 del 2014; Cass. n. 17247 del 2006; conforme: Cass. n. 19072 del 2004). Inoltre la doglianza trascura di considerare che nel rito speciale del lavoro, l’omessa indicazione nel ricorso di documenti tempestivamente depositati all’atto della costituzione in giudizio ed enunciati nell’indice del fascicolo costituisce una mera irregolarità e non comporta la decadenza dalla produzione (Cass. n. 14001 del 2001).

6.- Con il quinto motivo si denuncia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio perchè la Corte territoriale avrebbe fondato la propria decisione riguardante l’accordo di riduzione delle provvigioni che secondo la società sarebbe intervenuto il 27 ottobre 2000 su documenti quelli prodotti in appello – che invece la stessa Corte aveva espressamente dichiarato di non voler utilizzare.

Anche questa censura risulta inammissibile per difetto di autosufficienza e di specificità in quanto nel corpo del motivo non viene riportato il contenuto dei documenti al fine di verificarne la decisività e la loro influenza determinante sulla ricostruzione della vicenda storica.

7.- Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1373 e 1750 c.c. perchè nessuna delle parti avrebbe mai prospettato un’estinzione del rapporto mediante recesso per fatti concludenti come invece ritenuto dalla Corte di Appello.

La critica è infondata perchè il comportamento concludente è solo una forma di manifestazione della volontà e la Corte del merito, come è suo potere, ha solo inteso qualificare giuridicamente i fatti come recesso dell’agente per giusta causa; sull’assunto di parte ricorrente che detti fatti non potessero indurre il convincimento espresso dalla Corte territoriale appare evidente che un tale accertamento è precluso in sede di legittimità, tanto più attraverso una mera denuncia di violazione di legge.

8.- Il settimo motivo lamenta violazione degli artt. 1750 e 1751 c.c. oltre che dell’art. 2119 c.c., sostenendo che il recesso per giusta causa sarebbe, “per sua natura”, un recesso titolato che quindi necessita di una espressa dichiarazione in tal senso non potendo essere rinvenuto in un mero comportamento.

La censura, così lapidariamente formulata, non è accoglibile perchè priva di specificità considerato che, con riferimento alla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

9.- Con l’ottavo motivo si denuncia omessa motivazione con riguardo alla sussistenza “dell’inadempimento riguardo ai crediti dell’agente” che avrebbe giustificato – secondo la Corte – il recesso dell’agente, senza valutare se l’acquiescenza o meno da parte dell’agente al ritardo nel pagamento rendesse irrilevante il ritardo medesimo.

Con il nono motivo si denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere ritenuto “ingiustificata la sottrazione del cliente Esselunga dal febbraio 2004” senza ammettere le prove tempestivamente dedotte dal Calzificio.

Con il decimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, 1321 e 1326 c.c. per avere la sentenza impugnata qualificato in termini di inadempimento l’invio di una bozza di modifica consensuale del contratto.

Con l’undicesimo motivo si denuncia violazione di legge ed omessa motivazione perchè la bozza di modifica del contratto del 12 marzo 2004 era solo una proposta che non poneva l’accettazione della modifica del contratto come condizione per il perdurare del rapporto di agenzia.

Tali motivi, congiuntamente esaminabili perchè attinenti alla ritenuta sussistenza della giusta causa di recesso da parte dell’agente, propongono, anche se talvolta sotto la veste solo formale della violazione di legge o dell’error in procedendo, una sostanziale rivalutazione del materiale probatorio che ha invece indotto la Corte milanese a considerare come giustificato il recesso ad iniziativa del M..

Come noto, infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre – a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione – per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Sicchè il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perchè è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.

Ciò posto, la Corte milanese, in ordine al recesso dell’agente, ha offerto una ricostruzione ed un apprezzamento della vicenda storica sorretti da una motivazione che il Collegio giudica congrua e che resiste ai rilievi che le vengono mossi. Pertanto detti motivi di gravame volti nella sostanza ad una rivalutazione della quaestio facti vanno respinti per le ragioni già diffusamente esposte al paragrafo n. 4 di cui sopra.

10.- Con il dodicesimo motivo, come effetto dell’accoglimento dei precedenti, si chiede la condanna del M. al pagamento dell’indennità di preavviso in favore della società.

Con il tredicesimo motivo si invoca poi la condanna dell’agente alla rifusione di tutte le spese di ogni fase del giudizio.

Si tratta di motivi manifestamente inammissibili perchè non denunciano vizi della sentenza impugnata secondo le critiche vincolate di cui all’art. 360 c.p.c., ma configurano solo richieste a questa Corte che non possono essere accolte in considerazione del rigetto delle censure precedenti.

11.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 6.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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