Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15498 del 21/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/07/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 21/07/2020), n.15498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20244-2019 proposto da:

P.F., P.M., C.F.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G AVEZZANA 6, presso lo

studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI, rappresentati e difesi

dall’avvocato BRUNO GUARALDI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositato

l’11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/03/2020 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

P.M., P.F. e C.F. propongono ricorso articolato in due motivi per la cassazione del decreto reso dalla Corte d’Appello di Milano in data 11 dicembre 2018. Si difende con controricorso il Ministero della Giustizia.

La Corte d’appello di Milano ha rigettato l’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter avverso il decreto del Presidente della Corte d’appello, ed ha perciò respinto la domanda di equa riparazione per la durata irragionevole della procedura fallimentare riguardante la s.n.c. La Piazzetta di P.F., nonchè gli stessi istanti P.M., P.F. e C.F., soci illimitatamente responsabili, giusta fallimento dichiarato dal Tribunale di Monza in data 13 luglio 2001 e chiuso il 17 maggio 2017. Ad avviso della Corte d’appello, per valutare il percorso della procedura fallimentare presupposta, sarebbe stato necessario che gli opponenti avessero prodotto altresì gli atti dei procedimenti contenziosi collegati (in particolare, un giudizio di divisione immobiliare ed un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), sicchè la domanda doveva essere respinta per mancato adempimento dell’onere di documentare la pretesa di indennizzo.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, artt. 640 e 101 c.p.c., in relazione agli artt. 111 e 117 Cost. ed all’artt. 6, p. 1, CEDU. Si evidenzia come nè il Presidente della Corte d’appello nè il collegio in sede di opposizione avessero fatto richiesta di integrazione documentale, agli effetti della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4.

Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 bis, in relazione agli artt. 111 e 117 Cost. ed all’artt. 6, p. 1, CEDU, essendo la durata ragionevole della procedura fallimentare determinata per legge.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il Collegio ritiene, tuttavia, che il ricorso sia manifestamente infondato. Al riguardo, deve considerarsi come, anche dopo le novità introdotte dal D.L. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016, il procedimento ex art. 380-bis c.p.c. può essere definito con rito camerale altresì ove ricorra un’ipotesi diversa da quella opinata nella proposta del relatore, atteso che la detta disposizione stabilisce che la Corte deve rimettere la causa alla pubblica udienza soltanto se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5 (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/03/2017, n. 7605).

I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e sono infondati.

La L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 3, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, art. 55, comma 1, lett. c, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, stabilisce che unitamente al ricorso contenente la domanda di equa riparazione debba essere depositata copia autentica dei seguenti atti: a) l’atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata; b) i verbali di causa e i provvedimenti del giudice; c) il provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili. Il medesimo art. 3, comma 4 fa espresso richiamo di applicabilità dell’art. 640 c.p.c., commi 1 e 2, sicchè il presidente della corte d’appello, o il magistrato della corte a tal fine designato, se ritiene insufficientemente giustificata la domanda, dispone che il cancelliere ne dia notizia al ricorrente, invitandolo a provvedere alla prova; ove il ricorrente non risponde all’invito, il giudice rigetta la domanda con decreto motivato. Opera anche in tale evenienza dell’art. 3, comma 6, e perciò, quando il ricorso è stato respinto, la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5-ter.

Come questa Corte ha già spiegato, pur ove sia stata respinta la domanda con decreto, L. n. 89 del 2001, ex art. 3, comma 6, per la sua insufficiente documentazione, il ricorrente può produrre gli atti e i documenti mancanti nella successiva fase d’opposizione, in quanto quest’ultima, per la sua natura pienamente devolutiva, non subordina l’esercizio di tale facoltà alla previa concessione del termine di cui all’art. 640 c.p.c., comma 1 (Cass. Sez. 6 – 2, 06/11/2015, n. 22763). E’ agevole dedurre che la doverosa produzione da parte dell’istante degli atti introduttivi del giudizio presupposto sia intesa dalla legge come funzionale all’onere sullo stesso incombente di allegare e documentare l’intera durata dello stesso giudizio, inclusi i gradi e le fasi eventualmente non eccedenti gli standard di ragionevolezza, dovendo il giudice dell’equa riparazione procedere ad una ponderazione unitaria della durata del processo. La documentazione imposta dal vigente L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 3, ha, all’evidenza, lo scopo di permettere al giudice le valutazioni, inerenti all’accertamento della violazione, sulla complessità del caso, sull’oggetto dei procedimento e sul comportamento delle parti, di terzi e del giudice durante il procedimento (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2); nonchè quelle, inerenti alla misura dell’indennizzo, sull’esito del processo, sulla natura degli interessi coinvolti, sul valore e sulla rilevanza della causa (L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 2). Quanto alla rilevanza che in concreto, poi, tale documentazione spieghi ai fini della decisione sulla domanda di equa riparazione avanzata, si tratta di apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 2, 02/03/2018, n. 5019). La giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, altresì chiarito come la ricerca officiosa della prova, già prevista dall’originario L. n. 89 del 2001, art. 3, comma, sia invece inconciliabile con l’attuale struttura monitoria del procedimento, nel quale la domanda può, al più, essere integrata dal giudice ai fini della successiva provocatio ad opponendum.

La Corte d’appello di Milano, in sede di opposizione ex art. 5-ter (dopo che il presidente aveva già respinto la domanda, sul presupposto i documenti depositati a sostegno della stessa non consentissero di apprezzare le responsabilità da imputare, rispettivamente, all’amministrazione giudiziaria o, altrimenti, ai soggetti coinvolti nella procedura concorsuale, ritenuta pure di particolare complessità), ha affermato che la documentazione riportata a pagina 2 dell’impugnato decreto comunque impediva di valutare “il percorso della procedura”, mancando gli “atti del procedimento e dei procedimenti contenziosi allegati”. La Corte di Milano ha evidenziato come la procedura fallimentare avesse avuto un iter inizialmente regolare, per poi subire un ritardo a causa della pendenza di un giudizio di divisione immobiliare di una proprietà dei falliti, nonchè di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, cause delle quali non era stata però esibita alcuna documentazione.

Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno posto a carico della parte ricorrente l’onere di documentare in maniera compiuta la domanda, ancora nella sede del giudizio d’opposizione (cfr. cfr. Cass. Sez. 6-2, 21/01/2019, n. 1524; Cass. Sez. 2, 28/09/2017, n. 22704; Cass. Sez. 6 – 2, 02/09/2014, n. 18539).

Come desumibile anche da Cass. Sez. 2, 27/09/2019, n. 24181, il mancato assolvimento dell’onere di produzione documentale può costituire autonoma e sufficiente ragione di rigetto della domanda di equa riparazione allorchè la parte, benchè non invitata dal giudice della fase monitoria a rimediare all’insufficienza della prova (giusta il disposto dell’art. 640 c.p.c., comma 1, espressamente richiamato nella della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4), a fronte del rigetto della domanda con decreto, L. n. 89 del 2001, ex art. 3, comma 6, per la sua insufficiente documentazione, non produca gli atti e i documenti mancanti nemmeno nella successiva fase d’opposizione, non essendo tale allegazione subordinata alla previa concessione del termine di cui all’art. 640 c.p.c., comma 1.

Il ricorso va quindi rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 6 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 21 luglio 2020

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