Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15498 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/06/2017, (ud. 30/03/2017, dep.22/06/2017),  n. 15498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18176/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

P0, 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO PICCHI, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1020/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/07/2010, R.G.N. 1865/2207.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 13 luglio 2010 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Grosseto che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto intercorso tra Poste Italiane s.p.a. e L.C., dichiarando la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal 27 maggio 2002 ordinando alla società il ripristino del rapporto e condannandola al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate e non corrisposte dalla data del tentativo di conciliazione alla effettiva riammissione in servizio oltre rivalutazione ed interessi dalle scadenze al saldo.

Che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi ulteriormente illustrati con memoria cui resiste il L. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che con i motivi di ricorso è denunciata: la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, in relazione alla Direttiva comunitaria n. 99/70/CEE ed all’accordo quadro concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES (primo motivo); la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 e degli artt. 11 e 15 preleggi e dell’art. 136 Cost., in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 214 del 2009; la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (secondo motivo); in via subordinata l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio e la violazione e falsa applicazione art. 12 disp. gen., art. 1419 c.c., D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 5 e 3 (terzo motivo); la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 (quarto motivo); infine, per il caso di mancato accoglimento delle censure sopra esposte, ha chiesto che in applicazione dell’jus superveniens (L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32) (quinto motivo).

Che i primi due motivi di ricorso non investono specificatamente la ratto decidendi della sentenza che in esito ad una corretta ricostruzione del quadro normativo ha in concreto verificato, con accertamento incensurabile in sede di legittimità poichè sorretto da coerente e logica motivazione aderente ai principi dettati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, che il contratto non specificava adeguatamente le ragioni della temporaneità dell’assunzione nè con riferimento alle esigenze tecniche organizzative e produttive (con riguardo alle quali la clausola si limitava a riprodurre la formula contenuta nell’accordo collettivo del gennaio del 2001) nè con riguardo alle esigenze sostitutive rispetto alle quali, anche a prescindere dalla mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito, non erano comunque state le ragioni della sostituzione. Le censure infatti ricostruiscono in via generale il quadro normativo senza specificare in concreto come e perchè la decisione adottata non sarebbe coerente con la ricostruzione cui pure ha aderito la Corte di merito.

Che il terzo motivo di ricorso è del pari infondato alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, att. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999170/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr. tra le tante Cass. 21/05/2008, n. 12985, Cass. 12/07/2012, n. 11785 e recentemente Cass. sez. 6 28/04/016 n. 8457).

Che il quinto motivo di ricorso è invece fondato, infondato il quarto che ha riguardo alla costituzione in mora ai fini della quantificazione del danno. E’ infatti applicabile anche al giudizio di legittimità lo ius superveniens dettato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, con il quale è introdotto “un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente” ed “il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto”, mentre a partire da tale sentenza il datore di lavoro è obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva (cfr. Corte Costituzionale n. 303 del 2011). Con la L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1 comma 13 (in G.U. n. 153 del 3-7-2012), si è poi chiarito che “La disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro” (per una applicazione degli indicati principi ed una completa ricostruzione del quadro normativo cfr. Cass. 17/03/2016 n. 5298).

Che sotto tale profilo, pertanto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata deve essere rinviata alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione che quantificherà il risarcimento del danno applicando la disciplina sopravvenuta di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5 e 6.

che la Corte in sede di rinvio provvederà a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte, accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri.

Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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